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Economia

Landini, patente a punti imprese contro morti lavoro

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Gli incidenti sul lavoro sono sempre piu’ un’emergenza. Non bastano piu’ gli appelli. Soprattutto di fronte alle 538 morti bianche avvenute nel nostro Paese nei primi sei mesi di quest’anno. Cui vanno aggiunti gli incidenti mortali degli ultimi giorni (quello tragico di Laila), e quelli delle ultime 24 ore: due in provincia di Bergamo, con un morto, e un camionista in condizioni gravi; e un altro ad Asti con la morte per ustioni sul 70% del corpo. I sindacati, Cgil in testa con Maurizio Landini, tornano a chiedere con forza la patente a punti per le imprese, e l’estromissione dalle gare per quelle in cui si verificano troppi incidenti. Uno scenario di questo tipo, che conta una media di tre vittime al giorno nel 2021, il presidente dell’Inail Franco Bettoni non esita a definirlo “indegno”. E contro il quale bisogna rafforzare i controlli per la sicurezza, come aveva detto Andrea Orlando ricordando l’avvio del concorso per oltre 800 unita’ all’Ispettorato nazionale del lavoro, fino a giungere in pochi mesi a 2mila posti in piu’. Sul tavolo ‘lavoro’ – che deve fare i conti anche con le misure sull’obbligatorieta’ del green pass – riprende poi quota anche l’istituzione di una Procura nazionale sui reati per igiene e sicurezza sul lavoro. Un tema caro ai cinque stelle, rilanciato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: dotarsene e’ “fondamentale”, investire “sulla sicurezza rappresenta una forma di tutela del lavoratore, ma e’ anche un modo per innalzare gli standard delle aziende”. Proposte e linee d’azione, attuazione di specifiche misure, che nel governo non restano senza riscontro; il ministro Orlando aveva parlato anche di curriculum per le imprese, cosi’ come della patente a punti, ritenuta “l’ipotesi in campo”. Era stato chiaro il premier Mario Draghi: bisogna “migliorare una situazione inaccettabile sul piano della sicurezza sul lavoro. E’ stato fatto molto, ma occorre fare molto di piu'”. Intanto, accanto alla lotta al lavoro nero (con l’obiettivo di ridurne l’incidenza di almeno il 2% entro il 31 marzo 2026), entra nella road map del Recovery anche l’incremento del 20% delle ispezioni entro il 30 giugno 2025 rispetto al periodo 2019-2021. “Occorre non considerare la salute e la sicurezza sul lavoro un costo ma un investimento – dice Landini ricordando che le leggi ci sono ma che vanno applicate – questo significa ridurre la precarieta’, formare i lavoratori e chi deve dirigere le imprese. Serve anche una patente a punti affinche’ le aziende dove ci sono troppi incidenti non continuino a partecipare alle gare”. E’ necessario poi anche “un Piano nazionale per la salute e la sicurezza”: sul punto Landini fa presente che e’ stata chiesta di l’attivazione di “un confronto gia’ nel mese di agosto”. La situazione “reclama interventi urgenti per intensificare i controlli e sanzionare pesantemente le aziende che non rispettano le norme su sicurezza e tutela della vita”, rileva il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra. Che in questo modo non si possa piu’ continuare, e’ il ragionamento del segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri che rivendica “una cabina di regia a Palazzo Chigi”: “Si deve fermare questa strage. Sono mesi che proponiamo la patente a punti”, sollecitando, “per le aziende colpevoli, lo stop alla partecipazione alle gare per commesse pubbliche”. Chiede un “salto di qualita’ sulla sicurezza nel lavoro e la prevenzione” Bettoni che definisce il quadro “indegno”. Tanto i numeri Inail hanno il suono di un colpo di martello sull’asfalto: gli infortuni sul lavoro con esito mortale sono cresciuti dell’11,6% sullo stesso periodo del 2019 (piu’ 56 decessi). E anche se i dati per il 2021 sono ancora influenzati dall’effetto Covid, nel primo semestre di quest’anno viene rilevato un incremento delle denunce di infortunio dell’8,9%, mentre i casi mortali nei primi sei mesi del 2021 (rispetto al lievissimo incremento registrato fino a maggio) i decessi diminuiscono rispetto al 2020 (meno 5,6%, meno 32 casi).

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Economia

Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Economia

Bhp offre 36 miliardi per il rame di Anglo American

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Scossone nel mondo delle materie prime. Bhp, il primo gruppo mondiale, un gigante da 120 miliardi di sterline di capitalizzazione di Borsa, sta cercando di mettere le mani su un altro colosso del settore, Anglo American, ingolosito dalle sue miniere di rame, metallo reso sempre più ricercato e costoso dal ruolo centrale che riveste nei processi di transizione energetica e di elettrificazione. La multinazionale con sede a Melbourne, in Australia, ha inviato ad Anglo American una proposta di fusione attraverso uno scambio azionario che valuta la concorrente 31,1 miliardi di sterline (36 miliardi di euro), incluse le partecipazioni nelle controllate quotate Anglo American Platinum e Kumba (ferro), di cui è prevista la distribuzione agli azionisti di Anglo American prima della fusione.

L’offerta, che valuta le azioni 25,08 sterline l’una, ha fatto impennare il titolo alla Borsa di Londra, salito del 16,1% a 25,6 sterline, sopra il prezzo offerto da Bhp. Segno che la proposta degli australiani potrebbe non bastare: secondo gli analisti di Jefferies serviranno almeno 28 sterline ad azione per avviare “serie discussioni” e “ben più di 30” nel caso in cui si facessero sotto altri pretendenti. Il cda di Anglo American ha fatto sapere che sta analizzando l’offerta, che Bhp dovrà confermare o ritirare entro il 22 maggio. Ma non è questo l’unico ostacolo che Bhp si troverà ad affrontare. Anzitutto l’operazione passerà al setaccio delle autorità antitrust di diversi Paesi – dall’Australia, al Sudafrica, al Cile – alla luce del rafforzamento della posizione di Bhp in alcuni mercati, a partire da quello del rame, di cui diventerebbe da terzo a primo produttore mondiale, con una quota di mercato di circa il 10% e una produzione annua superiore ai due milioni di tonnellate.

In secondo luogo occorrerà convincere il governo sudafricano, dove si trovano un quinto degli asset di Anglo American e che controlla il primo azionista del gruppo, il fondo pensione Pic. Il ministro delle Risorse minerarie, Gwede Mantashe, ha già chiarito all’Ft di non vedere di buon occhio l’operazione avendo avuto un’esperienza “non positiva” con Bhp in occasione dell’acquisizione di Billiton nel 2001, tradottasi in un impoverimento per l’industria mineraria del Paese. Pic ha dichiarato che valuterà l’offerta ma ha precisato che le nuove opportunità dovranno tener conto del ruolo “fondamentale” che il settore minerario riveste per l’economia sudafricana e i suoi stakeholder e della “sostenibilità a lungo termine”. Oltre ad “aumentare l’esposizione alle materie prime del futuro” integrando “gli asset di livello mondiale nel rame di Anglo American”, Bhp ha detto di essere interessata alle attività nei metalli ferrosi e nel carbone metallurgico australiano mentre gli altri asset, inclusa la quota nel produttore di diamanti De Beers, saranno sottoposti a “revisione strategica” e dunque potrebbero essere messi sul mercato a valle dell’acquisizione.

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