“Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva”. In un Paese a stragrande maggiorana musulmana, il Marocco, dove i cattolici sono tra i 20 e i 30 mila, lo 0,07% della popolazione, il Papa indica ai fedeli il dialogo come condizione concreta e costante di vita, contro odi e divisioni. “Come non evocare la figura di San Francesco d’Assisi che, in piena crociata, ando’ ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil? – dice nell’incontro col clero nella cattedrale di Rabat – E come non menzionare il Beato Charles de Foucauld che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesu’ a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un ‘fratello universale’? O ancora quei fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali con un popolo fino al dono della propria vita?”. E’ un dialogo, prosegue citando il documento firmato ad Abu Dhabi col grande imam di Al-Azhar, che “diventa preghiera” e che “possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome ‘della ‘fratellanza umana’ che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini'”. Un dialogo, si puo’ dire, di cui e’ stato portatore e protagonista lo stesso Pontefice in questi due giorni in Marocco, nei suoi pronunciamenti davanti al popolo del Paese, nel rapporto con re Mohammed VI – tra i regnanti musulmani piu’ impegnati contro le derive fondamentaliste -, nel rispetto e nelle istanze di “fraternita’” mostrati verso il mondo islamico. Di tale fraternita’, il Papa esorta la piccola Chiesa locale a farsi “lievito” nel Paese, come in genere nei luoghi dove il cristianesimo e’ minoranza. “Le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesu’ e con gli altri”, afferma: “Il problema non e’ essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha piu’ il sapore del Vangelo, o una luce che non illumina piu’ niente”. Parlando poi alla comunita’ cattolica nella messa con 10 mila fedeli al Complesso sportivo Principe Moulay Abdellah, la piu’ partecipata mai celebrata in Marocco e ultimo evento della visita prima del rientro a Roma, Francesco ammette dapprima che “sicuramente sono tante le circostanze che possono alimentare la divisione e il conflitto; sono innegabili le situazioni che possono condurci a scontrarci e a dividerci. Ci minaccia sempre la tentazione di credere nell’odio e nella vendetta come forme legittime per ottenere giustizia in modo rapido ed efficace”. “Pero’ – prosegue il Papa nell’omelia – l’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima della nostra gente, avvelenare la speranza dei nostri figli, distruggere e portare via tutto quello che amiamo”. Percio’, “Gesu’ ci invita a guardare e contemplare il cuore del Padre. Solo da qui potremo riscoprirci ogni giorno come fratelli”. “Solo a partire da questo orizzonte ampio, capace di aiutarci a superare le nostre miopi logiche di divisione, saremo capaci di raggiungere uno sguardo che non pretenda di oscurare o smentire le nostre differenze cercando forse un’unita’ forzata o l’emarginazione silenziosa – conclude -. Solo se siamo capaci ogni giorno di alzare gli occhi al cielo e dire ‘Padre nostro’ potremo entrare in una dinamica che ci permetta di guardare e di osare vivere non come nemici, ma come fratelli”. E al termine della messa Francesco incoraggia ancora i fedeli “a perseverare sulla via del dialogo con i nostri fratelli e sorelle musulmani”: a essere cosi’ i “servitori della speranza”, motto del suo viaggio, “di cui il mondo ha tanto bisogno”.