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Paolucci vice di Arcuri nella Sanità, in Campania come commissario alla monnezza incassò più di mezzo milione di euro per il disastro rifiuti

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Massimo Paolucci è diventato il vice commissario nazionale per l’emergenza Covid-19 ovvero braccio destro di Domenico Arcuri, l’uomo che spende (senza dover rendere conto alla Corte dei Conti) decine di milioni di euro occupandosi del potenziamento delle infrastrutture ospedaliere necessarie a far fronte all’emergenza Coronavirus. È questa la novità del governo M5S-Pd in fatto di nomine nel corso di questa drammatica emergenza sanitaria in atto. Chi è Massimo Paolucci, che con l’insediamento del governo Conte II, il 24 settembre 2019 venne nominato Capo segreteria del Ministro della salute Roberto Speranza? Ha 61 anni, una militanza politica che inizia negli anni ’70 con il PCI. Da lì in poi ha scalato ogni posizione politica e di potere nei vari partiti che a sinistra hanno cambiato nel corso degli anni le insegne: PDS, DS, PD e oggi Articolo Uno, braccio destro del Speranza. È stato il ministro Speranza che  ha sistemato Paolucci, il suo capo della segreteria, nella centrale di spesa per l’emergenza Covid, conferendogli l’incarico di vice di Arcuri. Così lo tiene sotto controllo il commissario calabrese e può legittimamente influire meglio sulle scelte di spesa. In fondo lui è il ministro. Massimo Paolucci è stato eletto nel 1993 Consigliere Comunale di Napoli. È stato assessore comunale dal 1995 al 2001. Nel 2006 è stato eletto consigliere comunale dei Democratici di Sinistra.

 

Massimo Paolucci. Qui con il suo talent scout Antonio Bassolino

Dal 2006 al 2007 ha ricoperto anche la carica di Segretario Provinciale dei Democratici di Sinistra. È sempre stato un fedelissimo di Antonio Bassolino ai tempi del massimo fulgore dell’ex ministro del Lavoro e presidente della Regione Campania. Nel 2013 è stato eletto deputato nelle liste del Pd. Nel 2014, sempre nelle liste del Partito Democratico, è stato eletto Parlamentare europeo nella circoscrizione dell’Italia Meridionale. Vice capodelegazione del Partito Democratico. Fino a ieri era Capo della Segreteria del ministro Speranza. Oggi è vice commissario dell’emergenza Covid. Massimo Paolucci è già stato commissario. Dal 2001  al 2004 è stato commissario di governo per l’emergenza rifiuti in Campania. Di lui e del suo operato, come dell’operato di Raffaele Vanoli, Giulio Facchi (erano gli anni del saccheggio di risorse pubbliche da parte della camorra dei casalesi sull’affare rifiuti) sicuramente si ricorderà qualcosa l’allora militante grillino e animatore del meet up napoletano Roberto Fico oggi presidente della Camera dei Deputati. Per far capire a chi l’avesse dimenticato chi è Massimo Paolucci, senza abusare di aggettivi inutili e ridondanti, facciamo riferimento ad una relazione che il prefetto Corrado Catenacci (diventato commissario di Governo dopo Bassolino) inviò alla procura di Napoli il 17 giugno 2004. Ecco cosa scrisse Catenacci in questa relazione che si occupava delle eccessive spese del commissariato per i rifiuti: “Risultano, allo stato, corrisposti gli emolumenti di seguito indicati, comprensivi di rimborsi spese”.  E a seguire l’elenco contiene i nomi di Raffaele Vanoli (vicecommissario, 1.027.771 euro), Massimo Paolucci (commissario vicario, 518.229 euro), Giuseppe D’Antonio (subcommissario alle acque 773.153 euro), Giulio Facchi (subcommissario, 838.065 euro), Arcangelo Cesarano (subcommissario alle bonifiche, 547.351 euro), Riccardo Di Palma (presidente della Provincia, subcommissario,  419.957 euro). Ecco, questo è Massimo Paolucci. Quelli del M5S sanno chi è. L’hanno tanto avversato negli anni dell’emergenza rifiuti. Qual è il mestiere di Massimo Paolucci? Quelli del Pd quando parlano di Luigi di Maio dicono che è un “bibitaro”. Che pure è una professione. Paolucci invece non ha mai fatto un mestiere o comunque non c’è traccia pubblica del suo mestiere. Sempre e solo il politico. Dal 1977 ad oggi è sempre stato un politico. E a giudicare da quello che guadagna, non è male come professione. Come commissario, poi…

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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