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Mamme col ‘social freezing’, in Italia +20% di procedure

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Sono sempre di più in Italia le donne che decidono di procedere al congelamento degli ovociti per assicurarsi una chance di gravidanza in futuro, spesso posticipando la decisione di maternità per motivi di lavoro o sociali. E’ il cosiddetto fenomeno del ‘social freezing’, che nel nostro paese ha fatto registrare un aumento di circa il 20% delle procedure dal 2021 al 2022.

La preservazione della fertilità attraverso il congelamento degli ovociti femminili sta prendendo dunque sempre più piede in Europa, Italia compresa, e nel mondo, complici anche le dichiarazioni di personaggi famosi che hanno intrapreso questa strada, per motivi medici o per scelta personale. In media, le procedure in entrambi i casi sono aumentate del 25-30% all’anno dal 2016 secondo la Società americana per le tecnologie di riproduzione assistita (Sart) e la Società europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (Eshre), con punte al 46% e al 70% nel biennio 2020-2021 rispettivamente negli Usa e in Australia-Nuova Zelanda. A fotografare la situazione è un nuovo studio del gruppo italiano specializzato in medicina della riproduzione Genera, pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.

I dati del gruppo Genera relativi a 8 cliniche su tutto il territorio nazionale segnalano inoltre per l’Italia un aumento di circa il 20% anno su anno del numero di procedure di ‘social freezing’, il congelamento per motivi prettamente sociali. Nel nuovo studio si mette in evidenza quali sono le chance di ottenere una gravidanza, in un secondo momento, utilizzando gli ovociti prelevati. “Nelle donne più giovani, quindi fino a 35 anni – spiega il primo autore del paper, Danilo Cimadomo, biologo molecolare e responsabile della Ricerca del gruppo Genera – le probabilità cumulative di nati sono comprese fra il 70% con 15 ovociti prelevati e congelati (considerato il numero ottimale) e il 95% con 25 ovociti. Ma ci sono comunque chance di gravidanza comprese tra il 30% e il 45% nel caso in cui vengano vitrificati 8-10 ovociti.

Oltre la soglia dei 35 anni, il numero di ovociti necessari per raggiungere la gravidanza è chiaramente maggiore, rendendo la procedura di preservazione della fertilità più impegnativa. Per questo motivo, tutti i centri specializzati oggi consigliano alle donne di fare questa scelta, se ritenuta opportuna a seconda dei propri progetti di vita, entro i 35-37 anni, in modo da avere le migliori possibilità di riuscita se un giorno si dovranno utilizzare quegli ovociti congelati, nel caso insorgessero problemi nel tentare una gravidanza”. La Società Americana per la Medicina della Riproduzione (Asrm) ha rimosso l’etichetta di procedura sperimentale dalla vitrificazione degli ovociti nel 2013, spiega inoltre Laura Rienzi, embriologa e direttore scientifico del gruppo Genera, “e anche per questo motivo, la richiesta di procedure di preservazione della fertilità è aumentata sensibilmente in tutto il mondo”.

La vitrificazione viene per lo più condotta manualmente, richiedendo quindi operatori ben formati, costantemente monitorati ed esperti. “Ecco perché – precisa Rienzi – l’automazione sta assumendo un ruolo sempre più importante nei nostri laboratori: le nuove tecnologie ci consentono di migliorare i risultati delle tecniche. La necessità di trattamenti di procreazione medicalmente assistita è in costante crescita in tutto il mondo. In parallelo i progressi tecnologici, come la valutazione dei gameti basata sull’intelligenza artificiale e l’automazione, promettono una sempre maggiore standardizzazione dei protocolli”. Anche grazie agli sforzi della scienza, la crioconservazione degli ovociti “quando scelta per motivi sociali, è un tema che sta stimolando il dibattito sociale e politico nel nostro Paese e confidiamo – conclude l’embriologa – che presto non sarà più percepita come un tabù, ma come uno strumento per salvaguardare l’autonomia riproduttiva delle donne”.

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Lady Gaga: più d 2 milioni in spiaggia a Copacabana: a Rio abbiamo fatto la storia

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Più di due milioni di persone hanno riempito la spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro, per il mega-concerto gratuito di Lady Gaga, il più importante della carriera dell’artista statunitense di origini italiane. “Abbiamo fatto la storia”, ha commentato la star leggendo un manifesto-ringraziamento ai brasiliani che l’hanno fatta “brillare come il sole e la luna”.

La show-woman ha elettrizzato il pubblico di “mostrini”, come lei ama chiamare i suoi fan, che l’hanno attesa per ore cantando e ballando in riva al mare, anche al suono dei ventagli della comunità arcobaleno, che ha tagliato l’aria per ore. Ma già centinaia, come Daniel, Byron, Isa, Ana Rosa e molti altri, avevano aspettato la diva, al secolo Stefani Joanne Angelina Germanotta, per giorni davanti al suo albergo, il Copacabana Palace, per ringraziarla personalmente per quello che in molti hanno definito il “giorno della loro vita”.

Perché, come ha spiegato Daniel, Lady Gaga, anche “attraverso momenti di provocazione che sono propri dell’arte, ha saputo dare voce a tutti. Anche a quella parte di persone che la società vorrebbe escludere”. E grazie alla sua musica “in tanti sono riusciti a superare momenti di depressione”. Da “Poker face” a “Alejandro”, l’artista americana ha toccato tutte le corde dei suoi supporter, fino ad infiammarli con un’epica esecuzione di “Born this way”, vero e proprio inno di liberazione nel nome dell’amore senza confini e del coraggio di essere se stessi. Lady Gaga ha giocato col suo pubblico del “pais tropical”, come ha cantato, elettrizzandolo con “Marry the night”, “Paparazzi” e brani da “Mayhem”, il suo ultimo album, avviando lo show vestita di rosso scarlatto proprio per “Abracadabra”, uno dei pezzi forti della raccolta.

“I love you” ha gridato a più riprese l’eclettica pop star, imbracciando una chitarra per i brani più scatenati, fino a sedersi al pianoforte per una magica esecuzione di “Shallow”. Incontenibile e fuori dagli schemi, Lady Gaga ha superato ogni aspettativa, e col suo show ha riconfermato Rio de Janeiro in vetta alle città capaci di ospitare un grande evento di portata internazionale, un bis dopo l’esibizione di Madonna dello scorso anno, nell’attesa di vedere anche gli U2, nel maggio 2026, sul palco della “Città meravigliosa”.

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Robert Gallo, padre dell’Hiv: «A 88 anni non smetto, la mia missione è migliorare la vita delle persone»

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Il virologo che scoprì il virus dell’Hiv si è trasferito in Florida per guidare un nuovo istituto di ricerca. «Sono un criceto sulla ruota, non posso smettere. Spero nei giovani: la scienza non basta, serve saper vivere nel mondo reale»

A 88 anni, compiuti lo scorso marzo, Robert Gallo (Foto University of South Florida) continua a correre. Lo fa con la determinazione di chi, dopo 1.300 articoli scientifici e una carriera da pioniere, non ha mai considerato il pensionamento una possibilità. «Sono come un criceto sulla ruota: non posso fermarmi», racconta al Corriere della Sera dalla sua nuova base operativa a Tampa, in Florida.

Un nuovo inizio a Tampa: «Avevo bisogno di sfide vere»

Dopo aver lasciato il Maryland, dove stava per essere confinato a ruoli cerimoniali, Gallo ha accettato la direzione dell’Institute of Translational and Innovative Virology all’Università della Florida del Sud. «Mi avevano spinto verso il semi-ritiro, ma io ho bisogno di lavorare», dice. Accanto all’università, guida anche un programma sull’oncogenesi microbica al Tampa General Hospital. «Studiamo come virus e batteri possano causare tumori. Ho già portato con me cinque scienziati, anche dall’Italia».

L’Hiv, la sfida che continua

Il suo impegno con il virus che contribuì a identificare negli anni Ottanta non si è mai interrotto. Oggi Gallo lavora su una scoperta recente: l’interferone alfa, che dovrebbe proteggere l’organismo, finisce invece per danneggiarlo nei pazienti con Hiv. «Con una nuova biotech, vogliamo neutralizzare questo effetto. Potrebbe essere una svolta per prevenire tumori e problemi cardiaci nei pazienti Hiv positivi».

La scoperta dell’Hiv e la tempesta che ne seguì

Ripercorrendo gli anni cruciali della scoperta dell’Hiv, Gallo racconta: «All’inizio tutto sembrava favorevole: avevo scoperto i primi retrovirus umani. Poi è arrivata la bufera: cause, rivalità, complottismi, persino minacce di morte. Pensavo bastasse la scienza, invece ho capito che non è così semplice».

I limiti dei vaccini, le promesse della terapia

Sulle nuove terapie a lunga durata per l’Hiv Gallo è ottimista: «Un grande progresso». Ma sui vaccini resta scettico: «L’Hiv muta troppo. Meglio puntare su cure efficaci e prevenzione delle comorbidità».

La ricerca del futuro: «Serve prepararsi alle pandemie»

Gallo guarda avanti, e lo fa con preoccupazione per le nuove minacce virali come l’H5N1 e il vaiolo delle scimmie. «I rischi aumentano, servono investimenti nella ricerca. E serve più consapevolezza politica: tagliare i fondi alla scienza, come ha fatto l’amministrazione Trump, è pericoloso».

Il messaggio ai giovani: «La scienza da sola non vi proteggerà»

Ai giovani ricercatori, Gallo lancia un monito: «La verità scientifica è fondamentale, ma non basta. Bisogna sapersi muovere nel mondo: tra burocrazia, media, potere. E mai arrendersi: ogni crisi è un’opportunità». E infine, una speranza: «Spero che nascano molti nuovi Gallo, anche migliori di me. Il successo non è nei titoli, ma nell’impatto sulla vita delle persone».

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Sinner torna a Roma da numero uno: il Foro Italico si prepara a una giornata storica

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Dopo tre mesi di assenza e la squalifica scaduta, Jannik Sinner fa il suo ritorno agli Internazionali d’Italia: atteso il primo allenamento sul Centrale. Con lui anche Musetti: sei anni dopo la loro semifinale da giovanissimi, tornano entrambi nella top 10 mondiale

L’attesa è finita: domani il Foro Italico si stringerà attorno a Jannik Sinner, che alle 19 scenderà in campo per il suo primo allenamento ufficiale agli Internazionali d’Italia da nuovo numero uno del mondo, tre mesi dopo l’ultima apparizione nel circuito. L’evento sarà aperto ai 10.500 spettatori titolari dei biglietti “ground” e promette il tutto esaurito.

Una giornata evento: dal volo a Roma al primo allenamento sul Centrale

Sinner è atterrato oggi a Roma con un volo da Nizza. In programma: pranzo leggero in hotel, breve riposo e una sgambata privata, prima dell’accredito ufficiale, simbolo del suo rientro da tennista “libero”. Alle 16 la conferenza stampa, quindi alle 18 la doppia celebrazione della Coppa Davis e della Billie Jean King Cup sul Centrale con gli altri azzurri, e infine l’allenamento. Un rientro in grande stile, curato nei minimi dettagli dalla security del torneo, che ha pianificato percorsi e accessi da oltre due mesi.

Sei anni dopo: da ragazzi sconosciuti a top 10 del tennis mondiale

Nella celebrazione degli azzurri Sinner ritroverà Lorenzo Musetti, fresco di semifinale a Madrid e per la prima volta tra i top 10 del ranking. I due si affrontavano il 9 maggio 2019 nella semifinale delle pre-qualificazioni proprio al Foro Italico: erano i numeri 262 e 453 del mondo. Jannik vinse in rimonta e si guadagnò una wild card per il tabellone principale, diventando il più giovane italiano a vincere un match in un Masters 1000.

Da allora le loro carriere si sono rincorse: razionale e solitario Sinner, passato da Piatti a Vagnozzi e Cahill; emotivo e leale Musetti, sempre al fianco del coach Simone Tartarini. Il derby di Roma 2019 è stato il primo di una serie di sfide (Anversa 2021, Montecarlo 2023) vinte tutte da Jannik. Ma Lorenzo rivendica la sua identità: «Sinner è un esempio, ma io devo fare la mia strada».

Un’Italia da superpotenza tennistica

Con dieci italiani nei primi 101 del ranking ATP, il tennis azzurro vive un momento d’oro. Sinner vuole riprendere la centralità che gli spetta, mentre Musetti è chiamato a confermare la crescita. La tensione è alta, e il sorteggio di domani alla Fontana di Trevi potrebbe già anticipare un altro possibile derby.

Tutto cominciò sei anni fa. Ora, sul rosso di casa, i due simboli del tennis italiano tornano a splendere insieme.

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