Collegati con noi

Cronache

Latitante di camorra tradito dalla passione per il Napoli

Pubblicato

del

In Grecia si era rifatto un’altra vita. Aveva una seconda famiglia, gestiva esercizi commerciali. Undici anni di latitanza, i suoi, finanziati dai soldi della camorra e trascorsi quasi sicuramente tutti in territorio greco. Corfù era la sua seconda casa, dopo Napoli. Vincenzo La Porta, insomma, si sentiva ‘tranquillo’ nella località balneare tra le più note al mondo. Quando il Napoli ha vinto lo scudetto, non ci ha pensato due volte ad uscire e ad andare in giro a festeggiare. Sciarpa azzurra in mano, compare in bella mostra davanti ad un ristorante pizzeria pieno di striscioni dedicati agli azzurri. Ma quella foto è finita sui social e a sua volta è finita nel pc dei carabinieri. E così per Vincenzo La Porta è finita la latitanza. E pure la libertà. Il 60enne napoletano non era uomo di poco conto nelle fila del clan Contini, parte del cartello criminale denominato “Alleanza di Secondigliano”.

Era considerato un vero e proprio ‘colletto bianco’. La contiguità al clan è comprovata dalle varie vicende giudiziarie a carico di la Porta che insieme a Ettore Bosti ed Enrico Kaiser, vale a dire i vertici dei Contini, ha partecipato attivamente al sodalizio criminale dedito da anni alla sistematica evasione fiscale, alla frode fiscale e a truffe in danno di fornitori esteri. La Porta risulta, infatti, gravato da numerosi pregiudizi penali, prevalentemente di natura economico-finanziaria: ricettazione, associazione per delinquere, occultamento o distruzione di documenti contabili, omessa dichiarazione, truffa, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta. In particolare l’attività del latitante si concretizzava nel riciclaggio dei soldi dei Contini.

Cosa che avrebbe fatto anche durante la sua latitanza. Nel corso degli anni di ‘fuga’ è stato condannato in contumacia in particolare per essere il promotore di un’associazione a delinquere dedita da anni alla sistematica evasione fiscale, alla frode fiscale e a truffe in danno di fornitori esteri (anche della stessa Grecia dove risultava avere cospicue entrate) i cui componenti sono riusciti, nel corso degli anni, ad accaparrarsi considerevoli fette di mercato grazie a forniture imponenti ottenute a fronte di garanzie sostanzialmente inesistenti, prestate da soggetti nullatenenti o da società fittizie, che, dopo essere state utilizzate a scopo di mera interposizione fittizia, venivano lasciate fallire a scapito di fornitori e creditori.

E’ nel 2012 che fa scomparire le sue tracce sottraendosi ad una ordinanza di custodia cautelare personale in quanto, in concorso, rivestendo cariche societarie presso numerose società, aveva emesso fatture per operazioni inesistenti, non presentando la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto e distruggendo le scritture contabili obbligatorie. Ora sono in corso ulteriori indagini finalizzate all’identificazione dei fiancheggiatori nonché indagini di natura patrimoniale tese a confermare il presunto riciclaggio in Grecia di denaro del clan. Intanto La Porta, che nel novembre del 2022 era stato inserito nell’elenco dei “latitanti pericolosi” (ex elenco 100) del ministero dell’Interno, ora ha finito gli affari. E da ‘colletto bianco’ per il Contini gli resterà solo il ruolo di tifoso in cella, visto che dovrà scontare 14 anni di carcere.

Advertisement

Cronache

Caso Garlasco, nuovo capitolo a Brescia: Venditti contro i pm, “grave scorrettezza” per la loro assenza in udienza

Nuovo scontro giudiziario sul caso Garlasco. A Brescia Mario Venditti attacca i pm per la loro assenza all’udienza del Riesame: “Grave scorrettezza”. Restano i dubbi sui soldi ricevuti dagli avvocati di Sempio.

Pubblicato

del

L’ultimo round del caso Garlasco si è consumato davanti al tribunale del Riesame di Brescia, dove si sono presentati l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, i suoi legali e quelli dei carabinieri Giuseppe Spoto e Silvio Sapone.
Assente invece il pubblico ministero che accusa Venditti di corruzione, per aver favorito nel 2017 l’archiviazione di Andrea Sempio, oggi a sua volta imputato per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007.

La mancata presenza del pm, seppure non obbligatoria, ha alimentato nuove polemiche in un’inchiesta che da anni continua a generare scontri, veleni e recriminazioni.


“Atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”

Abbiamo solo preso atto di un atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”, ha commentato l’avvocato Domenico Aiello, difensore di Venditti, dopo aver chiesto al Riesame di annullare per la terza volta il decreto di sequestro dei telefoni e dei computer del suo assistito.

Sulla stessa linea anche l’avvocata Giorgia Spiaggi, che rappresenta i carabinieri Spoto e Sapone:

“Il fatto che il pubblico ministero non si sia presentato ci ha lasciati basiti. Dal mio punto di vista è evidente che non abbia più nulla da dire”.

Il tribunale si è riservato la decisione, che verrà depositata nei prossimi giorni.


Venditti: “Io corrotto? I soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”

In serata, intervenendo alla trasmissione Dentro la notizia su Canale 5, Mario Venditti ha duramente criticato l’atteggiamento dei pm bresciani:

“Pensavo avrebbero depositato i verbali degli ultimi due giorni, ma non c’era neanche il pubblico ministero. È stata una grave scorrettezza”.

L’ex procuratore ha poi respinto le accuse di corruzione:

“Io dovrei essere il corrotto, il destinatario finale dei movimenti di denaro. Ma quei soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”.

Tra questi Massimo Lovati, ex legale di Sempio, che davanti ai pm ha ammesso di aver ricevuto 15mila euro in nerocome compenso, pur dicendosi comprensivo verso i “dubbi” della Procura sui contanti ricevuti.


“Sempio è innocente”: la linea di Venditti

Venditti ha ribadito la sua convinzione sull’innocenza di Andrea Sempio, vicino di casa di Chiara Poggi:

“Sempio non c’entra nulla con la morte di Chiara. Mi sarei dovuto fermare nel 2017, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello di Brescia sull’inammissibilità della revisione. Ma il Gip stesso ha ritenuto corretto il mio operato”.


La difesa di Stasi: “Condannato dall’opinione pubblica”

Ad oggi Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi, resta l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio.
La sua avvocata, Giada Bocellari, intervenuta su Ore 14 (Rai 2), ha commentato:

“L’errore più grande degli inquirenti è stato quello di innamorarsi della tesi del fidanzato assassino e fermarsi lì, trascurando altre piste. Alberto è stato condannato prima dall’opinione pubblica che dai giudici”.

Un caso senza fine, che a distanza di 18 anni continua a intrecciare accuse, sospetti e ferite mai del tutto rimarginate.

Continua a leggere

Cronache

Trieste, la tragedia annunciata: Olena uccide il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni e minacce

Olena Stasiuk, 55 anni, ha ucciso il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni, minacce e tensioni con l’ex marito. Il padre: “Perché le hanno permesso di vederlo da sola?”. Aperta un’indagine sulle decisioni dei giudici e dei servizi sociali.

Pubblicato

del

O Giovanni rimane con me, oppure sono disposta a uccidere il bimbo, a uccidere me buttandomi in mare, e a uccidere anche Paolo.”
Era l’11 luglio 2018 quando Olena Stasiuk, 55 anni, pronunciò questa frase davanti ai servizi sociali, durante una delle tante riunioni sulla custodia del figlio. Quelle parole, verbalizzate e depositate, erano state una minaccia chiara e terribile.
Sette anni dopo, quella minaccia è diventata realtà. Olena ha tagliato la gola al piccolo Giovanni, suo figlio, forse con più di un colpo.


Il padre: “Perché l’hanno lasciata da sola con lui?”

Il padre del bambino, Paolo, è distrutto.
Dietro il cancello di casa, circondato da giornalisti e poliziotti, non riesce a darsi pace:

Perché le è stato consentito di vederlo da sola?

Il tribunale aveva infatti autorizzato da maggio una visita settimanale senza la presenza di un assistente sociale, nonostante il padre, da anni, avesse denunciato la fragilità psichica della donna e i precedenti episodi di violenza.
In almeno due occasioni Giovanni era stato malmenato, una volta strozzato al collo, con lividi certificati dai medici.


Otto anni di guerra giudiziaria e segnalazioni ignorate

Una guerra familiare lunga otto anni, tra querele, ricorsi e segnalazioni ai servizi sociali.
Nel 2017 Olena aveva avuto una crisi nervosa acuta ed era stata curata con un farmaco somministrabile solo al Centro di salute mentale, ma poi aveva interrotto le cure.
Dal 2023 non era più seguita dagli specialisti.

Nonostante tutto, lo scorso aprile la psicologa Erika Jakovcic aveva proposto di intensificare i contatti tra madre e figlio.
Il 13 maggio 2025, il tribunale civile di Trieste concesse una visita settimanale non assistita, ritenendo che la donna avesse “mostrato miglioramenti”.

“Forse nell’ottica della genitorialità si è voluto dare fiducia a una madre”, spiega l’avvocata del padre, Gigliola Bridda, “ma quei segnali erano stati sottovalutati. Avevamo chiesto una perizia psichiatrica, ma non è mai stata fatta”.


La perizia psichiatrica ora verrà disposta

Olena è ora ricoverata all’ospedale Maggiore di Trieste.
Non è ancora stata interrogata, ma la sua difesa, affidata all’avvocata Chiara Valente, ha già annunciato la richiesta di una perizia psichiatrica.
Dal Centro di salute mentale Asugi, il direttore Massimo Semenzin ha confermato che la donna “manifestava disturbi d’ansia”, era stata seguita fino al 2023 e poi “fu concordata un’interruzione, perché non assumeva farmaci e sembrava stabile”.


Il vescovo: “Accettiamo il fallimento della nostra organizzazione”

Sulla tragedia è intervenuto anche il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, che ha parlato di una sconfitta collettiva:

Dobbiamo impegnarci a fare in modo che non si ripetano più queste tragedie. Ma dobbiamo anche accettare la nostra sconfitta, il fallimento della pretesa organizzativa che vorrebbe eliminare il male e la morte innocente.

Un messaggio che oggi suona come un atto di dolore per un bambino che poteva e doveva essere salvato.

Continua a leggere

Cronache

Omicidio di Maria Campai, condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana: “Volevo scoprire cosa si prova a uccidere”

Condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana che, da minorenne, uccise Maria Campai. Il delitto brutale era stato motivato dal desiderio di “sapere cosa si prova a uccidere”.

Pubblicato

del

È stato condannato con rito abbreviato a 15 anni e 8 mesi di reclusione il 19enne di Viadana, autore dell’omicidio di Maria Campai, la 42enne di origini romene residente a Parma, uccisa nel settembre 2024 con una violenza inaudita.
Il delitto avvenne quando l’imputato era ancora minorenne: i due si erano conosciuti su un sito di incontri online, e si erano incontrati in una villa disabitata nella zona dove il giovane viveva.

La sentenza è stata pronunciata dalla giudice Laura D’Urbino del tribunale dei minori di Brescia, che ha accolto solo in parte le richieste della procura.
Il pm Carlotta Bernardini aveva chiesto 20 anni, il massimo previsto per un minorenne, mentre la difesa – affidata agli avvocati Paolo Antonini e Valeria Bini – aveva chiesto di escludere la premeditazione.


“Volevo sapere cosa si prova a uccidere”

Una frase agghiacciante pronunciata dal giovane durante gli interrogatori ha segnato profondamente l’inchiesta:

Volevo scoprire cosa si prova a uccidere. L’ho fatto con una mossa di wrestling.”

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Maria Campai fu uccisa nel garage di casa del ragazzo, trasformato in una palestra di arti marziali, poco dopo un rapporto intimo.

L’autopsia ha rivelato che la donna fu colpita con estrema violenza — pugni al volto, alla testa e al corpo — e poi soffocata, mentre cercava disperatamente di difendersi.
Dopo il delitto, il giovane spostò il corpo nel giardino di una villa abbandonata, dove lo nascose sotto foglie e arbusti.


Una settimana di silenzio e la svolta

Per una settimana la famiglia di Maria, in particolare la sorella, l’aveva cercata ovunque, anche con un appello a Chi l’ha visto?.
È stata proprio la sorella a riconoscere il ragazzo come l’ultimo ad aver accompagnato la donna, conducendo gli investigatori sulla pista giusta.

Davanti ai carabinieri, il giovane ha infine confessato e indicato il luogo esatto dove aveva nascosto il corpo.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto