Sulla manovra economica del Governo, sulle misure che saranno varate a breve e su quelli che sono i punti nodali del contratto di Governo, il ministro per gli Affari europei, Paolo Savona, è intervenuto con una lunga lettera pubblicata questa mattina da “il Fatto Quotidiano”. Savona spiega che occorre evitare polemiche strumentali sul nulla ma fare “una valutazione corretta delle scelte effettuate dal Consiglio dei ministri”. La campagna elettorale è finita, c’è un Governo in carica, ed è giusto che questo Governo provi a governare anche sulla base di quelle che sono le promesse fatte ai suoi elettori. Ed è su questo che Savona si sofferma subito nella letta al Fatto.
Ministro per gli affari europei. Paolo Savona
“Va innanzitutto ricordato che il programma di politica economica e finanziaria del governo è coerente con il contratto di governo e con la risoluzione parlamentare approvata il 19 giugno scorso, che hanno trovato espressione: 1) nella cancellazione degli aumenti dell’ Iva previsti per il 2019; 2) nell’ introduzione del reddito di cittadinanza, con la contestuale riforma e il potenziamento dei Centri per l’ impiego; 3) nell’ introduzione della pensione di cittadinanza; 4) nell’ introduzione di modalità di pensionamento anticipato per favorire l’ assunzione di lavoratori giovani (superamento della legge Fornero); 5) nella prima fase dell’ introduzione della flat tax tramite l’ innalzamento delle soglie minime per il regime semplificato di imposizione su piccole imprese, professionisti e artigiani; 6) nel taglio dell’ imposta sugli utili d’ impresa (Ires) per le aziende che reinvestono i profitti e assumono lavoratori aggiuntivi; 7) nel rilancio degli investimenti pubblici attraverso l’ incremento delle risorse finanziarie, il rafforzamento delle capacità tecniche delle amministrazioni centrali e locali nella fase di progettazione e valutazione dei progetti, nonché una maggiore efficienza dei processi decisionali a tutti i livelli della pubblica amministrazione, delle modifiche al Codice degli appalti e la standardizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato; 8) in un programma di manutenzione straordinaria della rete viaria e di collegamenti italiana a seguito del crollo del ponte Morandi a Genova, per il quale, in considerazione delle caratteristiche di eccezionalità e urgenza degli interventi programmati, si intende chiedere alla Commissione europea il riconoscimento della flessibilità di bilancio per condurre politiche di rilancio dei settori chiave dell’ economia, in primis il manifatturiero avanzato, le infrastrutture e le costruzioni; 9) nello stanziamento di risorse per il ristoro dei risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie”. Paolo Savona, eccellente economista, stimato a livello internazionale, dopo aver elencato gli impegni assunti dalle due forze politiche che sostengono la maggioranza, mette subito in guardia da chi prova sempre a inventarsi spesso contrasti inesistenti con la Commissione Europea. Per Savona la manovra del Governo è espansiva, punta “a colmare il gap di crescita reale del Pil rispetto al resto d’ Europa senza danni per la stabilità dei prezzi, anzi contribuendovi caricando sui conti pubblici l’onere dell’aumento dell’Iva necessario per colmare il deficit tendenziale del precedente governo stimato dal ministero dell’Economia e delle finanze in 1,24 per cento, ossia abbondantemente al di sopra di quello concordato con la Commissione”. L’altro capitolo importante è quello delle povertà nel nostro Paese. “Il governo ha ereditato 5 milioni di poveri i cui bisogni di sopravvivenza sono impellenti già da ieri; tra questi vi sono parte del 10 per cento dei lavoratori disoccupati, di cui un numero socialmente inaccettabile di giovani. Il reddito e la pensione di cittadinanza, nonché il pensionamento anticipato perseguono l’ obiettivo di attenuare le difficoltà di questa parte della popolazione, come impongono le regole della convivenza di una nazione civile”. Un impegno anche questo che va fatto subito perchè spiega Savona “c’è una situazione della crescita reale volge al peggio a causa dei mutamenti nelle condizioni del commercio internazionale da cui dipendono le sorti delle nostre esportazioni, tuttora il punto di forza della nostra economia. L’anno in corso dovrebbe registrare una crescita reale dell’1,5 per cento e le previsioni di consenso per il 2019 sono nell’ ordine dell’1 per cento. Se non si vuole un peggioramento dell’economia e un aumento delle condizioni di povertà e di disoccupazione occorre attivare nuovi interventi di politica fiscale”. Certo “l’ideale – scrive Savona – sarebbe quello di attivare massicci investimenti, nell’ordine dei risparmi in eccesso degli italiani, pari a circa 50 miliardi di euro, presenti da alcuni anni nella nostra economia. Occorre riavviare il secondo motore della nostra economia, quello delle costruzioni, il cui spegnimento ha largamente contribuito alla crisi. Le condizioni di realizzazione di questi investimenti sono state trascurate, ponendo vincoli interni ed esterni alla loro realizzazione. È ragionevole pensare che nel solo 2019 si possa raggiungere un aumento degli investimenti nell’ordine di almeno l’1 per cento di Pil, di cui la metà su iniziativa dei grossi centri produttivi di diritto privato dove lo Stato ha importanti partecipazioni. Se così fosse, l’incidenza sul disavanzo sarebbe nell’ordine di 0,5 per cento, senza tenere conto del gettito fiscale che questa nuova spesa garantirebbe”. Alle polemiche, alle accuse, ai mille distinguo che vengono fatti sulla capacità di sopportare un debito pubblico obiettivamente enorme, Savona spiega che “se la sostenibilità del debito italiano viene giudicata sulla base del rapporto tra debito pubblico e Pil, va constatato che esso si ridurrà nel corso dell’intero triennio, dato che la crescita del Pil nominale resterà in modo permanente al di sopra del 2,4 per cento del deficit di bilancio. Ciò vale nella peggiore delle ipotesi, quella di una mancata crescita, ma ancor più in quella di un successo della combinazione di spesa come quella indicata nella Nota di aggiornamento”. Dunque, l’invito è a non drammatizzare i numeri, le richieste dell’Europa ma a ragionare, tutti assieme, maggioranza e opposizione, nell’interesse del Paese. L’interesse del Paese è la crescita, la riduzione del debito da realizzare però senza strangolare nè i cittadini nè l’economia.”Poiché il governo è composto da persone che capiscono i rischi finanziari, ma anche avvertono i gravi pericoli dovuti a un peggioramento della crescita, l’attuazione del programma di governo sarà oggetto di un costante monitoraggio per verificare se gli andamenti dell’economia e della finanza restano coerenti con gli strumenti attivati; tutto ciò a cominciare dal 31 dicembre 2018, ancor prima dell’ avvio del programma”. Da qui l’auspicio o se piace di più la certezza di Savona che “il mercato valuterà in positivo le scelte fatte riconoscendo al governo il beneficio della razionalità che alimenta la speranza del mantenimento di una stabilità politica non meno preziosa della stabilità di bilancio”. Sembra non una risposta al monito di Matterella sul debito e sulla sostenibilità del debito anche con una manovra in deficit ma solo un contributo, quasi accademico più che politico, a non fare del male all’Italia con le chiacchiere e i moniti ma parlando di fatti.
Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet(foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.
Affluenza e composizione del voto
L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.
Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022
La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.
Il nuovo consiglio d’amministrazione
Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.
Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti
A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.
Donnet: «Ha vinto Generali»
«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.
Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.
A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.
Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.
Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.
Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.
La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.