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Cronache

L’omicidio brutale dell’ingegnere Vittorio Materazzo a Napoli, il pm chiede l’ergastolo per il fratello Luca

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Dopo una requisitoria durata oltre due ore il pm Francesca De Renzis ha chiesto l’ergastolo per Luca Materazzo, imputato al processo in corso a Napoli con l’accusa di essere l’assassino del fratello Vittorio, l’ingegnere barbaramente ucciso, con circa quaranta coltellate, la sera del 28 novembre 2016, davanti la sua abitazione di Napoli, in via Maria Cristina di Savoia. Durante l’udienza, nell’aula 115 della Corte di Assise, il pm ha evidenziato  il profilo dell’imputato, le prove a supporto della sua tesi (soprattutto quella del DNA sui reperti trovati a poca distanza dal luogo del delitto) e i motivi (odio e questioni economico ereditarie) che lo avrebbero spinto a colpire in maniera da ritenere sussistente la premeditazione. Il pm ha anche chiesto che vengano negate all’imputato le attenuanti generiche, in ragione di un omicidio estremamente crudele. Il pm ha sottolineato come elemento negativo la latitanza di Luca, fuggito in Spagna dove è stato arrestato a distanza di un anno dall’omicidio.

Luca Materazzo. Presunto assassino del fratello, per lui il pm ha chiesto l’ergastolo

“Luca voleva la morte di Vittorio” ha detto il pm De Renzis. Secondo il pm, Vittorio rallentava la soluzione della vicenda ereditaria e per Luca questo era fonte di grande preoccupazione: aveva ormai una scarsa disponibilità finanziaria, ulteriormente aggravatasi dopo la morte del padre e Vittorio rappresentava per lui un ostacolo. Per De Renzis, un altro movente, furono i dubbi di Vittorio sulla morte del padre il quale comincio’ a sospettare la morte del genitore avvenuta nel 2013 fosse riconducibile a una aggressione del fratello Luca dopo l’ennesima lite per motivi economici, sfociata in tragedia. I passi compiuti da Vittorio, finalizzati ad accertare come fosse morto il padre, secondo il pm avrebbero determinato un ulteriore inasprimento dei rapporti già molto tesi tra i due. Il pm ha anche chiesto che, per Vittorio, confidandosi con un amico, rivelò di temere che il fratello potesse fargli del male. Elena Grande, la vedova di Vittorio Materazzo, ha ascoltato tra le lacrime la requisitoria del pm. La vedova ha mostrato particolare sofferenza soprattutto quando il magistrato ha ricordato le tragiche fasi della morte del marito. Luca Materazzo, invece, sembrava impassibile mentre il pm spiegava nel dettaglio l’assassinio dell’ingegnere. Prima di andarsene, a udienza conclusa, con la richiesta di ergastolo, il possibile ergastolano viene visto mandare baci a qualcuno tra il pubblico. Forse le sorelle. Forse.

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Cronache

“Ponti e non muri”, omelia ricorda il Papa della pace

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Gli applausi dei 250 mila che assistono alla messa delle esequie di papa Francesco in Piazza San Pietro punteggiano più volte l’omelia del cardinale Giovanni Battista Re. Ma scrosciano con ancora più forza e insistenza quando il decano del Sacro Collegio, in uno dei passi significativi, ricorda davanti ai grandi della terra l’impegno del Pontefice per la pace: “Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”.

“La guerra lascia sempre, è una sua espressione, il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”, prosegue Re aggiungendo: “‘Costruire ponti e non muri’ è un’esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come successore dell’apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni”. Il novantunenne porporato bresciano, che nel sovraintendere da cardinale decano a questa sede vacante sta confermando la sua tempra di ferro, rievoca nell’omelia i tanti aspetti e contenuti del pontificato di Francesco. “Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori”. E “nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, ha scelto di percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”.

Secondo Re, quando l’ex cardinale di Buenos Aires fu eletto Papa, “la decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo Pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”. E “diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa”, “con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati”. Per il cardinale decano, Francesco “ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato”.

La “guida del suo pontificato” è stato “il primato dell’evangelizzazione”. E “filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”: quella Chiesa “ospedale da campo” “capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”. Ecco quindi “i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi”, come pure “l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”. Tra i momenti-chiave dei 47 viaggi apostolici, il cardinale Re ricorda le tappe a Lampedusa, a Lesbo, la messa al confine tra Messico e Stati Uniti, l’ultimo viaggio in Asia e Oceania, verso “la periferia più periferica del mondo”. “Il tema della fraternità ha attraversato tutto il suo pontificato con toni vibranti”, ricorda ancora Re citando l’enciclica Fratelli tutti e il documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune” firmato nel 2019 ad Abu Dhabi col grande imam di Al-Azhar, “richiamando la comune paternità di Dio”.

La conclusione è poi di quelle che strappano la commozione: “Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri personali dicendo: ‘Non dimenticatevi di pregare per me’. Ora, caro Papa Francesco, chiediamo a te di pregare per noi e ti chiediamo che dal cielo tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero”: proprio “come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza”. E sono ancora applausi della folla, emozionati e sinceri.

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Cronache

La moglie del macchinista Parlato dall’altare: sul Faito non è stata fatalità

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“Mi rivolgo ai suoi colleghi, partendo dall’ultimo al primo, a chi doveva proteggere i dipendenti e i viaggiatori, di assumersi ognuno le proprie responsabilità, con coscienza e onestà. Non solo in quella circostanza, ma soprattutto per il prima. Quello che è successo non può essere la conseguenza di quel momento. Non possiamo accettare la fatalità”.

La moglie di Carmine Parlato, Elisa, ha rivolto un duro atto di accusa salendo sull’altare in occasione del funerale del marito, l’operatore della funivia del Monte Faito precipitata lo scorso 17 aprile, morto assieme a tre turisti, mentre un quarto è ancora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Il rito religioso si è svolto nella Concattedrale di Castellammare di Stabia, affollata fino all’esterno, con la presenza di istituzioni e cittadini e tantissimi dipendenti dell’Ente Autonomo Volturno (Eav), la società che gestisce il servizio di trasporto ora sotto sequestro nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura di Torre Annunziata.

Durante l’omelia, l’arcivescovo Francesco Alfano aveva esortato, ricordando le parole di Papa Francesco, a “non farsi rubare la speranza”. Ma al termine della celebrazione è stata la moglie dell’operatore a prendersi la scena. Prima leggendo l’ultimo affettuoso messaggio del marito, rivoltole come augurio solo un mese fa per il 25esimo anniversario del loro matrimonio. E poi, al termine di un lungo applauso commosso da parte dei presenti, lanciando quel j’accuse, pronunciato con lentezza e con la voce ferma di chi pretende giustizia. “A noi tocca sopravvivere a questo dolore immane, oggi, domani e per tutti i giorni della nostra vita – ha detto la signora Elisa – La morte di Carmine e della altre vittime, e un sincero e doveroso pensiero va anche a loro che in quel momento erano la sua famiglia, merita risposte”. Il silenzio è calato nella cattedrale.

“Queste vite spezzate, chi stava portando il pane a casa e chi in un momento piacevole, lontano dal proprio Paese visitando un vanto della nostra città, non devono rappresentare un clamoroso fatto di cronaca, che dopo qualche tempo finirà nel dimenticatoio, bensì sia un punto di svolta tra passato e futuro”. Un grido di dolore, ha aggiunto alzando il tono di voce, “che non ci ridarà Carmine. Ma deve essere un primo passo verso la giustizia…affinché chi, con negligenza e leggerezza ha messo a repentaglio al vita di esseri umani, ne risponda”. Dunque, ha proseguito, è finito “il momento dei plausi” ed è arrivato “il momento delle risposte e della verità” da dare “ai nostri cari”.

Un messaggio rivolto non solo a investigatori e inquirenti ma anche a chi “si reputa amico e collega sincero” affinché lo dimostri “con i fatti oltre alle parole”. Questa, ha concluso rivolgendosi direttamente al marito, “è una promessa che ti faccio e che manterrò fino alla fine dei miei giorni”. “Noi dobbiamo affidarci con fiducia agli organi inquirenti che stanno agendo in maniera encomiabile e rapida. E noi tutti attendiamo la verità – ha commentato il prefetto di Napoli, Michele di Bari alla fine della cerimonia – questo è però il momento “di essere accanto alla famiglia”, di dare la solidarietà “alla moglie e al figlio” della vittima. (

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Funerali del Papa, Roma supera test: pagina storica per la sicurezza

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Gli arrivi e gli spostamenti dei grandi della terra diretti a piazza San Pietro invasa dai fedeli e poi, al termine delle esequie, il lungo corteo funebre che ha attraversato le vie del centro storico per giungere alla basilica di Santa Maria Maggiore dove papa Francesco ha scelto di essere sepolto. “Una pagina storica per la sicurezza”, non ha esitato a definirla il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che in mattinata ha seguito la situazione dalla sala operativa della questura di Roma da dove è stato coordinato il dispositivo di sicurezza. La capitale supera la prova e quanto ormai è chiaro che tutto è andato per il verso giusto il questore Roberto Massucci – che era davanti ai monitor fin dalle prime ore del mattino assieme al capo di gabinetto Giampaolo Monastra – prende la radio e ringrazia gli operatori in campo: “Ragazzi, è andato tutto in maniera perfetta”.

“Mi è capitato spesso di gestire grandi eventi e c’è sempre qualcosina che potrebbe andare meglio – ha poi spiegato – questa volta è andato tutto estremamente bene”. Il piano messo a punto per la giornata era imponente: piazza San Pietro super presidiata, cinque aree di sicurezza nel quadrante urbano che circonda la basilica, centro storico blindato per il passaggio del corteo funebre e una green zone nel quartiere Parioli dove ha alloggiato il presidente americano Donald Trump con la moglie Melania. In campo quattromila uomini e donne delle forze dell’ordine, di cui più di mille per le scorte alle delegazioni straniere, uno degli aspetti più delicati, e tremila volontari. Il dispositivo di sicurezza ha viaggiato su quattro livelli: sottosuolo, terra, mare e cielo. I monitor della sala operativa hanno documentato un fiume di fedeli verso la basilica fin dall’apertura dei varchi alle sei, tanto che a un’ora dall’inizio della funzione si è raggiunta la capienza massima di cinquantamila ed è stato chiuso l’accesso alla piazza. Per accedere i fedeli hanno attraverso varchi presidiati con i metal detector. E chi non è riuscito ad arrivare fino alla piazza ha potuto seguire la funzione dai maxischermi posizionati lungo via della Conciliazione, a piazza Pia, piazza Risorgimento e piazza Cavour.

Le bonifiche della zona erano scattate già venerdì, anche nel sottosuolo, mentre i droni hanno garantito la visuale dall’alto attraverso immagini in 3D. L’attenzione è stata massima anche sui sei chilometri di percorso del corteo funebre e il quartiere Parioli dove si trova Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore americano in cui ha soggiornato il tycoon. Per garantire la massima sicurezza possibile è poi stata istituita la no fly zone su Roma e sono stati schierati tiratori scelti sui palazzi, artificieri, nuclei cinofili, la polizia fluviale per il pattugliamento del Tevere e delle banchine, le unità Nbcr dei pompieri per il contrasto alla minaccia nucleare, batteriologica, chimica e radiologica. In piazza anche i militari con i bazooka anti-drone: una sorta di dissuasori che in caso di avvistamento di velivoli non autorizzati riescono a inibire le onde radio mentre all’aeroporto di Pratica di Mare erano pronti i caccia Eurofighter e al largo di Fiumicino un cacciatorpediniere. Mezzi e dispositivi che, fortunatamente, non sono serviti, perché l’addio a Francesco è stato come doveva essere: un grande abbraccio al Papa della gente.

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