Catello Maresca è stato uno di quei magistrati che ancora giovanissimo hanno catapultato appena indossata la toga nella trincea della lotta alle mafie. Dal 2007 in poi s’è occupato del clan dei casalesi. Erano anni difficili per chi faceva il magistrato. E la cosca mafiosa casertana era all’apice della sua potenza militare ed economica. Portano la firma di Maresca importanti inchieste che hanno portato in carcere centinaia di boss e picciotti mafiosi casalesi. Sono sempre sue alcune delicate inchieste che hanno consentito allo Stato italiano di sequestrare prima e confiscare poi beni per centinaia di milioni di euro intestati a soggetti organici al clan del casalesi che si occupavano di riciclare o investire queste risorse nell’economia legale in Italia e in altri paesi europei.
Il Capo del clan dei Casalesi. Michele Zagaria fu catturato dopo 16 anni di latitanza grazie al pm Maresca e alla squadra catturandi della polizia
Il capo dei capi del clan dei Casalesi, Michele Zagaria, e con lui altri boss di prima grandezza, sono stati arrestati dopo 16 anni di latitanza grazie a tecniche investigative innovative che portano sempre la firma di Catello Maresca. Sono tecniche investigative di un magistrato impegnato sul campo giorno e notte assieme ad uomini e donne delle forze di polizia che in questi anni hanno lavorato con lui. Tecniche che una studentessa universitaria ha studiato e ne ha fatto una tesi di laurea del corso di laurea di Scienza delle investigazioni dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. Ovviamente questi successi straordinari hanno procurato a Catello Maresca due piani criminali per assassinarlo, una scorta armata notte e giorno da più di 11 anni, una vita blindata, invidie, maldicenze e mascariamento. Sacrifici che lui ha affrontato e affronta con la filosofica rassegnazione di chi sa che la sua più che una professione è una missione. Maresca diluisce, nasconde le sue amarezze, i suoi affanni con molteplici impegni. È uno scrittore (ha scritto più di un libro), è un testimonial della lotta alla mafia sempre pronto a incontrare migliaia di giovani di scuole a parlare di legalità, è un docente universitario ed autore di un manuale universitario dedicato alla legislazione antimafia italiana. Poi è impegnato nell’associazionismo, si dedica assieme ad altri amici a creare le condizioni per dare un lavoro a giovani difficili o con un passato già difficile di Napoli. Oggi è con lui che facciamo 2 chiacchere.
Dottore Maresca come mai hai scelto di fare il magistrato?
L’ho scelto perché avevo un innato senso di giustizia e sentivo forte la necessità di servire il mio Paese in un settore nevralgico come quello della amministrazione della giustizia e della sicurezza. Ho avuto poi la fortuna di riuscire ad interpretare il mio ruolo proprio come avevo sognato potesse essere. Ho avuto maestri e colleghi straordinari, ho avuto la possibilità di lavorare con le più attrezzate polizie italiane e straniere, di sperimentare metodi investigativi innovativi e di raggiungere risultati straordinari nella lotta alla criminalità organizzata. Sono soddisfatto. In venti anni ho avuto la fortuna di fare esperienze che capitano raramente nella storia giudiziaria. Ho accumulato un bagaglio di esperienze che porterò sempre con me e che potrò raccontare a figli e nipoti.
Oggi chi combatte contro le mafie si trova davanti a fenomeni sempre più complessi, situazioni difficili.
Purtroppo nonostante se ne parli diffusamente ed ormai sia unanimemente riconosciuto da almeno oltre trenta anni che le mafie rappresentino un problema serio del nostro Paese, fattore di sottosviluppo economico e di arretratezza culturale, stenta però ad affermarsi la necessità di uno studio serio in materia, che possa condurre ad individuare ed applicare una strategia efficace di eradicamento delle mafie. Se ne parla spesso a sproposito e con poca consapevolezza. Quindi le soluzioni proposte, spesso propagandate come la panacea di tutti i mali, sono poco fruttuose se non addirittura inconcludenti.
Le mafie, non solo nel nostro Paese, sono un problema serio, ma non si affrontano con serietà a tutti i livelli. È come se si volesse combattere il cancro ricorrendo a riti tribali e a pratiche antiquate. E mentre alcuni di noi combattono con mille difficoltà per cercare di formare una coscienza tecnica adeguata al problema, le mafie continuano a prosperare, adeguandosi rapidamente ai mercati internazionali ed alle innovazioni tecnologiche. La lotta alle mafie deve essere soprattutto aggiornata altrimenti è destinata a fallire, come è accaduto fino ad oggi.
Sembra una affermazione molto forte.
Sì, ed è bene chiarire. La magistratura riesce con grandissimi sforzi a tamponare le emergenze che arrivano dai territori, ma manca una seria strategia complessiva per evitare che il fenomeno mafioso si ripresenti con modalità ancor più aggressive anche se con interpreti differenti. Per ritornare all’esempio di prima, somministriamo la Tachipirina per far scendere la febbre, ma la fonte del male resta lì intatta. Il problema non è la febbre ma che cosa causa quella febbre.
La domanda è: noi non vogliamo o non sappiamo estirpare la causa della malattia?
Sono un servitore dello Stato. Non potrei esserlo se le rispondessi che noi non vogliamo. Ma questo può essere fatto solo da uno Stato Apparato consapevole e complessivamente impegnato su questo fronte. Come è accaduto in passato per fenomeni ben più complessi ed ideologicamente più radicati come il terrorismo. In Italia sembra quasi che la presenza delle mafie ormai sia considerato come un male necessario, quasi come un fenomeno ineludibile. Noi magistrati, invece, abbiamo dimostrato coi fatti che non è così. Che si può combattere e vincere.
Il mascariamento viene spesso usato dai mafiosi e dagli utili idioti dei mafiosi. Mi sa dare una sua definizione di questo termine?
Quando la volpe non riesce ad arrivare all’uva dice che l’uva non è buona. Senza scomodare i classici, è sempre accaduto nella storia che ci si riduce ad infangare gli avversari in ogni modo possibile. Il problema è capire chi sono gli avversari perché talvolta i nemici sono in casa tua e devi guardarti le spalle sempre. Credo in assoluto che l’animo umano si lasci facilmente sopraffare dal proprio lato oscuro. E del resto ogni categoria è gelosa della propria mediocrità. Quando c’è qualcuno che eccelle, non si cerca di imitarlo o di capirne il motivo, ma si trova molto più comodo cercare di denigrarlo a prescindere utilizzando ogni metodo possibile, lecito o illecito.
Ora le faccio una domanda che pongo a tutti coloro che intervisto: lei che rapporto ha con la paura?
Ho paura tutti i giorni da quando faccio questo lavoro. Ho paura di sbagliare. Ho paura di essere ucciso. Ho paura di non raggiungere gli obiettivi che mi vengono affidati. Ma mai un attimo questa paura ha condizionato il mio modo di interpretare la funzione che ho sempre visto come quella di un servitore dello Stato impegnato contro il crimine ed i criminali.
C’è qualcuno a cui vuole dire grazie per averle consentito di svolgere la sua professione a così alti livelli nella lotta alla mafia?
Ci sono tantissimi colleghi magistrati cui sono legato che mi hanno dato tanto in termini umani e di professione. Nel pianeta giudiziario italiano tanto ingiustamente vituperato ci sono una marea di persone che ogni giorno fanno sacrifici incredibili per rispondere alla domanda e all’ansia di giustizia degli italiani. Non faccio nomi, non basterebbe un giornale intero e farei torto a tanti dimenticandomi di citarli. Approfitto di questa domanda, però, per dire grazie a quei ragazzi (uomini e donne) che sono cresciuti con me e che da 11 anni proteggono la mia vita, vivono praticamente con me, fanno parte della mia famiglia. Voi li chiamate scorta, io li chiamo familiari. Sono persone straordinarie. Ogni complimento per questi servitori dello Stato che ogni giorno proteggono bersagli delle mafie sarebbe superfluo. Nessuno di noi può capire fino in fondo quali e quanti sacrifici personali e familiari fanno oltre a rischiare la vita.
Catello Maresca. Nella foto assieme al procuratore generale Luigi Riello e al pm Cesare Sirignano
Cambio registro, le faccio una domanda su una sua passione: i presepi. Com’è nata?
Ho ereditato questa come tante altre passioni e tanti valori da mio padre che non c’è più da una decina di anni. Da allora cerco di passarla ai miei figli come tutte le sane tradizioni familiari. Sono cattolico praticante ed il presepe nella mia idea era e resta simbolo della cristianità ed il modo artistico per raccontare il mistero della Natività.
Come vede il futuro del nostro Paese?
Purtroppo non ho sensazioni positive. A volte penso che il mondo vada all’incontrario. Sono molto preoccupato per i miei figli. Ho lottato per tutta la vita per cercare di dare il mio piccolo contributo per migliorare le condizioni generali di vivibilità, di sicurezza e di giustizia. E continuerò a farlo fino allo sfinimento con la speranza di non essere costretto a consigliare ai miei figli di andare via dall’Italia.
Il comico non è indagato, ma il suo nome compare nelle carte dell’inchiesta genovese. Tra i beneficiari dei biglietti gratuiti concessi dalla compagnia di navigazione Tirrenia, emergono anche Beppe Grillo, suo figlio Ciro e i coetanei coinvolti con lui nella vicenda giudiziaria per il presunto stupro di una studentessa italo-norvegese nella villa sarda del fondatore del Movimento 5 Stelle. Il loro nome compare nelle carte di “Traghettopoli”, la maxi inchiesta della Procura di Genova coordinata dal pm Walter Cotugno, che indaga su un presunto sistema di favori e biglietti omaggio nel mondo dei trasporti marittimi.
Nessun indagato, ma l’ombra del privilegio
Grillo e gli altri non sono indagati, ma la loro presenza nella lista dei beneficiari rappresenta un elemento significativo dal punto di vista politico e simbolico. A far rumore è il coinvolgimento di chi, come Grillo, si è sempre presentato come il paladino della legalità e della lotta ai privilegi della casta. Il momento è delicato per l’ex comico, già ai margini del suo stesso movimento dopo la rivoluzione voluta da Giuseppe Conte, che ha preso le redini del partito.
34mila biglietti omaggio in sei anni
Secondo gli investigatori, in sei anni le compagnie del gruppo Onorato avrebbero distribuito quasi 34mila biglietti gratuiti. Un dato che, secondo la Procura, dimostrerebbe l’esistenza di un “meccanismo corruttivo impressionante”, con coinvolgimenti in diversi settori delle forze dell’ordine, delle capitanerie di porto, di almeno due magistrati e funzionari pubblici. I beneficiari ricevevano i biglietti in cambio di presunti trattamenti di favore.
Achille Onorato si avvale della facoltà di non rispondere
Nell’inchiesta è indagato anche Achille Onorato, figlio dell’armatore Vincenzo Onorato. Il giovane imprenditore si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio, senza che sia stata richiesta alcuna misura cautelare nei suoi confronti. Il suo nome compare accanto a quelli di dirigenti e referenti del gruppo Onorato che avrebbero avuto ruoli centrali nella gestione del sistema dei biglietti.
Il precedente: il caso archiviato a Milano
Nei mesi scorsi il tribunale di Milano ha archiviato un’altra indagine che vedeva coinvolti Beppe Grillo e Vincenzo Onorato per presunto traffico di influenze illecite. L’accusa sosteneva che Grillo, tra il 2018 e il 2019, avesse girato a tre parlamentari del Movimento richieste di aiuto da parte di Onorato, in cambio di contratti pubblicitari per promuovere la compagnia Moby sul suo blog. La Procura ha infine stabilito che non c’erano elementi sufficienti per procedere.
E’ stata trovata morta in serata la ragazza di 23 anni di cui era stata denunciata ieri la scomparsa a Bologna. La polizia aveva avviato indagini e ricerche. Non si esclude che si tratti di un gesto volontario, ma saranno fatti accertamenti.
Duplice omicidio seguito da suicidio questa sera nel cuore di Volvera, cittadina della pianura torinese a 25 chilometri dal capoluogo piemontese. In un appartamento al primo piano di un condominio di via XXIV Maggio 47, un uomo di 34 anni ha ucciso a coltellate i suoi due giovani vicini di casa – una donna di 28 anni e un uomo di 23 – per poi togliersi la vita con la stessa arma.
Secondo una prima ricostruzione, il delitto sarebbe maturato al culmine di una lite esplosa tra la coppia e l’aggressore, già noto alle forze dell’ordine. Per compiere l’atroce gesto, il 34enne avrebbe usato un coltello da sub, colpendo a morte prima i due vicini, che avrebbero cercato invano di fuggire nel cortile dell’edificio, e poi si sarebbe inferto un fendente mortale alla gola.
I primi a intervenire sono stati i carabinieri della stazione di None e i soccorritori del 118, seguiti dai militari del comando provinciale e dalla compagnia di Pinerolo. I corpi sono stati trovati nel cortile della palazzina: per tutti e tre non c’è stato nulla da fare. Sul posto anche la Scientifica, impegnata nei rilievi e nell’analisi della scena del crimine.
Le indagini sono in corso per chiarire le cause esatte della lite che ha scatenato la furia omicida. I carabinieri stanno ascoltando i vicini di casa e ricostruendo le relazioni tra i protagonisti della tragedia. La comunità di Volvera è sotto shock, sconvolta da una violenza improvvisa e brutale che ha spezzato tre vite nel cuore di una tranquilla zona residenziale.