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Salvini riunisce la Lega in Veneto prima del congresso

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Matteo Salvini raduna 2.000 attivisti alla Fiera di Padova per l’ultimo degli eventi precongressuali della Lega, sotto la parola d’ordine dell’Autonomia e cerca di serrare le fila e tacitare i mugugni della base in Veneto, agitata dallo spettro dell’entrata nel partito di un “corpo estraneo” come Roberto Vannacci. E, inoltre, dalla sensazione che la linea sovranista vada contro il federalismo e il radicamento territoriale, che, da queste parti, ha fatto la fortuna del movimento. Nella sala congressi c’è Luca Zaia, sempre al centro delle aspettative per un terzo (o quarto) mandato in Regione, assieme ai presidenti leghisti del Nord: il lombardo Attilio Fontana, il trentino Maurizio Fugatti, il friul-giuliano Massimiliano Fedriga. Tutti a ribadire dal palco l’obiettivo dell’autonomia, assieme al ministro Roberto Calderoli, che promette a breve il passaggio in Cdm della legge per la definizione dei Lep, anche se “qualcuno fa melina”.

C’è il vicesegretario federale e segretario veneto Alberto Stefani. Si vede il capogruppo Riccardo Molinari, i sottosegretari Ostellari e Bitonci e molti amministratori locali. Assenti alcuni dissidenti “eccellenti” come Roberto Marcato, boss delle preferenze ed esponente dell’anima più localista della Lega. “I sondaggi danno la Lega in crescita – è il mantra di Salvini – in Veneto ormai siamo a 161 sindaci e più di mille amministratori locali: siano prontissimi alle elezioni regionali, che siano in autunno o in primavera”. L’obiettivo è quello di essere il primo partito in Regione, posto da cui il Carroccio è stato scalzato alle politiche da FdI. Su questa strada tuttavia c’è l’incognita del destino di Zaia, in attesa della pronuncia della Consulta sul tetto ai mandati, che per Salvini è “una risorsa fondamentale” e “sarà della partita, in quale veste lo vedremo”. “Immagino – commenta il presidente veneto – che il riferimento sia all’idea di fare il capolista in tutte le province: è una cosa che discuteremo nel momento in cui sarà necessario, adesso ci sono ben altri problemi di cui parlare”. Interlocutoria anche la posizione sul generale Vannacci, che, nel Nordest, ebbe un’ottima prestazione alle europee e del quale si vocifera a proposito di un ruolo all’interno della segreteria del partito, ma che la base percepisce come un corpo estraneo. Anche qui, sia Salvini, sia Zaia si limitano a dire che “non è un iscritto”.

Ma il segretario federale sottolinea che la Lega è “un partito aperto a tutti. Credo che la Lega debba coinvolgere, allargare – osserva – io sono qui da 35 anni, ma chi arriva domani mattina per me è il benvenuto se condivide le nostre battaglie. E Roberto è una persona che ha preso mezzo milione di voti”. Sul piano politico, Salvini ribadisce gli attacchi all’Europa e alla politica di riarmo, anche se vede la Lega come un “collante” della coalizione. Anzi, parla di un’alleanza che andrà avanti fino al 2032 “perché abbiamo tanti cantieri” da inaugurare per quella data. Stretto fra l’Autonomia e la coesione di maggioranza, in nome del Premierato e della critica all’Europa, appare solamente accennato invece il tema scottante dell’identità locale e della questione settentrionale, che avevano agitato il congresso della Lega Lombarda e che sono pure presenti nella mozione congressuale presentata da Stefani in Veneto.

“Il consenso è direttamente proporzionale – ammonisce Zaia – al profilo identitario. I partiti perdono voti quando perdono identità”. “Quindi – spiega – è fondamentale che una Regione molto identitaria come il Veneto, per quanto riguarda la Lega, sia la Regione che ripropone la questione dell’identità, che è il carburante del consenso per il partito, ma anche del legame che noi abbiamo con il popolo”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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