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Politica

L’Italia e la leadership che verrà, quando verrà e se verrà

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Nuove figure stanno emergendo nel fermentante bollitore della pandemia. Si candidano ad un rinnovamento della leadership: drammaticamente urgente sul piano politico, socio-economico e territoriale. Gente che mostra di essere in grado di prendere decisioni, avendo un’idea di quello che vuol fare e di come vuole farlo, valutando per il Paese i rischi e le opportunità di un’azione che per essere “politica” non può che collocarsi in un orizzonte di medio-lungo periodo.

Maurizio Landini. Leader sindacale dei metalmeccanici e oggi segretario della Cgil

          Proviamo a prescindere dalle opzioni ideologiche, dalle appartenenze partitiche, dalle personali simpatie o antipatie. Mi sembra allora, per cominciare, che la situazione, la presa di posizione pubblica, come pure la percezione collettiva indichino alla scala nazionale tre personalità capaci di assumere autentiche responsabilità di guida per l’Italia. Si tratta di Mario Draghi, di Maurizio Landini, di Carlo Bonomi. Metteteli attorno a un tavolo, questa la mia sensazione, e in mattinata uscirà qualcosa per i sistemi di interesse che vogliono rappresentare e per il Paese nel suo complesso. Conosciamo tutti Draghi e Landini. Conosciamo meno Bonomi, neo-eletto presidente di Confindustria, ma le sue prime dichiarazioni ne definiscono l’attitudine: chiara nell’espressione degli obiettivi, competente nel disegno esecutivo, pragmatica nell’intento realizzativo.

Confindustria. Il passaggio del testimone tra il salernitano Boccio al milanese Bonomi

Pragmatica vuol dire, a scanso di equivoci, aperta al confronto e consapevole della natura negoziale del processo sociale. Mi ha impressionato la sua voglia di giocare a carte scoperte, e non meno la sua capacità di dire –anche coi tempi della televisione, e cioè in due minuti- le tre cose che chiede al Governo qui ed ora: eliminazione dell’IRAP, saldo alle imprese di quanto dovuto, sblocco dei cantieri pubblici. Non le vaghe stelle dell’Orsa, ma faccende concrete. E, attenzione, lontane dalla logica dell’helicopter money che sembra irretire in questa fase i nostri governanti. Non sussidi a pioggia ed elemosine fintamente solidaristiche: una tantum e non strutturali.

Mario Draghi. È stato alla guida della BCE

Ma misure realisticamente eseguibili nel quadro di un buon negoziato all’insegna delle capacità esecutive dell’interlocutore. Attento alla celerità e alla misurabilità dei risultati, per gli uni e per gli altri. Sapendo che il principio di una buona leadership, e di una buona trattativa è: non chiedere al tuo interlocutore quel che manifestamente non può dare. Se fai una cosa del genere, ottieni un solo risultato: concedi tempo alle tentazioni dilatorie delle tue controparti che, per l’intanto, ti diranno di “sì”, rilasciandoti la promessa di qualcosa che, poi, non sarà mai fatto.

Dario Franceschini. Ministro della Cultura

          Queste figure emergenti per i nuovi ruoli di leadership troveranno facilmente delle sponde in personalità già in azione sulla scena pubblica, che tuttavia non riescono a dare il meglio di ciò che possono. Mi riferisco certo a personalità del Governo, come Dario Franceschini o Roberto Gualtieri. Ma anche dell’opposizione, come Carlo Calenda, che se riuscisse a dominare la sindrome del “primo della classe” potrebbe portare al successo l’intento tanto lodevole quanto temerario di porre il buon senso al centro delle risorse della politica. Senza dimenticare la sponda europea, si capisce, oggi tenuta soprattutto da Paolo Gentiloni. 

          Ma questi mesi tragici, mentre hanno messo a nudo la totale inettitudine di taluni ex-giovani rampanti -di maggioranza e di opposizione- di “pensare la politica” prim’ancora di farla, hanno selezionato altre personalità capaci di entrare in una dialettica della leadership di cui il nostro Paese ha estremo bisogno. Mi riferisco in modo particolare a taluni Presidenti di regione come Luca Zaia, Stefano Bonaccini, Vincenzo De Luca, Iole Santelli. Queste personalità, ciascuna a suo modo, sono riuscite a trasformare le proprie competenze, i propri sentimenti e persino le proprie inclinazioni caratteriali in risorse collettive che hanno contribuito a modellare per le loro regioni una prima fase costruita sulle specificità locali, componendo in articolate geografie epidemiologiche energie, intelligenze, dotazioni, profili medici differenziali. Ma occorre dire che è l’insieme degli amministratori pubblici locali che ha saputo reggere in questa fase: in specie, migliaia di Sindaci in prima linea, dei quali è diventato emblema discreto ma tenace Giorgio Gori, primo cittadino di Bergamo, la città-simbolo di una catastrofe epidemica contro cui si può e si deve lottare.

Giorgio Gori. Sindaco di Bergamo

Credo che il nuovo design leaderistico saprebbe aggirare il disastroso sistema command-control che tiene tradizionalmente in scacco in nostro Paese, in attesa di riforme strutturali della Pubblica Amministrazione. Ho l’impressione anche che, nel breve termine, si saprebbe relazionare in modo produttivo con il “mondo degli esperti”, al triplice livello della gestione degli aspetti medici, di sanità pubblica e di gestione della ripresa, che hanno dato risultati finora francamente deludenti. Nelle condizioni attuali, il pensiero di una “medicina territoriale” che sbarrerebbe l’ingresso agli ospedali in caso di una nuova fiammata epidemica, genera solo mesti sorrisi. I discorsi sulla “ripresa” e sulla “Fase 2” appaiono crudamente per quello che sono: retoriche di bassissimo conio. E nel prosieguo, immagino, un manager che non riesce a risolvere il problema delle mascherine dopo alcuni mesi ecco, forse lo manderei a casa.    

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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