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Cronache

Regeni, spunta supertestimone: rogatoria del pm di Roma in 12 punti

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Nuova rogatoria nel caso del rapimento, tortura e omicidio di Giulio Regeni. In dodici punti i pm della Procura di Roma ricostruiscono e mettono a disposizione degli omologhi egiziani il lavoro investigativo degli ultimi sette mesi chiedendo conferme su alcune novita’ che potrebbero rivelarsi determinanti nell’accertare quanto avvenuto al Cairo tra il 25 gennaio e il 3 febbraio del 2016. In primo luogo il racconto di un supertestimone, che sarebbe stato anche ascoltato a piazzale Clodio, che nell’estate del 2017, avrebbe carpito una sorta di confessione da parte del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, uno dei cinque appartenenti agli apparati di sicurezza egiziana finito nel registro degli indagati a Roma. Nel corso di un incontro in Africa, l’uomo ha sentito l’indagato affermare che Giulio “era stato preso e picchiato da lui perche’ sospettato di essere una spia inglese”. Sul punto il riserbo dei magistrati capitolini è massimo ma, in base a quanto si apprende, nella rogatoria inviata venerdi’ scorso, dopo una lunga telefonata tra i titolari dell’indagine italiana ed egiziana, sono state allegate anche le dichiarazioni del testimone.

Il nuovo documento comprende anche il lavoro svolto in questi mesi dai carabinieri del Ros e uomini dello Sco. Gli inquirenti italiani chiedono alla magistratura egiziana notizie relative ad una serie di soggetti, in totale sarebbero una decina di persone, tutte appartenenti agli apparati pubblici egiziani, che gravitavano nell’orbita dei cinque indagati: oltre a Abdelal Sharif, il generale Sabir Tareq, il colonnello Uhsam Helmy, l’assistente Mahmoud Najem e il colonnello Ather Kamal. Ufficiali, alti funzionari e agenti che si sono adoperati per mettere sotto controllo Regeni dopo la denuncia di Mohamed Abdallah, figura di spicco nel sindacato degli ambulanti, che aveva raccontato alle forze di sicurezza egiziane del ricercatore italiano, della sua intenzione di svolgere un dossier per conto dell’universita’ di Cambridge e dei soldi, circa 10 mila sterline, da lui promessi per effettuare la ricerca. Il secondo elemento della rogatoria riguarda gli spunti investigativi presenti nelle tre memorie che il legale della famiglia Regeni ha messo a disposizione del pm Sergio Colaiocco e che rappresentano l’attivita’ di indagine difensiva effettuata tra cui anche il racconto del supertestimone. Parole che ora i magistrati capitolini mettono a disposizione anche ai colleghi egiziani per cercare riscontri e proseguire nella collaborazione investigativa. In base a quanto accertato fino ad oggi, ad oltre tre anni dai fatti, l’attivita’ di controllo degli 007 cairoti su Regeni inizia l’11 dicembre del 2015. Giulio viene fotografato da uno sconosciuto nel corso di una assemblea sindacale.

E’ lo stesso italiano a raccontare ad alcuni suoi colleghi questo episodio. I servizi segreti in quei giorni cercano informazioni su di lui al punto che il 15 dicembre un agente della National Security, Najem, collaboratore del colonnello Helmy, si reca presso l’abitazione di Regeni per cercare di mettere le mani su una copia del suo passaporto senza pero’ riuscirci. Il 7 gennaio? successivo, dopo che Regeni era rientrato in Egitto, viene videoregistrato un incontro tra lui e Abdallah a cui gli 007 forniscono l’apparecchiatura. Dopo quell’incontro le comunicazioni tra il responsabile sindacale e uomini degli apparati si intensificano. Regeni dal ?22 gennaio? viene pedinato: una attivita’ proseguita fino al 25 (data in cui ricorreva l’anniversario della rivoluzione del 2011) quando di Giulio si perdono le tracce. E alla nuova rogatoria dei pm capitolini e’ arrivato il sostegno del ministro Moavero.”Il ministro Moavero sostiene la rogatoria della Procura di Roma, nel forte auspicio che contribuisca al percorso di giustizia per Giulio Regeni, in coerenza con le assicurazioni in tal senso, piu’ volte ricevute dalle autorita’ egiziane”, scrive la Farnesina in un tweet.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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