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Meloni media sugli aiuti ma Tunisi dice no ai diktat Fmi

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Dialogo ancora difficile fra Tunisia e Fmi, ma dopo lo stallo degli ultimi mesi, a Palazzo Chigi si dicono convinti che uno spiraglio si possa aprire. E’ l’effetto sperato della missione lampo di Giorgia Meloni a Tunisi e del colloquio di quasi due ore, con appendice informale sulla terrazza del Palazzo di Cartagine, per un caffè e un scambio di vedute, con il presidente Kais Saied, che però ha usato toni decisamente poco concilianti nei confronti del Fondo Monetario. Il tutto alla vigilia di un altro appuntamento cruciale nella strategia per fermare l’ondata migratoria: il faccia a faccia a Roma con il primo ministro ad interim del governo di unità nazionale della Libia, Abdul Hamid Dbeibah. La visita a Tunisi – è il bilancio sul fronte italiano – ha permesso di aprire un canale con il leader del Paese africano sull’orlo del default sulle condizioni per sbloccare gli aiuti finanziari da Fmi e Ue. Una base su cui ricominciare il negoziato. Anche se per proseguire servirà una certa elasticità sulle riforme chieste dal Fmi (via i sussidi su benzina e farina, tagli ai dipendenti pubblici) per concedere 1,9 miliardi di dollari di aiuti. Riforme che però sono state finora respinte da Saied.

A Meloni ha ribadito “il suo rifiuto di ogni diktat: chi fornisce ricette già pronte è come un medico che scrive una ricetta prima di diagnosticare una malattia, che non riguarderà solo la pace civile in Tunisia, ma interesserà l’intera regione senza eccezioni”. Si capirà di più nei prossimi giorni quando il ministro degli Esteri Antonio Tajani vedrà a Washington Antony Blinken, segretario di Stato Usa, e Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fmi: “Bisogna far capire a livello europeo e Fmi che bisogna avviare una trattativa, per accompagnare i finanziamenti alle riforme”. “Sono molto felice di parlare con lei dei nostri problemi. Oggi lei è una donna che dice a voce alta ciò che altri pensano in silenzio”, è stata l’accoglienza di Saied a Meloni (che ha incontrato anche la premier tunisina Najla Bouden Ramadan, considerata più conciliante), in un appuntamento attenzionato da molte cancellerie. “Una visita cruciale” per Bruxelles. A Saied, Meloni ha ribadito il sostegno e raccontato gli sforzi italiani per “una positiva conclusione dell’accordo tra Tunisia e Fmi, fondamentale per un rafforzamento e una piena ripresa del Paese”.

E il leader tunisino ha sollevato la questione della cancellazione dei debiti che gravano sul suo Stato e “della conversione in progetti di sviluppo”. La Tunisia chiede di avere prima i finanziamenti, per poi varare le riforme. L’Italia gioca da mediatore, come nei Balcani. Ha già fatto partire la procedura per i suoi 110 milioni di aiuti, e punta a un compromesso: sbloccare almeno parte dei sostegni di Fmi e Ue, a fronte di aperture da Tunisi. Saltato “per i tempi troppo stretti” il punto stampa previsto all’ambasciata, Meloni ha fatto il bilancio in un video di 9 minuti – duramente contestato per il mancato contraddittorio per l’assenza di giornalisti dal responsabile informazione del Pd, Sandro Ruotolo – registrato dopo l’incontro con Saied. La premier ha ribadito che con la Tunisia serve un “approccio pragmatico”.

E che sta lavorando per convincere Bruxelles ad accelerare il pacchetto di aiuti. Per farlo, ha detto, è pronta a tornare in Tunisia con Ursula von der Leyen. Ogni ragionamento, ovviamente, coinvolge anche le prospettive del Piano Mattei e soprattutto il controllo dei flussi migratori. “Abbiamo fatto fin qui un ottimo lavoro insieme alla Tunisia, gli sbarchi in Italia sono sensibilmente diminuiti a maggio rispetto a marzo e aprile”, ha detto la premier, ammettendo che l’estate però preoccupa. Più che irregolare, è “un’immigrazione disumana”, ha notato Saied, evidenziando i “molti oneri” sopportati dalla Tunisia, “non solo un punto di transito, ma anche una destinazione per molti immigrati illegali”. Il capo di Stato tunisino ha suggerito un vertice sul tema, e Meloni ha prospettato “una conferenza internazionale a Roma su migrazioni e sviluppo, da fare “nel minore tempo possibile”. Intanto sulla “capacità di gestione delle frontiere in Tunisia”, ha aggiunto la premier, l’Italia è pronta “a fare di più anche con il coinvolgimento dell’Unione europea, sul quale stiamo lavorando”.

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Economia

Nagel apre la partita sul Leone, Mps non si ferma

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Mediobanca gioca la sua mano nella partita del risiko bancario proponendo di scambiare la quota del 13% nelle Generali con la totalità delle azioni di Banca Generali. Un’operazione che da un lato trasformerebbe in un asset industriale una partecipazione finanziaria con cui i manager di Piazzetta Cuccia hanno sempre inciso sulle scelte strategiche del Leone e dall’altro aprirebbe nuovi scenari sugli assetti di controllo del grande ‘forziere’ del risparmio italiano. La mossa, di cui l’ad di Mediobanca Alberto Nagel (foto Imagoeconomica in evidenza) ha sottolineato la valenza industriale e la coerenza con il piano di Piazzetta Cuccia, ha però anche l’effetto non secondario di cercare di sottrarre la banca all’abbraccio sgraditissimo di Mps, la cui scalata potrebbe diventare più costosa se il mercato crederà alle promesse di Nagel e più complessa in uno scenario di integrazione a tre.

“L’operazione – scrivono gli analisti di Bofa – aggiunge incertezza e uno strato di complessità al progetto di un terzo polo Mps-Mediobanca”. Non la vedono così a Siena dove tira tutt’altro che aria di resa. Non solo l’offerta su Banca Generali viene giudicata non “ostativa” della scalata a Mediobanca ma viene anzi ritenuta in grado di “rafforzare il valore industriale” dell’operazione di Mps, che punta a aumentare la sua presenza nel wealth management e valuta “non strategica” e cedibile la quota nel Leone. Lovaglio può contare sul sostegno dei suoi grandi sponsor. Anzitutto del governo, dove fra i meloniani Banca Generali viene considerata la “risposta scaltra” di Nagel al Monte e si auspica che l’ops di Mps “vada in porto”.

Ma anche di Caltagirone e Delfin, che insieme hanno il 27,2% di Mediobanca e il 20% di Mps, e non appaiono intenzionati a deporre le armi, come dimostra l’astensione dei rappresentanti di Delfin nel cda di Mediobanca e la battaglia che potrebbero dare in Generali, anche sollevando il tema del conflitto di interesse di Mediobanca, i consiglieri del Leone eletti nella lista Caltagirone. Si tratterà di vedere se, alla prova del mercato, Nagel sarà in grado di convincere i suoi azionisti che è meglio una Mediobanca indipendente e con una solida presenza nel wealth management ad un matrimonio con Mps, che con Piazzetta Cuccia punta invece a diversificare il suo business e a creare il terzo polo bancario. Ma anche se saprà spingere i soci di Banca Generali, a partire dal Leone, a consegnare le azioni. A caldo la Borsa – dove viene riconosciuto il senso industriale e finanziario dell’ops per Mediobanca ma meno per Generali e Banca Generali – ha risposto con una certa freddezza, facendo scendere Piazzetta Cuccia (-0,8%) e Generali (-1,1%) e spingendo Mps (+2,1%).

Ma il piano di Mediobanca prevede anche l’addio a Trieste, con metà della quota che verrebbe rilevata dal Leone e metà che si dissolverebbe nel mercato. Per Generali – dove Delfin ha quasi il 10%, Caltagirone il 6,8% e Benetton il 4,8% – si aprirebbe l’esigenza di puntellare la compagine tricolore che ne difenda l’italianità, in una fase in cui il governo ha acceso un faro sull’accordo nell’asset management con Natixis. Una partita su cui potrebbero avere qualcosa da dire Intesa, che domani investirà il suo ceo Carlo Messina con un nuovo mandato triennale, e soprattutto Unicredit, che ha già rastrellato il 6,7% del capitale e ha votato con Caltagirone e Delfin in assemblea, auspicando un cambio di passo a Trieste. Una partita che potrebbe incrociarsi con l’ops su Banco Bpm, partita oggi con la consegna di sole 798 azioni. L’operazione è fortemente a rischio dopo i paletti imposti dal governo con il golden power, in relazione ai quali Unicredit, che per ora non ha impugnato il provvedimento, ha chiesto chiarimenti. Nel frattempo il cda di Gae Aulenti ha rinviato al 12 maggio la presentazione dei suoi risultati, inizialmente in programma il 7, stesso giorno di quelli di Banco Bpm.

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Esteri

Rubio a Lavrov: è ora di mettere fine a guerra senza senso

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Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto al ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che è il momento di mettere fine alla “guerra senza senso” in Ucraina. Rubio, in una recente intervista, ha definito la settimana in corso “cruciale” per capire le intenzioni di Russia e Ucraina, e per gli Stati Uniti per decidere se continuare o meno lo sforzo per la pace.

Nel corso del colloquio telefonico con Lavrov, Rubio ha messo in evidenza che “gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a porre fine a questa guerra insensata”, riferisce il Dipartimento di stato. Il segretario di stato ha quindi discusso con il ministro degli esteri russo dei “prossimi passi nelle trattative di pace e della necessità di porre fine alla guerra ora”.

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Esteri

La squadra di Merz, il paladino di Kiev agli Esteri

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L’era Merkel è lontana e anche la politica, per molti troppo prudente, di Olaf Scholz è alle spalle. Friedrich Merz ufficializza la squadra dei futuri ministri conservatori e punta, per tirare la Germania fuori dalla crisi, su nomi nuovi: due top manager per l’economia e la digitalizzazione del Paese, un mastino bavarese agli Interni per la svolta sull’immigrazione, e un esperto di Difesa versato in diplomazia, fautore del massimo sostegno a Kiev, al ministero degli Esteri. Con queste scelte il cancelliere in pectore, che dovrebbe essere eletto al Bundestag il 6 maggio, si è detto pronto ad affrontare le sfide dei prossimi anni e le molte incognite che assillano un’Europa “minacciata” e incerta del futuro.

“Il supporto all’Ucraina è necessario per preservare la pace e la libertà in Germania”, ha scandito prendendo la parola al piccolo congresso di partito dei democristiani, che hanno approvato a Berlino il contratto di coalizione firmato coi socialdemocratici di Lars Klingbeil. “Consideriamo il nostro aiuto all’Ucraina come uno sforzo congiunto di europei e americani dalla parte dell’Ucraina. Non siamo parte in causa in questa guerra e non vogliamo diventarlo, ma non siamo neanche terzi estranei o mediatori tra i fronti. Non ci devono essere dubbi sulla nostra posizione: senza se e senza ma, dalla parte di questo paese attaccato”, ha incalzato ribadendo il rifiuto di una pace imposta. Merz ha anche ribadito di non volere alcuna guerra commerciale con gli Usa, e di esser pronto a spendersi “con ogni forza per un mercato aperto”. Sul fronte migranti, ha assicurato la svolta, che dovrà strappare la Germania alla seduzione dell’ultradestra: “Dal giorno numero uno proteggeremo al meglio le nostre frontiere, con respingimenti massicci”.

Per realizzare questi piani, Merz ha scelto Johann Wadephul, 62 anni, come ministro degli Esteri. L’uomo della Cdu che in passato ha spinto per un sostegno pieno a Kiev, contestando le remore di Scholz e spingendo ad esempio per la consegna dei Taurus, che il Kanzler uscente ha sempre negato a Zelensky. Ex riservista dell’esercito, giurista e poi deputato dal 2009, è un fidatissimo di Merz, e viene ritenuto un grosso esperto di difesa: avrebbe potuto essere anche ministro del settore che andrà invece all’SPD e resterà a Boris Pistorius. Agli Interni sarà nominato il noto volto della Csu bavarese Alexander Dobrindt, “il nostro uomo di punta a Berlino per la questione centrale della svolta sui migranti”, nelle parole di Markus Soeder che ha presentato i tre ministri in quota del suo partito.

La stampa tedesca ha accolto con interesse anche le nomine della brandeburghese Katherina Reiche, 51 anni, all’Economia – top manager del settore energetico, e proveniente dall’est – e quella di Karsten Wildberger, 55 anni, ceo di Mediamarkt e Saturn, colossi dell’elettronica, designato alla Digitalizzazione all’Ammodernamento dello Stato. All’Istruzione andrà Karen Prien, dello Schleswig-Holstein, prima ebrea a ricoprire un incarico da ministra, secondo quanto ha scritto Stern. In squadra ci sono poi Patrick Schnieder ai Trasporti, Nina Warken alla Salute, Thorsten Frei come ministro per la Cancelleria e l’editore conservatore Wolfram Weimer come ministro di Stato alla Cultura. Mentre è stato ancora Soeder a ostentare la scelta del suo partito per la ministra alla Ricerca e all’Aerospazio, Dorothea Baer, e il ministero dell’Alimentazione Agricoltura e Patria: “Dopo un vegano verde arriva un macellaio nero”. Basta col tofu, ha ironizzato il populista bavarese. Il governo di Merz sarà completo soltanto quando i socialdemocratici ufficializzeranno i loro nomi, il 5 maggio. Il partito di Klingbeil attende il referendum della base, che dovrà pronunciarsi sul patto con Merz: il risultato è atteso il 30 aprile. E solo se sarà positivo Merz sarà eletto cancelliere al Bundestag, il 6 maggio. Ma all’Eliseo non hanno dubbi: è stata già annunciata una sua visita a Parigi il 7.

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