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Cronache

Scatola nera e 27 reperti,le chiavi della strage del bus

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Il materiale da consegnare ai periti per ricostruire cause ed effetti dell’incidente del bus a Mestre è praticamente pronto, numerato e schedato. Tra gli investigatori si dice che “la strada parla”. Nei 50 metri di cavalcavia “strisciati” dal mezzo sono stati individuati 27 elementi, tra segni delle ruote, pezzi di una porta, lo specchietto retrovisore sinistro, un bullone del guardrail. Tracce che sono state fotografate e digitalizzate. Dalla scatola nera del bus è già stata estratta la scheda di gestione. Il telefono dell’autista, provvisto di due schede Sim, è stato acquisito e sono stati sentiti molti testimoni, finora una ventina. E’ una indagine che si preannuncia lunga, così come i tempi nei quali i consulenti tecnici riusciranno a fornire risposte alla Procura.

Non sarà facile la perizia sul guardrail, “appena avremo trovato il consulente idoneo” aveva detto il Procuratore, Bruno Cherchi. Soprattutto si attendono i primi responsi dell’autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, l’autista della corriera, morto con gli altri passeggeri. Fin dall’inizio, testimonianze e video delle telecamere poste sul viadotto, hanno portatro ad ipotizzare una causa principale: un malore del conducente, che avrebbe per questo perso il controllo del pullman, fino a farlo precipitare dal cavalcavia della Vempa. Su questo, però, bisognerà aspettare le comunicazioni del Procuratore Cherchi, l’unico autorizzato a parlare. Così in sua assenza, oggi, a palazzo di giustizia nessuno ha profferito verbo. Nemmeno la pm Laura Cameli, titolare del fascicolo aperto per omicidio stradale plurimo. Che al momento, non avrebbe ancora indagati iscritti. Sono diversi i capitoli di indagine sui quali stanno lavorando senza sosta squadra mobile della Questura, Carabinieri e Polizia Municipale di Venezia; il cavalcavia, il bus, la scatola nera, i video dell’incidente, il telefonino dell’autista, i testimoni che quella sera erano sulla strada. Sono una ventina le persone sentite dagli investigatori.

Tra queste c’è quella, ritenuta particolarmente rilevante, di un poliziotto che si trovava fuori servizio, ma che è intervenuto per primo, mettendo a disposizione un estintore, e lanciando l’allarme. L’indagine prosegue con tre distinte linee di accertamenti: c’è chi ha sentito i feriti, chi ha raccolto le versioni dei testimoni, occupandosi anche delle operazioni di identificazione delle vittime, chi ha effettuato la repertazione degli elementi e delle tracce lasciate dal pullman sull’asfalto e sul guardrail. Per capire cosa è successo martedì sera, sarà fondamentale il video ripreso dalla telecamera della ‘Control room ‘ della municipale. C’è poi l’intero bus, con la scatola nera, attraverso la quale si avranno le immagini delle telecamere interne del mezzo, e le batterie dell’impianto elettrico, Tutte le tracce sull’asfalto e sul luogo dello schianto – il pullman è caduto da un’altezza di 10 metri – , nonché i vari componenti del mezzo sono stati fotografati e digitalizzati. Sotto sequestro anche il guardrail. Dalla scatola nera , recuperata tra i primi oggetti, è già stata estratta la scheda di gestione.

Per esaminarla, essendo una prova irripetibile, la Procura dovrà fissare un incidente probatorio. E in quel momento arriverà l’iscrizione dei primi indagati, che diventeranno le future parti nel procedimento. L’autopsia potrebbe fornire ‘la madre di tutte le prove’. Ma non meno importante sarà l’esame del telefonino dell’autista, provvisto di due schede telefoniche, una aziendale e una personale. E’ stata fatta già richiesta dei tabulati che la compagnia telefonica sta per produrre. Infine, si stanno acquisendo le immagini dei telefonini delle persone che quella sera sul cavalcavia hanno ripreso la scena, o di quelle che l’hanno ripresa da lontano, dalla stazione di Mestre. Pare arrivato anche il tempo del rimpatrio delle salme delle 20 vittime del disastro, la 21ma era l’autista italiano. “Credo che i tempi per il rimpatrio saranno brevissimi – ha detto il Prefetto, Michele di Bari – E’ in corso di predisposizione la documentazione, entro domani sera tutte le salme saranno ricomposte e consegnate ai familiari”.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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