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Economia

Lunedì risparmiatori a P.Chigi, Tria non apre ancora i cordoni della borsa per pagare i truffati dalle banche

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Si fa sempre piu’ insistente il pressing dei due vicepremier sul tema dei rimborsi ai risparmiatori traditi, in vista dell’incontro a Palazzo Chigi in programma per lunedi’. Sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio vogliono risolvere in fretta la questione, con l’obiettivo di arrivare al Consiglio dei ministri di martedi’ con la soluzione in tasca. Nel frattempo, alcuni dei circa 300mila risparmiatori incappati nei crac bancari hanno fatto da soli, rivolgendosi all’arbitro della Consob e ottenendo soddisfazione. “Dobbiamo mantenere la promessa di risarcire i truffati. E’ una follia, ci sono i soldi ma manca una carta che eroghi i soldi”, ha ripetuto ancora una volta Di Maio, ricordando che “il governo e’ amico di quelle persone”, quindi “lunedi’ si fa quest’incontro, poi o si fanno i decreti o si erogano i soldi direttamente, senza arbitrati”. Stessa lunghezza d’onda quella seguita da Salvini, secondo il quale “e’ gia’ passato troppo tempo: abbiamo messo – ricorda – quasi due mesi fa un miliardo e mezzo a bilancio.

Bene i tecnici che approfondiscono, studiano e riflettono pero’ c’e’ un limite all’approfondimento perche’ la gente, giustamente, il mutuo lo deve pagare e non ha tempo. Il convitato di pietra di queste dichiarazioni, come noto, e’ il ministro dell’Economia Giovanni Tria, convinto che si debbano rimborsare tutti, ma rispettando le “regole”. Regola che potrebbe consistere, come ha spiegato il suo viceministro Massimo Garavaglia, nel concedere “lo sblocco automatico per i redditi piu’ bassi di chi ha messo la liquidazione”, mentre “ci sta che uno che ha messo mezzo milione di euro deve essere sottoposto a un minimo di verifica, pero’ questo e’ normale”. Una soluzione vicina a quella proposta dal Codacons (ma non da molte altre associazioni, che chiedono “tutto e subito”), che chiedera’ indennizzi automatici e integrali per tutti i risparmiatori con un reddito inferiore ai 35mila euro, prevedendo arbitrati per chi ha redditi superiori. A sbrogliare la matassa dovra’ essere il premier Giuseppe Conte, che ha avocato a se’ tutta la materia nel tentativo di mediare tra Tria e Di Maio, passando dall’accordo con i risparmiatori. Qualche mugugno, pero’, arriva proprio dalle associazioni dei consumatori, che in alcuni casi lamentano una scarsita’ si convocazioni, con il rischio di andare ad un incontro interlocutorio. Nel frattempo, qualcuno si e’ portato avanti e si e’ rivolto direttamente all’Arbitro per le controversie finanziarie operativo presso la Consob, a cui con il decreto Milleproroghe di settembre scorso il governo gialloverde gia’ in carica ha affidato il compito di valutare i casi dei risparmiatori colpiti dai crac bancari: l’organismo ha preso tra ottobre e novembre 850 decisioni, di cui oltre l’80% favorevole ai ricorrenti. Secondo i dati Consob, sono stati definiti liquidabili 36 milioni di euro. Secondo la legge, i risparmiatori per i quali l’Acf ha riconosciuto irregolarita’ da parte degli intermediari nel collocamento degli strumenti finanziari, hanno pero’ diritto ad un rimborso parziale pari al 30% dell’importo deciso dall’Arbitro e fino a un massimo di 100.000 euro a testa, paletto che ha ridotto l’importo a 12 milioni di euro. Ad oggi un terzo della cifra, pari a 8 milioni, e’ stata gia’ liquidata.

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Wsj, Trump verso un alleggerimento dei dazi sulle auto

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Donald Trump intende attenuare l’impatto dei dazi sulle auto prodotte all’estero, impedendo che si accumulino ad altre tariffe dazi da lui imposte e alleggerendo alcuni dazi sui componenti esteri utilizzati per la produzione di veicoli negli Usa. Lo scrive il Wall Street Journal citano una persona a conoscenza del dossier. In base a questa mossa, le case automobilistiche che pagano i dazi di settore non saranno soggette anche ad altri dazi, come quelli su acciaio e alluminio. La decisione sarebbe retroattiva, hanno affermato le fonti, il che significa che le case auto potrebbero essere rimborsate per tali tariffe già pagate.

Il dazio del 25% sulle auto finite prodotte all’estero è entrato in vigore all’inizio di questo mese. L’amministrazione Usa, sempre secondo il Wsj, modificherà anche i dazi sui ricambi delle auto estere – previsti al 25% e in vigore dal 3 maggio -, consentendo alle case automobilistiche di ottenere un rimborso per tali dazi fino a un importo pari al 3,75% del valore di un’auto prodotta negli Stati Uniti per un anno. Il rimborso scenderebbe al 2,75% del valore dell’auto nel secondo anno, per poi essere gradualmente eliminato del tutto. Si prevede che Trump adotti queste misure in vista di un viaggio in Michigan per un comizio alla periferia di Detroit martedì sera, in occasione dei suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca. Le misure mirano a dare alle case automobilistiche il tempo di riportare le catene di approvvigionamento dei componenti negli Usa e rappresenterebbero probabilmente un significativo impulso per le case automobilistiche nel breve termine, ha affermato una fonte a conoscenza della decisione. Le case auto dovranno presentare domanda di rimborso al governo, ma non è immediatamente chiaro da dove arriveranno questi fondi.

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Nagel apre la partita sul Leone, Mps non si ferma

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Mediobanca gioca la sua mano nella partita del risiko bancario proponendo di scambiare la quota del 13% nelle Generali con la totalità delle azioni di Banca Generali. Un’operazione che da un lato trasformerebbe in un asset industriale una partecipazione finanziaria con cui i manager di Piazzetta Cuccia hanno sempre inciso sulle scelte strategiche del Leone e dall’altro aprirebbe nuovi scenari sugli assetti di controllo del grande ‘forziere’ del risparmio italiano. La mossa, di cui l’ad di Mediobanca Alberto Nagel (foto Imagoeconomica in evidenza) ha sottolineato la valenza industriale e la coerenza con il piano di Piazzetta Cuccia, ha però anche l’effetto non secondario di cercare di sottrarre la banca all’abbraccio sgraditissimo di Mps, la cui scalata potrebbe diventare più costosa se il mercato crederà alle promesse di Nagel e più complessa in uno scenario di integrazione a tre.

“L’operazione – scrivono gli analisti di Bofa – aggiunge incertezza e uno strato di complessità al progetto di un terzo polo Mps-Mediobanca”. Non la vedono così a Siena dove tira tutt’altro che aria di resa. Non solo l’offerta su Banca Generali viene giudicata non “ostativa” della scalata a Mediobanca ma viene anzi ritenuta in grado di “rafforzare il valore industriale” dell’operazione di Mps, che punta a aumentare la sua presenza nel wealth management e valuta “non strategica” e cedibile la quota nel Leone. Lovaglio può contare sul sostegno dei suoi grandi sponsor. Anzitutto del governo, dove fra i meloniani Banca Generali viene considerata la “risposta scaltra” di Nagel al Monte e si auspica che l’ops di Mps “vada in porto”.

Ma anche di Caltagirone e Delfin, che insieme hanno il 27,2% di Mediobanca e il 20% di Mps, e non appaiono intenzionati a deporre le armi, come dimostra l’astensione dei rappresentanti di Delfin nel cda di Mediobanca e la battaglia che potrebbero dare in Generali, anche sollevando il tema del conflitto di interesse di Mediobanca, i consiglieri del Leone eletti nella lista Caltagirone. Si tratterà di vedere se, alla prova del mercato, Nagel sarà in grado di convincere i suoi azionisti che è meglio una Mediobanca indipendente e con una solida presenza nel wealth management ad un matrimonio con Mps, che con Piazzetta Cuccia punta invece a diversificare il suo business e a creare il terzo polo bancario. Ma anche se saprà spingere i soci di Banca Generali, a partire dal Leone, a consegnare le azioni. A caldo la Borsa – dove viene riconosciuto il senso industriale e finanziario dell’ops per Mediobanca ma meno per Generali e Banca Generali – ha risposto con una certa freddezza, facendo scendere Piazzetta Cuccia (-0,8%) e Generali (-1,1%) e spingendo Mps (+2,1%).

Ma il piano di Mediobanca prevede anche l’addio a Trieste, con metà della quota che verrebbe rilevata dal Leone e metà che si dissolverebbe nel mercato. Per Generali – dove Delfin ha quasi il 10%, Caltagirone il 6,8% e Benetton il 4,8% – si aprirebbe l’esigenza di puntellare la compagine tricolore che ne difenda l’italianità, in una fase in cui il governo ha acceso un faro sull’accordo nell’asset management con Natixis. Una partita su cui potrebbero avere qualcosa da dire Intesa, che domani investirà il suo ceo Carlo Messina con un nuovo mandato triennale, e soprattutto Unicredit, che ha già rastrellato il 6,7% del capitale e ha votato con Caltagirone e Delfin in assemblea, auspicando un cambio di passo a Trieste. Una partita che potrebbe incrociarsi con l’ops su Banco Bpm, partita oggi con la consegna di sole 798 azioni. L’operazione è fortemente a rischio dopo i paletti imposti dal governo con il golden power, in relazione ai quali Unicredit, che per ora non ha impugnato il provvedimento, ha chiesto chiarimenti. Nel frattempo il cda di Gae Aulenti ha rinviato al 12 maggio la presentazione dei suoi risultati, inizialmente in programma il 7, stesso giorno di quelli di Banco Bpm.

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Pirelli: viene meno il controllo di Sinochem ma è scontro

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Dopo 10 anni di convivenza Pirelli prova a prendere le distanze dal socio cinese che, dopo aver investito 7,1 miliardi di euro, non intende però farsi mettere alla porta. “E’ venuto meno il controllo di Sinochem” si leggerà nella relazione finanziaria che il 12 giugno i soci voteranno in assemblea ma Marco Polo International Italy, il veicolo che detiene la quota del 37%, si oppone fin d’ora. In cda il presidente di Pirelli (e di Sinochem) Jiao Jian e i consiglieri Chen Aihua, Zhang Haitao, Chen Qian, Fan Xiaohua hanno votato contro e il bilancio è stato approvato a maggioranza, con il voto favorevole di 9 su 15 consiglieri. Il fronte cinese non è compatto: Tang Grace si è astenuta e gli indipendenti Marisa Pappalardo e Alberto Bradanini hanno votato a favore. In serata arriva la presa di posizione di Marco Polo International Italy che esprime un “profondo disappunto e ferma opposizione”.

La relazione finanziaria di Pirelli, su proposta dell’ad Andrea Casaluci, contiene l’informativa secondo cui, “a seguito del Golden Power è venuto meno il controllo di Marco Polo Italy (e, per l’effetto, di Sinochem) su Pirelli ai sensi dell’Ifrs 10”. Il decreto “non include alcuna disposizione che privi Mpi del controllo su Pirelli, anzi lo presuppone” ribatte il socio cinese e sembra una dichiarazione di voto; e poi arriva la precisazione che “tra l’altro Mpi continua a detenere una percentuale rilevante per l’esercizio di un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria”. Lo scontro diretto però non sembra nello stile del socio cinese, che ricorda “in qualità di azionista responsabile di Pirelli, abbiamo sempre rispettato rigorosamente le leggi italiane ed estere, e continueremo a farlo con spirito di collaborazione con tutte le autorità competenti assicurando la naturale tutela degli interessi di Mpi e preservando sempre lo sviluppo e la crescita di Pirelli”. Il dialogo dunque continua. Il venir meno del controllo, sottolineano i manager, è “un primo passo, ma non risolutivo, nel percorso di necessario adeguamento della governance societaria ai vincoli normativi negli Usa”, un mercato chiave per l’High Value (un settore che pesa per il 76% dei ricavi totali) e la tecnologia Cyber Tyre. Gli analisti, Banca Akros, Equita e Mediobanca dicono cose simili, Pirelli “avrebbe bisogno di una nuova governance”.

“Tra le diverse soluzioni – elencano ricordando le indiscrezioni di stampa – vi è una riduzione della quota di Sinochem a meno del 25%, forse attraverso l’ingresso di un nuovo azionista di riferimento o una nuova governance che limiti il numero di membri cinesi nel CdA”. Casaluci ha un mese e mezzo per ricomporre lo strappo e poi porterà in assemblea il bilancio, il dividendo e il piano di incentivazione. Il 2024 si è chiuso con un utile netto consolidato di 501,1 milioni (+1%) e ricavi in aumento dell’1,9% a 6.773,3 milioni; per la capogruppo l’utile netto è stato di 302 milioni (+24,3%) e il cda proporrà la distribuzione di una cedola da 0,25 euro per azione per un totale complessivo di 250 milioni di euro. E per il 2025 non abbassa l’asticella anche se resta prudente, alla luce delle elevate incertezze sui dazi Usa. Per mitigarne l’impatto è già pronto un piano con l’obiettivo di garantire i target di Ebit Adjusted (al 16%) e di generazione di cassa (0,55 miliardi) nella parte bassa della guidance e raggiungere comunque l’obiettivo di deleverage. Il piano di mitigazione “prevede maggiori importazioni dal Brasile e un aumento della capacità negli Usa” aveva spiegato l’ad in occasione della presentazione dei conti. Inoltre “la politica commerciale verrà riesaminata sulla base del tasso di inflazione”.

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