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Migliaia di gilet gialli portano la guerriglia a Parigi: 60 feriti e devastazioni, oltre 500 arresti

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Scontri sugli Champs-Elysees fra polizia e gruppi di casseur a margine della manifestazione dei Gilet gialli. Ancora in serata, gli agenti, schierati in numero massiccio con autoblindati, hanno fatto indietreggiare dalla celebre avenue parigina gruppi di giovani con il volto coperto che agiscono da un paio d’ore indipendentemente dai manifestanti, che sono raccolti a place de la Republique.  Sono circa 400 i fermi effettuati a Bruxelles nel corso della manifestazione dei Gilet gialli. Lo riferisce la polizia stando all’agenzia Belga. In piazza c’erano quasi un migliaio di dimostranti.

Al grido di ‘Macron dimission’ duecento Gilet gialli francesi hanno bloccato per ore la barriera autostradale di Ventimiglia, in territorio italiano, fermando i mezzi in transito ai quali hanno distribuito volantini illustrando le ragioni della manifestazione, avvenuta in modo pacifico ma inaspettato e quindi non autorizzato. “Per l’Italia e per la Francia dobbiamo essere uniti”, hanno gridato i manifestanti ai megafoni. Pochi e colorati i fumogeni utilizzati. Il traffico ha subito diversi rallentamenti, con code fino a sei chilometri in entrambi i sensi di marcia. Nel corso della manifestazione i Gilet giallifrancesi, che erano partiti in mattinata dalla piazza antistante il municipio di Mentone, hanno cucinato la pasta grazie a una cucina da campo, hanno suonato e cantato la Marsigliese e l’Inno di Mameli, intonato con il pugno alzato. Non e’ mancata anche ‘Bella ciao’. Al termine della manifestazione hanno improvvisato un ‘trenino’ salutando le forze dell’ordine italiane: Polizia e Stradale, Carabinieri e Guardia di finanza, ai quali hanno provato a regalare una rosa gialla che pero’ non e’ stata accettata. I Gilet gialli non si sono persi d’animo e hanno provato a infilare le rose nei taschini delle divise, senza pero’ riuscirci. Prima di manifestare sull’autostrada, i Gilet gialli hanno organizzato un corteo a Mentone, la prima localita’ francese oltre il confine italiano. Partiti da Place Ardoino, dove si trova il municipio, hanno marciato fino alla frontiera a mare di ponte San Ludovico sempre intonando slogan contro il presidente Macron. Alcuni organizzatori hanno detto di aver chiesto anche la solidarieta’ da parte italiana, ma nessun Gilet giallo italiano si e’ presentato dall’altra parte del confine. Sciolto il corteo a Ponte San Ludovico, a sorpresa, i manifestanti sono saliti su auto e moto per raggiungere il casello sull’A10, simbolica linea di confine franco-italiana scortati da una safety car del gruppo. Alcuni di loro hanno coperto la targa con nastro adesivo. Terminata anche la manifestazione sull’Autofiori, i Gilet jaunes sono di nuovo saliti sui propri mezzi e stavolta al grido di ‘Vive la revolution’ hanno annunciato di voler raggiungere il casello dell’A8 francese de La Turbie, sopra il Principato di Monaco.

In questa situazione difficile, Emmanuel Macron non ha mai preso la parola per tutta la settimana cruciale del suo mandato, quella in cui all’Eliseo è circolata la parola “golpe” e la popolarità del presidente investito dalla rabbia dei gilet gialli è precipitata al minimo storico del 21%. Lo fara’ ad inizio settimana e il fatto che la situazione non sia precipitata oggi a Parigi lo aiutera’ nella sua iniziativa. Macron aveva condannato le violenze a 11.000 chilometri dal suo paese, mentre si trovava al G20 in Argentina, subito dopo che i suoi collaboratori gli avevano mostrato sul cellulare le terribili immagini degli Champs-Elysees. Dopo il rientro ha lasciato la scena al premier Edouard Philippe, considerato fino a quel momento l’uomo meno disponibile al dialogo con i gilet gialli. Per il presidente, solo rovesci: la popolarita’ a picco, i fischi durante l’omaggio alla tomba del milite ignoto profanata, gli slogan ostili quando e’ andato in visita a Puy-en-Velay, dove i casseur avevano incendiato la Prefettura. Per non parlare della pesante ironia via tweet centellinata da un Donald Trump che continua a ripetergli che la rivolta dei gilet gialli e’ la conferma che lui aveva ragione a bocciare gli accordi di Parigi sul clima. Il silenzio e la riflessione sono stati interrotti soltanto da incontri con rappresentanti delle forze dell’ordine o per riunioni con Philippe e gli stretti collaboratori per cercare di trovare una via d’uscita a questa crisi. E’ lui nel mirino della protesta, nonostante le concessioni volute personalmente, come la marcia indietro sull’ecotassa. Ed e’ lui che dovra’ risolvere il problema, uscendo dal silenzio per il quale in questi giorni e’ stato rimproverato anche dai portavoce dei gilet gialli, che l’hanno interpretato come “segno di disprezzo”. Prima di questo fine settimana di fuoco, non ha voluto parlare “per non gettare benzina sul fuoco”. Fra lunedi’ e martedi’ dovra’ farlo per ripartire con nuovo slancio e mostrare di aver “ascoltato” le richieste, compreso gli errori e pensato ai rimedi. Uno dei suoi consiglieri piu’ fidati, uno dei pochi con i quali e’ rimasto in contatto in questi giorni difficili, ha spiegato ad alcuni media francesi che Macron prendera’ la parola per “rimettere al centro della sua politica i principi della socialdemocrazia, che sono nel cuore della maggioranza, del suo movimento e dei suoi elettori”. Macron dovrà anche mostrare di essere pronto al dialogo e aperto alle consultazioni con quelli che stanno diventando i suoi veri partner sociali, i giletgialli, chiamati dal 15 dicembre a partecipare alle consultazioni con l’esecutivo sul futuro del paese, dalla fiscalità al lavoro, dall’ambiente agli investimenti. Con un occhio meno “metropolitano” e obiettivi forse meno ambiziosi della salvezza del pianeta, ma piu’ concreti e vicini alla Francia “del basso”.

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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Tanya Chutkan, la giudice che supervisiona il caso contro Donald Trump per l’assalto al Capitol, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito.

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Discussioni al Pentagono su come reagire a ordini illegali Trump

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Dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se Donald Trump dovesse dare un ordine illegale, come ad esempio dispiegare l’esercito internamente, e si stanno preparando all’eventualità che possa modificare le regole per poter licenziare numerosi funzionari pubblici di carriera. Lo riferisce la Cnn. Durante la campagna elettorale, Trump ha ventilato l’ipotesi di impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici e anche per respingere i migranti al confine col Messico. La legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Esistono anche timori che possa smantellare il ruolo dei civili nel Pentagono e sostituire il personale licenziato con dipendenti scelti per la loro lealtà nei suoi confronti.

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Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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