Tutti in Italia conoscono la guerra di Crimea, scoppiata nel 1853 e durata oltre due anni, per il coinvolgimento del Regno di Sardegna in preparazione e consolidamento dell’alleanza con Napoleone III che porterà alla nostra seconda guerra di indipendenza. Pochi ricordano però che questa fu una guerra di religione. Una guerra francese, prontamente secondata dagli inglesi: il duetto si era già visto all’opera in un clamoroso successo imperialistico in Cina qualche anno prima, con le guerre dell’oppio. Di più, una guerra tra cristiani che si disputavano il controllo dei Luoghi Santi: cristiani cattolici da una parte, appoggiati e incoraggiati diplomaticamente e militarmente dalla Francia; cristiani ortodossi, dall’altra, appoggiati e incoraggiati dalla Russia. In mezzo, l’Impero Ottomano, che aveva il controllo giuridico, politico e militare dei Luoghi Santi. La Sublime Porta non poteva starsene certo con le mani in mano di fronte alla disputa franco-russa e,al tempo stesso, era sottoposta alle pressioni della Francia, che la minacciava addirittura con la sua temibile flotta.
Il Sultano e lo Zar. Sono gli stessi che, col nome di RecepTayyin Erdogan e Vladimir Putin, oggi reggono le sorti della Libia. Il primo è il tutoremassimo –e più che bastante-di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, capo del Governo di Accordo Nazionaletripolino, voluto dalla comunità internazionale e miseramente abbandonato dagli occidentali: Stati Uniti compresi, Europa compresa, Nazioni Unite comprese. Il secondo rappresenta la parte più cospicua dell’icebergdi interessi stranieri su cui si regge Khalifa Haftar, il signorotto della guerra cirenaico, noto dal tempo in cui comandava non brillantemente le armate gheddafiane scatenate sul fronte Sud contro il Ciad per la questione della striscia di Aouzou (1978-1987): un personaggio ambiguo da sempre, sospettatonon senza ragioni di essere un agente dei Servizi americani, oggi alla testa di un cosiddetto Esercito Nazionale Libico, che può contare anche sugli appoggi di Egitto, Arabia Sauditaed Emirati Arabi.
Confronto storico, dunque, quello tra l’impero sultanale e l’impero zarista. Che oggi si risolve in una guerra per procura tra Russia e Turchia, già in atto da tempo nella martoriata Siria. Queste due potenze mettono in campo non solo risorse finanziarie e logistiche, con adeguato supporto di armamenti, al servizio dei contendenti locali, di Tripoli e di Bengasi, ma addirittura forze combattenti, uomini sul terreno, dissimulati con due ridicole foglie di fico: mercenari privati gli uni, dicono aMosca, milizie siriane lealtre, dicono ad Ankara. Un migliaio i primi, si stima, forse 7.000 i secondi.
Qualche rapida, sconfortante considerazione per chiudere. Intanto, notiamo l‘assenza persistente dell’Europa in uno scacchiere geopolitico cruciale per la sicurezza del Continente. Come dite? La Francia? Parigi,come al tempo di Luigi Napoleone, fa i suoi giochi, non già gli interessi europei. Inquestocontesto,anzi, è un soggetto altamente pericoloso che ieri ha scatenato questa crisi infinita con gli irresponsabili bombardamenti di Nicolas Sarkozy e l’affossamento di Gheddafinel 2011, e oggi vuole essere “sur les lieux“, ma in modo del tutto incongruo, senza una politica bensì sull’onda di un appoggio oscillante tra l’uno e l’altro dei contendenti,a seconda di come ci si sveglia al mattino all’Eliseo.
Gli Stati Uniti? Bé, la faccenda ha radici antiche e suggerisco di dare un’occhiata al grande libro di M.B. Oren, Power, Faith and Fantasy, sull’America in Medio Oriente dal 1776 ad oggi, per avere una migliore cognizione delle cose che succedono laggiù quando si muove Washington. Del resto, anche gli europei non scherzano quanto a dilettantismo e malinteso senso degli interessi nazionali, come mostra un altro studioso da tenere sottomano, B. Lewis, col suo La costruzione del Medio Oriente. Certo, col Presidente che gli USA oggi si ritrovano, possono solo giocare al “tanto peggio, tanto meglio”. Sì, bé? Che vi aspettavate da uno che vuol mandare il 7° Cavalleggeri nientemeno che a Seattle, per far fuori i “radicali della sinistra democratica” che governano da quelle parti: Jay Inslee, governatore dello Stato di Washington, eJenny Durkan, sindaco della città, per di più donna! E ciò,solo perché alcune centinaia di cittadini stanno manifestando pacificamente nel centro della città, da loro stessi dichiarato, con linguaggio alquanto colorito, “zona autonoma”. Sia benvenuto lo sfascio, dunque, secondo l’ortodossia trumpiana, in Libia come in tutta la regione: si veda la vicenda siriana e si veda l’indigeribile vicenda curda. Ma non fatevi sfuggire quel che sta succedendo in Israele, dove il premier pro-tempore del governo di unità nazionale, più oltranzista che mai, si prepara a dare battaglia nientemeno che ad una sentenza della Corte Suprema israeliana che dichiara incostituzionale la legalizzazione degli insediamenti ebraici ubicati sulle terre private dei residenti palestinesi, mettendo in difficoltà i presupposti ei propositi del piano Netanyahu-Trump di annessione di parti della Cisgiordania.
E l‘Italia, dite? Il nostro Paese che pure ha interessi economici e geopolitici primari in questa vicenda? Non solo non è capace di sviluppare una linea coerente, che regga più di un giorno, ma proprio nel momento di maggior debolezza internazionale dell’Egitto –tra i primi e più convinti sostenitori di Haftar, sconfitto dopo 14 mesi di violenti attacchi in Tripolitania- manda avanti le sue vendite di armi al Cairo, senza porre nessuna contropartita che non sia il pagamento della fattura commerciale: neppure per quanto riguarda il ristabilimento delle condizioni “reali” per arrivare a uno straccio di verità sul caso di Giulio Regeni. Chissà se si troverà il modo di parlarne, nei prossimi Stati generali…..
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Ilaria Salis continua a essere trattenuta in custodia in Ungheria: la richiesta dei suoi legali di passare ai domiciliari è stata respinta dal tribunale di Budapest. Questa decisione è stata accolta con delusione dalla famiglia e dagli amici di Ilaria, ma non è stata una sorpresa.
Il giudice Jozsef Sós ha motivato la sua decisione dichiarando che “le circostanze non sono cambiate” e che esiste ancora il rischio di fuga. Questa risposta ha suscitato critiche sia in Italia che all’estero, con molte voci che vedono in questa decisione un segno della forza del governo Orban e delle sue politiche restrittive.
Roberto Salis, il padre di Ilaria, ha commentato che questa decisione è stata “l’ennesima prova di forza del governo Orban”, esprimendo preoccupazione per la sicurezza e il trattamento della figlia in carcere. Ha anche sollevato il tema delle condizioni detentive, sottolineando che Ilaria è stata presentata in tribunale con manette ai polsi, ceppi e catene alle caviglie, una situazione umiliante e degradante.
In una lettera scritta a mano, Ilaria Salis ha autorizzato la stampa italiana a pubblicare le foto che la ritraggono in manette, evidenziando così la sua determinazione nel far conoscere la sua situazione e nell’affrontare pubblicamente le ingiustizie subite.
Ilaria non è sola in questa battaglia per la giustizia. Il suo caso ha attirato l’attenzione di molti, inclusi artisti e intellettuali italiani come Zerocalcare, che si è unito al gruppo di persone minacciate mentre erano in Ungheria per supportare Ilaria.
Tuttavia, la situazione resta difficile e la prossima udienza fissata per il 24 maggio sarà cruciale per determinare il futuro di Ilaria. La sua storia non è solo una questione di giustizia individuale, ma solleva anche interrogativi più ampi sul rispetto dei diritti umani e sulla tutela delle libertà fondamentali in Europa.
L’aereo militare russo precipitato oggi vicino alla costa di Sebastopoli, in Crimea, sarebbe stato abbattuto dallo stesso esercito russo dopo il decollo dall’aeroporto di Belbek. Lo scrivono i media ucraini che citano il canale Telegram Crimean Wind. “A Sebastopoli le truppe russe hanno abbattuto il loro stesso aereo che stava decollando dall’aeroporto di Belbek”, si legge nel messaggio social che, citando testimoni oculari, aggiunge che il pilota è riuscito a lanciarsi fuori dal velivolo prima dello schianto.
Una notizia tragica dalla Germania, un giovane di 19 anni ha compiuto un gesto terribile, uccidendo a coltellate il padre, la madre e il fratello, ferendo anche gravemente sua sorella.
La strage familiare ha avuto luogo martedì sera, intorno alle 21, in un appartamento a Hohentengen, un piccolo comune del Baden-Württemberg, al confine con la Svizzera. Il giovane si è arreso alle autorità senza opporre resistenza ed è stato incriminato per triplice omicidio doloso e tentato omicidio della sorella. Quest’ultima, sebbene gravemente ferita, è fuori pericolo di vita.
Le vittime, Erminio Congiu e Annalisa Prasciolu, genitori di 58 e 61 anni, sono decedute sul colpo, mentre il fratello, di 34 anni, è spirato in ospedale nonostante i tentativi di rianimazione. La famiglia proveniva dai comuni sardi di Silius e Ballao, nella provincia Sud Sardegna, e la madre tornava spesso sull’isola per visitare le sue sorelle.
Il Baden-Württemberg, con capoluogo Stoccarda, è una regione storica per l’emigrazione italiana, e la comunità italiana, compresa quella sarda, ha radici profonde in questa zona. Il giovane presunto responsabile dell’omicidio possiede la doppia cittadinanza, tedesca e italiana. Le autorità tedesche sono ancora caute nel fornire ipotesi sui motivi che hanno spinto il giovane ad agire in modo così violento: il movente è oggetto di indagine.
A Silius, dove risiedono molti parenti delle vittime, il sindaco Antonio Forci ha espresso il suo cordoglio per l’accaduto, definendo la vicenda “triste” e “scioccante”. È ancora presto per decidere dove saranno seppellite le vittime, ma è probabile che la comunità si stringa intorno alla figlia sopravvissuta e ai familiari in questo momento di profondo dolore.