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Scontro sul lavoro, Letta: calo shock delle tasse

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Il nodo dell’occupazione irrompe nella campagna elettorale, mentre il sindacato si prepara a mobilitarsi a sostegno del lavoro. “Occorre una riduzione shock delle tasse sul lavoro per far si’ che i salari siano piu’ alti e per lottare contro il lavoro nero in un Paese che ha bisogno di lavoro e che il lavoro torni al centrodella politica” rilancia il segretario del Pd, Enrico Letta che proprio con il ministro del Lavoro, Andrea Orlando fa una tappa della sua campagna elettorale elettorale a Genova al cinema Sivori, un luogo simbolo per la sinistra italiana, dove nel 1892 nacque il Partito Socialista Italiano, il primo partito di massa dei lavoratori italiani. Ma anche Giorgia Meloni punta tutto sull’alleggerimento del cuneo fiscale, un intervento lapalissiano, “di buon senso” sostiene, e che “solo i figli di papa’ che non hanno mai lavorato in vita loro non capiscono”. La crescita, sostiene la leader della destra, “la fanno le imprese e i lavoratori. Lo Stato non deve rompergli le scatole e abbassargli le tasse. Il problema dei salari bassi si risolve rimodulando le tasse sul lavoro, mettendo piu’ soldi in busta paga. L’orizzonte e’ piu’ assumi e meno paghi, piu’ crei occupazione, meno ti tasso. Incentivando l’occupazione, creo e distribuisco ricchezza”. Il Pd e il M5s insistono invece per introdurre il salario minino. Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, la misura sarebbe anche un utile strumento per arginare gli effetti dell’inflazione che sta erodendo la gia’ scarsa capacita’ di acquisto di tanti lavoratori, molti (“il 12-13% avverte il Ministro) gia’ sotto la soglia della poverta’. “E’ necessario un salario minimo ed e’ necessario anche rivedere le regole del mercato del lavoro riducendo le forme di flessibilita’, di precarieta’, perche’ purtroppo le difficolta’ si sono rovesciate tutte addosso ad una generazione e questo non puo’ essere accettabile” perche’ mina “anche la coesione sociale e, in qualche modo, la qualita’ della democrazia in un Paese” mette in guardia il ministro. L’introduzione del salario minimo “per noi e’ la chiave principale con cui aiutare la parte di lavoratori che oggi lavora con salari inaccettabili, il lavoro povero va eliminato” gli fa eco Letta che mette in fila gli interventi che sono nel programma sul lavoro del Pd: lotta alla precarieta’, primo impiego per i giovani con la decontribuzione e a tasse zero, abbattimento dei finti stage e, appunto, una riduzione shock delle tasse su lavoro e incentivi ai contratti a tempo indeterminato. Se il salario minimo era il minimo comune denominatore che, fino alla caduta del governo Draghi, teneva insieme i dem e i 5 Stelle, ora i due partiti sembrano fare a gara ad intestarsi l’agenda piu’ progressista. Giuseppe Conte e’ gia’ intervenuto alla festa della Fiom di Torino dove oggi e’ il vicesegretario dem Beppe Provenzano a chiudere i lavori, porgendo le “scuse per il ritardo” per la “marginalizzazione del mondo del lavoro rispetto alla rappresentanza politica”. Un rapporto che deve essere rinsaldato anche per Nicola Fratoianni dell’Alleanza Verdi Sinistra, anche lui al cospetto della Fiom a chiedere di recuperare la distanza maturata con il mondo del lavoro “con una proposta politica che metta al centro il salario minimo, l’intervento pubblico sulle politiche economiche, la lotta alla precarieta’, la cancellazione del jobs act, la riduzione dell’orario di lavoro a parita’ di salario”. Il leader M5s lancia anche l’idea di istituire una procura nazionale per il lavoro, per la “repressione e la prevenzione per quanto riguarda episodi che potrebbero compromettere la sicurezza sul lavoro”.

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Caos balneari, tavolo tecnico di Chigi dopo Europee

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Resta alta la tensione fra gran parte del mondo degli imprenditori balneari e il governo. Con la stagione estiva alle porte, il disappunto nel settore è aumentato alla luce della convocazione della prossima riunione del tavolo tecnico per il 12 giugno, quindi dopo le Europee, e in formato ristretto, con i tecnici dei ministeri e i rappresentanti delle regioni, ma senza quelli della categoria. Lo scopo è la “definizione dei lavori all’esito dell’interlocuzione con la Commissione europea”, che al momento, però, ancora non ha portato a risultati.

L’esecutivo cerca una soluzione per evitare che la procedura di infrazione, per violazione della direttiva Bolkestein, arrivi davanti alla Corte di giustizia europea, ma non ci sarebbe piena sintonia tra gli alleati su come agire. Non è però escluso che un rimedio, almeno parziale sugli indennizzi, possa emergere nel frattempo dai lavori parlamentari, dagli emendamenti alla proposta di legge all’esame della commissione Finanze della Camera per abrogare l’articolo 49 del codice della navigazione, previsione normativa del 1942 da tempo contestata dagli operatori. Secondo questa norma, le opere fisse costruite su una zona demaniale restano acquisite dallo Stato senza indennizzo alla scadenza della concessione. “L’indennizzo per gli imprenditori balneari a fine concessione è da tempo, del resto, previsto dalla legge sulla concorrenza del governo Draghi e nessuna giurisprudenza sia nazionale che europea, ha mai eccepito niente in merito – sottolinea Riccardo Zucconi (FdI), primo firmatario della proposta di legge, presentata un anno fa e in esame da fine aprile -. Invece proprio il Consiglio di Stato ha sollevato obiezioni sull’articolo 49 del codice della navigazione, rispetto al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Io propongo una soluzione per risolvere almeno uno spicchio del problema e aiutare a fare uscire il settore da una crisi seria”.

L’iter di questo provvedimento – una proposta di legge ordinaria in prima lettura a Montecitorio – rischia però di andare troppo lungo rispetto alle esigenze del settore. E, secondo i ragionamenti che si fanno nella maggioranza, uno o più emendamenti (il termine scade mercoledì) potrebbero essere recepiti dal governo in un decreto legge, visto che la stagione estiva è ormai imminente e il settore chiede chiarezza, mentre molti Comuni hanno messo a gara nel concessioni e associazioni come Mare Libero dopo l’ultima sentenza del Consiglio di Stato chiedono di disapplicare le proroghe. Di certo, fa notare un ministro, quella sentenza ha di fatto messo una “pietra tombale” sulle ipotesi di nuove proroghe. Ma per arrivare a un decreto va prima trovata la sintesi tra gli alleati.

Il dossier è in mano ai ministri Raffaele Fitto (Affari europei) e Matteo Salvini (Infrastrutture), e fra i due c’è disallineamento sulla strategia, come riconoscono anche nella maggioranza. Pure per questo motivo l’interlocuzione con Bruxelles non starebbe facendo, al momento, grandi passi avanti. Anche perché la Commissione Ue ritiene non esaustiva la mappatura con cui il tavolo tecnico di Palazzo Chigi ha definito “non scarsa” la risorsa spiaggia ritenendo di non dover applicare la Bolkestein. Ma restano resistenze, anche dentro FdI, ad abbandonare questa via.

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Bonaccini media sul Jobs act, ma riformisti in tensione

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Parola d’ordine: smussare. Il presidente del Pd Stefano Bonaccini, leader dei riformisti del partito, ha provato a mediare sul Jobs act, dopo che molti della sua area hanno definito “una forzatura” la decisione della segretaria Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil. “Evitiamo di schiacciare il dibattito su una iniziativa referendaria – ha detto Bonaccini – Ciascuno è libero di firmare o meno sugli specifici punti”. In vista delle europee, non c’è troppa voglia di alzare i toni, ma la minoranza del partito resta sul chi va là. Il sostegno della segretaria al referendum “mi sembra una cosa coerente con la storia politica di Elly Schlein – ha rilevato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, candidato per Bruxelles – Siccome firmare sarebbe totalmente incoerente con la mia storia politica, io sicuramente non firmerò”.

Non si è invece smarcato il sindaco di Firenze Dario Nardella: “Se firmerò il referendum come ha fatto la segretaria del Pd Schlein? Ci sto pensando. Schlein ha lasciato libertà di decidere”. Ma crepe ci sono anche nel fronte di chi ha sostenuto la segretaria al congresso. Come il deputato ed ex ministro del lavoro Andrea Orlando: “Sto riflettendo se firmare per il referendum sul Jobs act. Francamente penso che i parlamentari possono anche esimersi. Le mani ci vanno messe e il Parlamento deve fare il proprio mestiere. C’è un mio disegno di legge per modificare la normativa”. Un clima non nuovo nel partito. “Il Pd fa i congressi e li fa davvero, discute e poi definisce una linea – ha assicurato Schlein – Questo non significa che non sia un partito plurale. Legittimamente altri non firmeranno il referendum sul jobs act. Non vedo un partito diviso e frammentato come tanti raccontano, ma un partito in grado di recuperare sei punti nei sondaggi. Il Pd è in buona salute”.

Insomma, anche il dibattito sul Jobs act restituisce il trambusto di un riequilibrio interno. Non è la prima volta che l’area di Orlando ha posizioni diverse da quelle di Schlein. E’ successo anche sul patto di stabilità: in Ue il Pd si è astenuto mentre Orlando aveva chiesto un voto contrario. E non è la prima volta che l’area di Bonaccini non appare allineata al suo leader. L’ultimo episodio è stato in direzione, sulla proposta di mettere il nome di Schlein nel simbolo per le europee. La illustrò Bonaccini, ma molti dei suoi dissero “no”. Stavolta Bonaccini ha provato a indicare la via d’uscita. O di fuga dalle sirene dei centristi: “Non ci schiacciamo su proposte che vengono da altri – ha detto il governatore dell’Emilia Romagna – Liberamente chi vuole nel Pd può firmare il referendum della Cgil, ma dobbiamo stare sulle battaglie che stiamo facendo in Parlamento, dove le opposizioni, e lo dico anche a Renzi, potrebbero trovare unità”. Schlein tira dritto: l’obiettivo è dare un’identità chiara al partito.

ù”Nel 2015 ero in piazza con la Cgil contro l’abolizione dell’articolo 18″, il referendum “è un punto di ricucitura rispetto ad alcune scelte sbagliato del passato, che anche i nostri elettori non ritengono corrette”. Pd unito invece contro il premierato, a breve in Aula al Senato. La riforma non piace nemmeno all’area riformista anche extra dem. Un gruppo trasversale di costituzionalisti ha formulato due emendamenti per “migliorare” e “colmare alcune lacune” della riforma. Li hanno illustrati a Palazzo Madama Peppino Calderisi, Stefano Ceccanti, Gaetano Quagliariello, Nicola Drago, Claudia Mancina ed Enrico Morando.

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Mattarella, corsa alle armi divora risorse,serve la pace

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“Visioni ottocentesche e pulsioni di potenza” sono ancora presenti nel nostro pianeta e ritardano soluzioni politiche condivise alimentando i conflitti, mai così tanti dalla fine della seconda guerra mondiale. Sergio Mattarella parla alle Nazioni Unite, il foro principe del dialogo e del multilateralismo, e non nasconde le sue preoccupazioni per il riarmo generalizzato del pianeta che rende inpossibile la crescita. Non ci gira intorno il presidente della Repubblica e, aprendo aprendo i lavori dell’incontro su “Pace, Giustizia e Istituzioni per lo Sviluppo Sostenibile”, non nasconde la sua preoccupazione: “Pace e Sviluppo hanno destini incrociati. Non può esservi l’uno, senza l’altra. Viviamo in un’epoca con il maggior numero di conflitti dalla fine della seconda guerra mondiale che divorano enormi risorse nella corsa agli armamenti, sottraendole allo sviluppo.

L’appello alla costruzione delle condizioni necessarie per la pace e per porre fine ai conflitti – aggiunge allarmato dal Palazzo di vetro – non potrebbe essere più necessario e urgente”. Un allarme accompagnato da un richiamo che parte dalla disinformazione che spadroneggia e condiziona le democrazie e dove è chiaro il riferimento alla Russia. Ma che può essere letto anche in chiave italiana dopo il Rapporto 2024 curato, come ogni anno, da Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa che vede l’Italia scivolare dal 41° al 46° posto. “Fronteggiamo oggi – spiega Mattarella da New York – un pericolo ulteriore che mina il rapporto di fiducia con le istituzioni e tra i Paesi, quello della disinformazione. E’ di venerdì scorso la Giornata mondiale per la libertà di stampa che ammonisce, ogni anno, sul valore della libertà d’informazione per il mantenimento della democrazia”. L’intervento del presidente alle Nazione Unite (poi interverrà all’Assemblea generale) è però tutto teso a sottolineare la necessità di rafforzare il ruolo dell’Onu, sottolineando l’importanza di fare passi avanti nello sviluppo sostenibile.

Ed anche in questo settore il capo dello Stato torna sui danni della guerra, di un riarmo cieco ed irrazionale, spiegando quanto ciò stia drammaticamente rallentando l’agenda internazionale sulla lotta ai cambiamenti climatici: “all’intensificarsi degli effetti negativi del cambiamento climatico si aggiunge il proliferare di drammatici conflitti che allontanano dal dare priorità all’agenda stessa. Le conseguenze sono disastrose: allo stato attuale solo una modestissima percentuale degli obiettivi dell’Agenda 2030 sarebbe raggiungibile nei tempi dati”, spiega Mattarella sottolineando che, nonostante i conflitti, “una decisa accelerazione verso il raggiungimento dei nostri obiettivi comuni appare imprescindibile”.

Naturalmente la richiesta accorata di “trovare e costruire strade per la pace” non significa certo per il Quirinale allentare l’aiuto all’Ucraina, ne’ tantomento un affievolimento dell’esatta percezione di dove si trovi l’aggressore e dove l’aggredito. Certo, la corsa forsennata e disordinata ad armarsi non è la strada giusta per il presidente che da sempre chiede una riorganizzazione della Difesa europea. Una visione organica e strutturata ben diversa dalle folli e dispendiose corse individuali agli armamenti. Resta, per Mattarella, l’Onu, “con tutte le sue difficoltà”, il luogo in cui “si incontra il mondo per cercare di convivere in modo sereno. “Siamo convinti che questo è il luogo in cui il mondo può trovare una sintesi positiva”, assicura ai funzionari italiani che lavorano per il Palazzo di vetro.

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