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Prima di Meloni all’Eliseo, faccia a faccia con Macron

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L’incertezza fino all’ultimo, poi l’annuncio: alla sua prima visita in Francia da quando è premier, Giorgia Meloni varcherà la soglia dell’Eliseo per l’atteso faccia a faccia con Emmanuel Macron. L’occasione per volare a Parigi è in realtà quella del sostegno alla candidatura di Roma a ospitare l’Expo 2030, ma il mancato invito, dopo lo scontro frontale sui migranti, le accuse dei ministri francesi, e gli incontri a latere di altri eventi per smorzare i toni, sarebbe certamente diventato un caso. Le diplomazie hanno lavorato fino all’ultimo per creare lo spazio, e preparare il terreno, per un bilaterale (con dichiarazioni alla stampa) che assume un valore simbolico, nella speranza di una virata nelle relazioni Italia-Francia, piuttosto burrascose nei primi mesi del governo di centrodestra. I rapporti tra i due, si continua a sottolineare da parte italiana (ma lo ha detto più volte la stessa Meloni) sono sempre stati “buoni”. E i toni sopra le righe di alcuni ministri ed esponenti del partito che sostiene Macron derubricati a mere necessità di politica interna. Lo stesso presidente francese a metà maggio a Reykjavik aveva dichiarato pubblicamente che l’Italia non può essere “lasciata sola” davanti alla “pressione” dei flussi migratori.

Ma la distanza tra le parole e i fatti si misurerà presto, quando a Bruxelles il Consiglio europeo di fine mese dovrà affrontare il dossier migranti. Il più urgente, per il governo italiano, perché con l’estate gli sbarchi, che già si sono moltiplicati in modo esponenziale in questi mesi, non faranno che aumentare, a maggior ragione se non si troverà una soluzione per la Tunisia. Un tema, quello degli aiuti a Tunisi, e più in generale degli equilibri nel Mediterraneo, che saranno nel menù dell’incontro, dopo i due viaggi di Meloni in Tunisia e quello, giusto alla vigilia del faccia a faccia, dei ministri dell’Interno tedesco e francese, Nancy Faeser e quel Gérald Darmanin che non era stato affatto tenero con la gestione italiana dei migranti. Nei confronti dell’Africa, ma in generale dei paesi in via di sviluppo, il presidente francese è peraltro parecchio attivo, e giovedì e venerdì sarà padrone di casa di un summit promosso da Parigi per un nuovo patto finanziario internazionale con la presenza di numerosissimi paesi africani (è atteso anche Kais Saied), cui l’Italia, che sta a sua volta promuovendo il piano Mattei per l’Africa, dovrebbe partecipare anche se non si sa ancora a quale livello.

Meloni arriva a Parigi per partecipare all’assemblea del Bureau international des exposition dove le quattro candidate a ospitare l’Expo del 2030 ancora in gara cercheranno di convincere i delegati a dare loro il voto a novembre. Prima dell’Italia toccherà alla saudita Riad – la più agguerrita e sostenuta fin dall’inizio proprio da Macron – e alla coreana Busan, mentre gli ucraini spingeranno Odessa in chiusura. Poi la premier si sposterà all’Eliseo, dove sarà accolta da Macron ai piedi della scalinata alle 17.30. In serata dovrebbe poi partecipare al ricevimento all’ambasciata italiana sempre per Expo. Il vertice con Macron sarà anche l’occasione per stringere i rapporti bilaterali (il Trattato del Quirinale, non a caso, sarà al centro dei colloqui) ma potrebbe segnare un punto, per l’Italia, anche nella ricerca di alleati sulla riforma del Patto di stabilità Ue. Lì le “convergenze”, sottolinea un ministro, si possono trovare, sullo scorporo di alcuni investimenti (quelli strategici, e legati al Pnrr, come chiede l’Italia, o quelli sulla Difesa, su cui preme la Francia), con l’obiettivo di rinsaldare l’asse Roma-Parigi per contrastare il rigorismo di Berlino. Tra i temi del bilaterale, come ha fatto sapere la presidenza francese, ci sarà anche la Nato, in vista del vertice di Vilnius di luglio, che dovrà affrontare anche la controversa questione dell’ingresso dell’Ucraina, altro tema su cui l’allineamento non è, al momento, in discussione.

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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