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Pena di morte, in Arizona rispolverano la camera a gas

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Il mix di veleni per l’iniezione letale scarseggia sempre di piu’ negli Stati Uniti, cosi’ l’Arizona per giustiziare i detenuti nel braccio della morte si appresta a rimettere in uso la camera a gas. L’amministrazione penitenziaria dello Stato, guidato dai repubblicani, non solo starebbe rinnovando la struttura in disuso da tempo, ma avrebbe gia’ acquistato oltre 2.000 dollari di sostanze velenose usate per realizzare l’acido cianidrico, lo stesso gas usato dai nazisti nel campo di sterminio di Auscwitz. La rivelazione e’ del Guardian, secondo cui sarebbero gia’ stati individuati i due condannati a morte che potrebbero entrare per primi nella camera a gas rimessa a lucido, entrambe colpevoli di omicidi compiuti oltre 30 anni fa: Frank Atwood, un uomo di 65 anni che uccise una ragazzina di 8 anni nel 1984, e Clarence Dixon, anche lui 65 anni condannato per l’assassinio di uno studente universitario nel 1978. E’ la legge dell’Arizona a prevedere il ricorso alla camera a gas come sistema alternativo all’iniezione letale, anche se l’ultima esecuzione con le esalazioni di acido cianidrico risale al 1999, quando Walter LaGrand, un cittadino americano di origini tedesche condannato per una rapina in banca costata la vita a una persona, fu gasato tra mille sofferenze. Un’agonia, riportano i giornali dell’epoca, durata piu’ di 18 minuti, con i testimoni scioccati di fronte alle convulsioni della vittima mentre il gas saliva e riempiva l’ambiente come fa il vapore in una doccia bollente. Ma il governatore Doug Ducey sarebbe determinato a riprendere ad ogni costo le esecuzioni, sospese in Arizona dal 2014, da quando per l’inadeguatezza dei veleni utilizzati per l’iniezione letale il detenuto Joseph Wood fece una fine orribile che provoco’ sdegno in tutta America e nel mondo. L’Arizona non e’ l’unico Stato Usa a prevedere il ricorso alla camera a gas nella sua legislazione: condivide questo orrore con Alabama, California, Mississippi, Oklahoma e Wyoming. Di recente altri Stati Usa, per far fronte alla penuria di veleni per l’iniezione letale, hanno riesumato altri metodi di esecuzione dei condannati a morte come la fucilazione (vedi la recente legge entrata in vigore in South Carolina) o la sedia elettrica (prevista in Alabama, Arkansas, Florida, Kentucky, Mississippi, Oklahoma, Tennessee e ancora la South Carolina).

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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