La Repubblica non ha dimenticato il Vajont. L’onda che distrusse la valle del Piave è un monito imprescindibile affinchè non si abbassi mai la guardia sulla tutela ambientale. Concetti espressi dal presidente Sergio Mattarella dalla diga del Vajont, nel 60/O anniversario della catastrofe. La memoria, perciò – sottolinea il capo dello Stato – “deve rappresentare il filo conduttore della giustizia, che deve essere restituita senza ombra alcuna, non solo a chi perse la vita” ma anche “a chi sopravvisse, a quelli che hanno dovuto lasciare le loro case e quelli che hanno lottato strenuamente per ricostruirle, per rimanervi”.
Quella di Mattarella è la testimonianza della presenza dello Stato accanto ai superstiti e alle nuove generazioni dei paesi colpiti dal disastro, Longarone e Fortogna, in Veneto, Erto e Casso, in Friuli Venezia Giulia. Per sottolineare in primo luogo il valore della memoria, l’obbligo morale a far sì che fatti del genere non si ripetano più. Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963 quando 270 milioni di metri cubi di roccia e terra precipitarono dal monte Toc nel bacino formato dalla diga del Vajont, all’epoca la più alta al mondo. La frana sollevò un’onda che scavalcò la diga stessa e precipitò nel fondovalle inghiottendo ogni cosa al suo passaggio. Il Presidente ha parlato dei “silenti monumenti alle vittime, a quelle inumate nei cimiteri, a quelle sepolte per sempre nei greti dei corsi d’acqua, sulle pendici: donne, uomini, bambini. Cinquecento bambini”. “Sono tormenti che, tuttora, sessant’anni dopo, turbano e interrogano le coscienze”.
E’ stata anche l’occasione per parlare di un tema – la conservazione degli atti del processo, tenutosi nel 1968 all’Aquila – che sta facendo tribolare gli abitanti della valle. I documenti fanno da tempo parte dell’Archivio di Stato di Belluno, ma rischiano di dover tornare nella sede del Tribunale abruzzese, dove si tenne (1970) anche l’appello. “Ritengo che sia non soltanto opportuno ma doveroso – ha detto il capo dello Stato – che la documentazione del processo celebrato a suo tempo sulle responsabilità rimanga in questo territorio. Quella documentazione era stata, necessariamente, raccolta nei luoghi del giudizio penale perché aveva allora una finalità giudiziaria. Conclusi, da tanti anni, i processi, oggi riveste una finalità di memoria e ciò che attiene alla memoria deve essere conservato vicino a dove la tragedia si è consumata”.
Dai bambini è arrivato l’invito forse più toccante. Davanti a Mattarella si sono schierati, vestiti di bianco, 487 scolari che hanno sollevato al cielo i cartelli con i nomi di altrettanti bimbi morti nel mare di fango e sassi. Un momento emozionante, accompagnato dal canto di montagna friulano “Stelutis Alpinis”, in omaggio alle vittime di quest’area, e “Tutto è in equilibrio”, un segno di speranza che la natura non venga più violata. “Occuparsi dell’ambiente, rispettarlo, è garanzia di vita” ha continuato il Presidente, riprendendo nel discorso l’esortazione del governatore veneto Luca Zaia, perchè “assicurare condizioni di sicurezza e garanzia di giustizia rimane obiettivo attuale e doveroso nella nostra società”. . Perché occuparsi dell’ambiente, rispettarlo, è garanzia di vita”. Vanno evitati, è stato il concetto seguente, atteggiamenti di indifferenza o superiorità rispetto ai segnali della natura “pagati qui a così caro prezzo. Per non capitolare in quello che il presidente de Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga ha definito ‘il desiderio cieco dell’uomo di piegare la natura per ottenerne il massimo profitto””.
Mattarella è parso emozionato soprattutto nell’abbraccio dato ai soccorritori e ai sopravvissuti, una cinquantina solo a Fortogna, che lo hanno accompagnato nel giardino su cui poggiano 1910 cippi bianchi, uno per ogni vittima. Ma anche camminando sul profilo della diga. “Sinceramente ho visto un Mattarella emozionato, forse anche per l’orrido che c’era davanti, creato in millenni. Dietro invece c’era un orrido creato dall’uomo in una frazione di secondo” ha detto il sindaco di Erto e Casso (Pordenone), Antonio Carrara.