Collegati con noi

Ambiente

In Italia 64.400 punti di ricarica per e-car, bene in Europa

Pubblicato

del

La rete italiana delle colonnine per le auto elettriche continua a crescere, con i punti di ricarica a uso pubblico installati a quota 64.391 (+13.713 sul 2023). È quanto emerge dalla sesta edizione dello studio “Le infrastrutture di ricarica a uso pubblico in Italia”, lanciato oggi a Key – The Energy Transition Expo da Motus-E che sottolinea come questo risultato, “nonostante il ritardo nelle vendite di auto elettriche, conferma l’Italia tra i Paesi più virtuosi d’Europa nell’infrastruttura al servizio dei veicoli a batteria”. La Lombardia è la prima regione per punti di ricarica (12.926) davanti a Lazio (6.917), Piemonte (6.151); Roma è la città che conta più punti di ricarica installati (3.117), seconda Milano (1.400) e terza Napoli(1.235). Napoli si conferma la città con più punti di ricarica in rapporto alla superficie, davanti a Torino e Milano.

Guardando alla distribuzione per macroaree, al nord si concentra il 57% dei punti di ricarica, al centro il 20% e al sud il 23%. I punti di ricarica lungo le autostrade sono 1.087. Considerando anche quelli entro 3 chilometri dall’uscita sono 3.447. La rete italiana ha raggiunto nel 2024 un’espansione di oltre il 27% e un aumento dei punti di ricarica negli ultimi due anni del 75%. Inoltre ha già il 75-80% di conformità rispetto agli ultimi obiettivi fissati dall’Europa e si attesta davanti a Francia, Germania e Regno Unito nel rapporto tra punti di ricarica e veicoli elettrici circolanti e tra punti di ricarica e lunghezza complessiva della rete stradale. Insieme al numero totale delle colonnine aumenta anche l’incidenza di quelle a più alta potenza: il 47% dei punti installati nel 2024 è di tipo veloce e ultraveloce, segnando un record assoluto (lo scorso anno rappresentavano il 22% delle nuove installazioni).

Per numero di punti di ricarica per chilometro quadrato è Napoli sul gradino più alto del podio (11 punti ogni km2), davanti a Torino (8 punti) e Milano (poco meno di 8 punti). Grazie al contributo di Rse, il report include l’aggiornamento dell’analisi spaziale dei punti di ricarica geolocalizzati, da cui emerge che, considerando anche le aree più remote e isolate del Paese, nel 94% del territorio nazionale è presente almeno un punto di ricarica in un raggio di 10 chilometri (86% a fine 2023). A livello europeo, con 19 punti di ricarica a uso pubblico ogni 100 auto elettriche circolanti, l’infrastruttura italiana si conferma davanti a quelle di Francia (14 punti ogni 100 auto), Germania (8 ogni 100) e Regno Unito (7 ogni 100), conservando il primato anche se si considerano solo i punti di ricarica veloci in corrente continua.

“Grazie all’impegno degli operatori il processo di infrastrutturazione del Paese procede spedito ma c’è ancora un importante lavoro da fare per aumentare la capillarità in alcune aree, specialmente nel Mezzogiorno, dove la limitata penetrazione dei veicoli elettrici non agevola i grandi investimenti richiesti, in particolar modo per le colonnine ad alta potenza”, osserva il presidente di Motus-E, Fabio Pressi, auspicando che “vengano estesi i termini per l’utilizzo dei fondi Pnrr ancora disponibili, rivedendo i meccanismi di cofinanziamento per facilitarne l’impiego e supportare la crescita dell’infrastruttura nelle zone meno coperte, facendo leva anche sul prezioso monitoraggio della Piattaforma Unica Nazionale gestita dal Gse”.

Pressi sottolinea l’importanza della collaborazione tra tutti gli attori coinvolti da questo “grande processo di infrastrutturazione del Paese”, come dimostra il recente protocollo che siglato con Unem per le colonnine nei distributori di carburante. “Lo stesso approccio andrebbe esteso anche alla semplificazione e omogenizzazione degli iter autorizzativi”, aggiunge auspicando “un maggior coordinamento pubblico-privato, anche attraverso l’atteso aggiornamento del Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica (Pnire)”.

Advertisement

Ambiente

Un progetto per salvare gli squali del Mediterraneo

Pubblicato

del

Un progetto per la conservazione degli squali del Mediterraneo per cercare di arginare una crisi senza precedenti: più del 50% delle specie è a rischio a causa della pesca eccessiva, delle catture accidentali e della perdita di habitat. Ha così ufficialmente preso il via Prosharks (Living on the extinction edge: bridging knowledge gaps to Protect threatened coastal Sharks in the central Mediterranean Sea), un innovativo progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) nell’ambito del programma PRIN 2022 Il progetto è coordinato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn e vede la partecipazione dell’Università Politecnica delle Marche e del Cnr Irbim.

ll Mediterraneo, un tempo hotspot di biodiversità per questi animali, ha visto una drastica riduzione delle popolazioni di elasmobranchi, con molte specie ormai scomparse o presenti in numeri estremamente ridotti. Prosharks si propone di affrontare questa emergenza studiando in particolare gli squali palombo (Mustelus mustelus, M. punctulatus e M. asterias) nel Canale di Sicilia, una delle aree del Mediterraneo dove queste specie mantengono popolazioni vitali. Attraverso l’integrazione di dati satellitari, analisi isotopiche, genetica delle popolazioni e delle conoscenze ecologiche locali dei pescatori, Prosharks stabilirà una base di conoscenze solida per valutare lo stato delle popolazioni di palombi e proporre misure di gestione efficaci.

Il progetto punta a identificare aree chiave per la conservazione, come zone di riproduzione e di accrescimento, definire la connettività genetica delle popolazioni e proporre misure tecniche di gestione, valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla distribuzione futura delle specie. I risultati di Prosharks contribuiranno a sviluppare strumenti di supporto decisionale per la tutela degli squali del Mediterraneo e a sensibilizzare pescatori e opinione pubblica sull’importanza della conservazione di queste specie essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema marino.

Continua a leggere

Ambiente

Copernicus, le calotte glaciali raggiungono il minimo storico

Pubblicato

del

Calotte glaciali al minimo storico e temperature ancora ai massimi: dopo il 2024 e la sua serie di record climatici e disastri, l’inverno del 2025 mostrerà ancora una volta il riscaldamento globale proseguendo oltre due anni di osservazioni di livelli storici di caldo. A febbraio la superficie cumulativa del ghiaccio marino attorno ai due poli ha raggiunto un nuovo minimo storico e i tre mesi corrispondenti all’inverno nell’emisfero settentrionale (dicembre-febbraio) sono stati caldi quasi quanto il record dell’anno scorso, secondo il bollettino mensile pubblicato oggi dall’osservatorio europeo Copernicus.

“Febbraio 2025 è in linea con le temperature record o quasi record osservate negli ultimi due anni” a causa del riscaldamento globale, sottolinea Samantha Burgess del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf) in un comunicato stampa. “Una delle conseguenze di un mondo più caldo è lo scioglimento del ghiaccio marino”, che è “a un minimo storico”, aggiunge la Burgess. Il 7 febbraio, afferma Copernicus, “è stato raggiunto un minimo storico per la superficie cumulativa del ghiaccio” attorno all’Artico e all’Antartico.

Continua a leggere

Ambiente

Inverno 2025: temperature record e anomalie climatiche

Pubblicato

del

L’inverno 2025 è stato tra i più miti della storia recente. Se si escludono alcuni giorni freddi a dicembre, la stagione fredda non si è praticamente mai manifestata. Nonostante le abbondanti nevicate registrate la scorsa settimana sulle Alpi e in alcune zone del Centro Italia, le temperature alte hanno dominato tutto l’inverno, con valori eccezionali come i 15°C registrati a gennaio lungo le regioni adriatiche per effetto del Garbino, un vento caldo e secco.

Il primo mese dell’anno è stato il più caldo di sempre a livello globale, con una temperatura media di 13,23°C, secondo i dati dell’osservatorio europeo Copernicus. Questo valore rappresenta un incremento di 1,75°C rispetto all’epoca preindustriale (1850-1900). Anche l’Italia ha registrato anomalie climatiche significative: l’inverno 2025 è il quarto più caldo degli ultimi 220 anni.

Temperature in aumento: il riscaldamento è una tendenza consolidata

Secondo il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, il trend è ormai chiaro: gli inverni più caldi si sono verificati tutti negli ultimi anni. L’anomalia termica di questo inverno è stata particolarmente evidente in regioni come Piemonte e Toscana, con scarti di 8°C sopra la media.

Ora, con l’arrivo di marzo, i meteorologi prevedono un’ondata di caldo anomalo con temperature che potrebbero toccare i 22°C in molte città italiane. Un vero e proprio anticipo di primavera, accompagnato da un’assenza quasi totale di precipitazioni e temperature superiori alla media stagionale di 7-8°C.

L’impatto del cambiamento climatico sull’Italia

“Abbiamo avuto spesso giornate calde in pieno inverno a causa del Föhn, il vento caldo di caduta, ma ciò che conta è la media stagionale“, sottolinea Mercalli. Le temperature invernali miti stanno diventando la norma, e gli effetti del riscaldamento globale si manifestano in maniera sempre più evidente. Se il trend attuale continuerà, l’estate 2025 potrebbe essere tra le più calde di sempre.

Le previsioni a lungo termine, tuttavia, rimangono difficili da formulare: “Le previsioni meteo dettagliate coprono al massimo 15 giorni, mentre quelle stagionali (di tre mesi) sono sperimentali e spesso inaffidabili”, spiega il climatologo. Tuttavia, la tendenza al riscaldamento è ormai consolidata, e nel mondo si stanno registrando temperature record mai viste prima.

I rischi del riscaldamento: meno giorni di gelo, più eventi estremi

Un effetto diretto del cambiamento climatico è il crollo delle temperature invernali e la riduzione dei giorni di gelo. A Torino, la media dei giorni con temperatura minima sottozero tra il 1991 e il 2020 era di 27 giorni tra ottobre e febbraio, mentre quest’anno sono stati solo 6. A Piacenza si è passati da 53 giorni di gelo a 35.

L’altra faccia del riscaldamento climatico è l’aumento dei fenomeni meteorologici estremi. Negli ultimi anni l’Italia ha vissuto grandinate, nubifragi e alluvioni lampo sempre più frequenti e intense. Il caso più evidente è quello della Romagna, colpita da quattro alluvioni gravi in un anno e mezzo.

Nonostante questi segnali evidenti, il clima e l’ambiente sono sempre più trascurati nell’agenda politica, denuncia Mercalli. “Mi sembra di essere tornato indietro di 40 anni, quando si cominciava timidamente a parlare di crisi climatica. Oggi, invece di agire, continuiamo a ignorare il problema“.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto