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Cronache

Strage della funivia: cavo spezzato, focus sull’uso dei forchettoni

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La giornata festiva non ferma le indagini sulla sciagura del Mottarone. I carabinieri hanno continuato a raccogliere le testimonianze del personale della funivia per chiarire tutti gli aspetti del caso. Per alcuni la posizione processuale potrebbe cambiare: si tratta degli operatori che, su ordine del caposervizio Gabriele Tadini, ora agli arresti domiciliari, nel corso delle ultime settimane di tanto in tanto hanno lasciato al loro posto, anziche’ rimuoverli, i “forchettoni” che bloccavano il freno di emergenza. Mossa che a detta di Tadini serviva per aggirare un’avaria che avrebbe portato alla chiusura dell’intero impianto. Ma e’ che una delle cause dell’incidente che, il 23 maggio, e’ costato 14 morti: dopo la rottura di uno dei cavi, la cabina 3, priva di sistema frenante, ha cominciato una folle cosa verso valle e si e’ schiantata al suolo. “Per quanto piccola – viene spiegato negli ambienti giudiziari – anche la loro e’ una figura di garanzia”. La conseguenza sarebbe l’iscrizione nel registro degli indagati: un reato ipotizzabile, il concorso nella rimozione volontaria di cautele contro gli incidenti. Che i forchettoni non venissero rimossi e’ un dato acquisito dall’inchiesta: Tadini ha detto 5 volte prima del 7 maggio e una decina dopo l’8 maggio, compreso il 22. Foto e video realizzate da uno svizzero – appassionato di funivie – documentano la loro presenza anche negli anni passati. L’emittente tedesca Zdf ha raccolto il materiale e lo ha mandato alla procura di Verbania, che per ora si limita a prenderne atto. Secondo un addetto alla funivia non e’ insolito che questi ‘ceppi’, una volta rimossi dal loro alloggiamento, siano semplicemente deposti sul tetto della cabina. Agli inquirenti ha detto che “andrebbero depositati per terra, ma per comodita’ e consuetudine vengono lasciati sulla pedana di ispezione presente sul carrello superiore della cabina e percorrono quindi i vari tragitti insieme ad essa”. Il procuratore Olimpia Bossi intanto sta valutando se ricorrere al tribunale del riesame contro l’ordinanza con il gup ha rimesso in liberta’ gli altri due indagati, il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio. Ma il grosso degli accertamenti continua a essere concentrato su quanto e’ accaduto il 23 maggio. La squadra di consulenti tecnici formata dai pm di Verbania sara’ chiamata, fra le altre cose, a risolvere l’enigma della rottura della fune. Il cavo ha circa 23 anni di vita ma questo dato non sembra essere importante, visto che era fabbricato per durare un’eternita’ ed era stato controllato a novembre, vale a dire in tempi piuttosto recenti. Le ipotesi sono numerose. Possibile che l’uso smodato dei “forchettoni” per intere giornate di esercizio abbia comportato, impedendo alle ganasce di scattare e di bloccare del tutto la cabina, tensioni o frizioni tali da portare a uno strappo all’altezza dell’attacco con il carrello? Dipende da dalle specifiche modalita’ di progettazione e di funzionamento dell’impianto. Di solito, in una funivia, con i freni di emergenza esclusi la stazione motrice non “legge” l’esistenza di un problema e continua a “tirare”, ma e’ difficile ipotizzare che una delle varie funi sia stata coinvolta e abbia sofferto fino al punto di spezzarsi. Di che natura era, inoltre, il guasto lamentato da Tadini? Il caposervizio ha parlato di un rumore caratteristico della perdita di pressione proveniente dal sistema frenante. Ma i manutentori non avevano trovato niente. Per rispondere serve un atto che il codice di procedura chiama “accertamento tecnico irripetibile” e che prevede avvisi di garanzia ai soggetti (persone fisiche, aziende, enti pubblici) potenzialmente da coinvolgere in modo che a loro volta scelgano i loro esperti di fiducia. Sara’ anche necessario accedere nella carcassa della cabina e recuperare ancora diversi frammenti. Operazioni assai laboriose che lunedi’ saranno precedute da un nuovo sopralluogo. (

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Milano, diciottenne ucciso a colpi di pistola nella notte

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Nella notte scorsa assurdo delitto alla periferia di Milano. Un giovane diciottenne, di origine slava, è stato brutalmente ucciso con tre colpi d’arma da fuoco al torace in via Varsavia, vicino all’ortomercato. Secondo quanto emerso da una prima ricostruzione, il ragazzo si trovava a bordo di un furgone quando è stato avvicinato da un gruppo di individui che hanno aperto il fuoco.

I dettagli dell’aggressione dipingono un quadro di violenza e paura. La vittima, evidentemente ignara del pericolo, stava riposando all’interno del mezzo insieme a una donna, forse la sua compagna. Gli assassini hanno infranto i vetri del furgone per accertarsi della presenza di persone all’interno, prima di aprire il fuoco. Il giovane è stato soccorso tempestivamente dagli operatori del 118, ma purtroppo i loro sforzi sono stati vani: è spirato poco dopo il suo arrivo all’ospedale Policlinico.

La compagna del ragazzo, fortunatamente, è sopravvissuta all’attacco, ma è stata portata in ospedale in stato di choc, testimone impotente della tragedia che si è consumata sotto i loro occhi.

Le indagini sono ora nelle mani degli agenti della Polizia di Stato, impegnati a cercare di gettare luce su questo terribile crimine. La zona intorno all’ortomercato, come riportato dalle autorità, è nota per essere frequentata da roulotte e furgoni abitati, soprattutto da comunità nomadi. Tuttavia, quanto accaduto stanotte ha scosso la comunità locale e ha sollevato interrogativi su quanto sicure siano realmente queste aree.

Mentre la città si ritrova a piangere la perdita di un giovane vita spezzata troppo presto, ci si interroga anche su quali misure possano essere prese per prevenire simili tragedie in futuro. In un momento in cui la sicurezza pubblica è al centro delle preoccupazioni di tutti, è fondamentale che le autorità agiscano con fermezza per garantire la protezione di tutti i cittadini, indipendentemente dal loro status sociale o dalle loro abitudini di vita.

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Fassino denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino, informativa in Procura

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Arriverà nelle prossime ore in Procura una prima informativa su Piero Fassino, denunciato per tentato furto di un profumo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino. Gli investigatori della Polaria hanno raccolto tutti gli elementi – comprese le immagini registrate dalle telecamere del sistema di videosorveglianza – e le trasmetteranno all’autorità giudiziaria competente, quella di Civitavecchia, che valuterà come procedere. Fassino, in quanto parlamentare, non è stato ascoltato ma – spiegano fonti investigative – se vorrà potrà rilasciare dichiarazioni spontanee.

Già ieri il deputato del Pd – parlamentare per 7 legislature, ex ministro della Giustizia dal 2000 al 2001, poi segretario dem fino al 2007 e sindaco di Torino per cinque anni dal 2011 al 2016 – ha fornito la sua versione sostenendo di aver già chiarito con i responsabili del duty free la questione: “volevo comprare il profumo per mia moglie, ma avendo il trolley in mano e il cellulare nell’altra, non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”. In quel momento, ha aggiunto, “si è avvicinato un funzionario della vigilanza che mi ha contestato quell’atto segnalandolo ad un agente di polizia.

Certo non intendevo appropriarmi indebitamente di una boccettina di profumo”. Fassino ha anche sostenuto che si era offerto subito di pagarla e di comprarne non una ma due, proprio per dimostrare la sua buona fede, ma i responsabili hanno comunque deciso di sporgere denuncia. Al parlamentare del Pd, dopo quella espressa ieri dal deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, è arrivata la solidarietà del coordinatore di Fratelli d’Italia in Piemonte Fabrizio Comba. “Conosco l’uomo e il politico integerrimo, il tritacarne mediatico in cui è stato infilato è indecoroso per la sua storia personale e, quindi, anche per la storia del nostro paese. E’ un avversario politico – ha concluso Comba – ma non per questo mi permetto di dubitare della sua integrità, convinto delle sue straordinarie qualità morali”.

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Nozze d’argento boss in chiesa con le spoglie di Falcone

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Lui abito scuro, con gilet, pochette e cravatta color madreperla, lei abito bianco scollato lavorato con tessuto di pizzo e bouquet di rose rosse. La coppia d’oro delle famiglie mafiose palermitane, Tommaso Lo Presti, detto “il grosso”, per distinguerlo dall’omonimo detto “il lungo”, e la moglie Teresa Marino, ha festeggiato in grande stile, con amici e familiari l’anniversario dei 25 anni di matrimonio il 15 aprile scorso.

La coppia, lui è stato scarcerato da poco dopo anni di detenzione per mafia ed estorsioni, lei pure condannata per mafia, ha scelto per la cerimonia religiosa in cui rinnovare la promessa d’amore un luogo simbolico, la chiesa di San Domenico, che si trova in una delle piazze più belle di Palermo e che è nel cuore del mandamento mafioso di cui Lo Presti era al vertice. Nel complesso in cui è inserita la chiesa c’è anche il pantheon dei siciliani illustri, da Giuseppe Pitrè a Giacomo Serpotta, in cui sorge anche la tomba monumentale che ha accolto, dal 2015, le spoglie di Giovanni Falcone. I mafiosi quindi sono stati accolti dai frati, che gestiscono il complesso, per celebrare la benedizione delle nozze d’argento.

Padre Sergio Catalano, frate priore della chiesa, afferma di aver saputo chi fosse l’elegante coppia solo leggendo le notizie del sito d’informazione Palermotoday che ha pubblicato la notizia alcuni giorni dopo la cerimonia. “Le verifiche non spettano a noi – aggiunge – ci sono organi istituzionali che devono farlo”. Ma la coppia della cosca di Portanuova, lui è sorvegliato speciale e deve rientrare in casa entro una certa ora, poteva tranquillamente far celebrare la cerimonia in qualsiasi posto. La valutazione dell’opportunità di ospitare due mafiosi di questo calibro nel complesso dove ci sono le spoglie del magistrato ucciso dalla mafia spetterebbe a chi ha la responsabilità di quei luoghi.

Alla chiesa Lo Presti ha lasciato anche un’offerta che padre Catalano dice “servirà a fare del bene a chi ne ha bisogno”. Dopo la cerimonia a san Domenico la coppia ha festeggiato, nei limiti temporali concessi al sorvegliato speciale, in una villetta allietata anche dalle canzoni di due noti neomelodici. Dopo l’arresto di Lo Presti, 48 anni, nell’operazione Iago nel 2014, gli investigatori scoprirono il ruolo della moglie che il giudice che l’ha condannata descrive così: “Teresa Marino durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio”.

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