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Cronache

Inchiesta in Argentina: “Maradona è stato fatto morire”. Diego Junior da Napoli: voglio la verità

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“Grave incuria da parte dei medici, nessuno si occupava del paziente”. È questa la prima ipotesi d’indagine che la Fiscalia di San Isidro (la procura che indaga) avanza per spiegare la morte di Diego Armando Maradona. I video e le foto di quel luogo ai limiti dello squallore in cui trascorreva la convalescenza il più grande calciatore di tutti i tempi comunicano quello che sostengono anche gli inquirenti. Un indegno letto di morte nella villa di Tigre, ai sobborghi di Buenos Aires. Il figlio napoletano di Diego Armando Maradona, Diego Jr, che nei giorni in cui il padre moriva era ricoverato in fin di vita all’ospedale Cotugno di Napoli affetto da Covid 19 e con una polmonite bilaterale grave, ospite della trasmissione di Barba D’Urso su Canale 5, è stato nettissimo su questo versante. “Sento parlare di eredità, lotte per l’eredità, per me è l’ultimissima cosa. Quello che  ora mi interessa è ottenere il permesso dei medici del Cotugno (i dottori Parrella e Ascierto) che mi hanno salvato la vita, per poter andare in Argentina e portare un fiore sulla tomba di mio padre. Posso però dirvi – ha detto Diego Jr davanti alle telecamere della D’Urso – che se c’è stata negligenza, se ci sono responsabilità, chiunque le ha commesse pagherà, fosse anche l’ultima cose che farò in questa vita”.

L’inchiesta penale sugli ultimi giorni di vita di Maradona e sulle responsabilità di chi gli stava accanto potrebbe  essere già ad un punto di svolta. Stando al quotidiano La Nacion prende sempre più corpo l’ipotesi di “morte derivata da mala gestione del paziente”. Luogo di convalescenza inadatto, farmaci non in linea con il protocollo sanitario della clinica in cui aveva subito l’intervento, assistenza sanitaria non all’altezza delle patologie che affliggevano il Pibe de Oro.  Si complicano quindi sempre più le posizioni del medico personale Leopoldo Luque e della psichiatra Agustina Cosachov.

“Nessuno aveva il controllo del paziente” dice una fonte investigativa che parla di “disorganizzazione totale” nella gestione postoperatoria. Nelle prime relazioni dei giudici della Procura di San Isidro si nota che “il paziente non era monitorato, non era sottoposto a continuo controllo medico come le sue condizioni avrebbero richiesto e non assumeva alcun farmaco per le sue patologie cardiache”. Queste negligenze, queste mancanze, hanno in qualche caso determinato un aggravamento delle condizioni di salute di Maradona? Per ora le accuse contestate ai due indagati, Luque e Cosachov, (e ad altri che saranno iscritti nel registro degli accusati) sono quelle di omicidio colposo. Ma non è detto che l’ipotesi reato non possa aggravarsi nel corso delle investigazioni. Perchè quello che sta emergendo è che Diego Maradona non doveva essere dimesso dalla clinica Olivos, ma andava portato in un centro specializzato per proseguire la riabilitazione. Non in quella casa un po’ squallida, usata solo in parte (tutte le stanze al piano superiore erano chiuse perchè Diego non poteva arrivarci), senza un bagno vero. “Siamo davanti alla possibilità che sia stato commesso un reato, è possibile dire che potremmo trovarci davanti a un omicidio colposo” aggiungono gli investigatori argentini.

Diego Maradona col figlio Diego Junior

Abbandonato in una casa con scarsa assistenza sanitaria e un solo bagno chimico, così è morto Maradona

Il processo sarà però lungo e difficile, occorre attendere l’esito degli esami supplementari legati all’autopsia. Ma il rimpallo di responsabilità è già cominciato. Sarà una battaglia lunga e senza esclusione di colpi, come per l’eredità, una telenovela triste che ogni giorno riserva episodi nuovi. Ora prende corpo l’ ipotesi che i resti del Diez vengano addirittura riesumati. A richiederlo è uno dei presunti figli segreti, Santiago Lara, che ha bisogno del dna per effettuare il test e dimostrare la parentela. Sempre Dieguito Maradona, figlio napoletano riconosciuto solo dopo anni dal campione argentino, che ieri per la prima volta si è presentato davanti alle telecamere, ci è andato giù duro con l’iniziativa di questo Santiago Lara. E l’ha fatto come di consueto con fermezza ma senza mai offendere.

Maradona: ecco la casa dove Diego è morto dopo l’operazione alla testa

“Per un riconoscimento di paternità – ha detto Diego Junior – ci sono delle procedure da seguire. E la procedura non prevede che si vada fuori al cimitero dove è sepolto mio padre 48 ore dopo la sua morte per chiedere assieme al suo avvocato e con i giornalisti al seguito la riesumazione. Si va in Tribunale. Se si seguono le procedure, io che ho sofferto tanto considererò e considero fratelli chiunque, a chi usa metodi non puliti prometto però battaglia. Ci vuole rispetto, ora l’unica cosa che mi interessa è la verità sulla morte di mio padre” ha spiegato Diego jr.  In ballo c’è una fortuna da 70 milioni di dollari e molti pretesi figli di Maradona potrebbero essere interessati solo a quella. L’unica cosa certa per ora è la morte del calciatore più forte della storia in circostanze oscure e in un posto non degno per una persona nelle sue condizioni. Diego Jr, prima di ammalarsi gravemente di Covid e finire in terapia intensiva con casco per ossigeno,  ha spiegato che aveva sentito il padre.  “Ho fatto una videochiamata con papà. Stava bene, rideva. Poi ho avuto il Covid e non riuscivo a rispondere alla chat che avevamo noi figli con papà” ha raccontato alla D’Urso. Ecco perchè ha ripetuto più volte che  “se ci sono colpevoli pagheranno”.

“Qualche passaggio sulle condizioni di salute di papà l’ho perso perché stavo combattendo per rimanere in vita col Covid. Ero in ospedale. Alcuni amici giornalisti spagnoli mi hanno mandato messaggi, ma senza farmi capire troppo. Poi ho chiamato in Argentina e mi hanno confermato” svela quasi in lacrime Diego Junior.  “Noi dovevamo avere più tempo per condividere la nostra vita. Lui meritava di godersi i suoi nipoti. Sono molto religioso e penso che arriva per tutti noi la fine del cammino perché il tempo di Dio è perfetto. Sono stato felice con mio padre. Anche se per poco tempo è valsa la pena” dice Maradona jr che piange dentro, si commuove. “Sono riuscito a chiudere il cerchio quando ho visto mio figlio in braccio a mio padre. Mi porterò un grande rimpianto: per colpa di questo maledetto Covid non ha potuto prendere in braccio l’altra mia figlia” continua il figlio di Maradona.  Unico moto di rabbia nella prima ed unica intervista in video di Diego Junior è quando parla di quello che scrivono alcuni giornali . “Pensate che hanno dato in pasto ai giornali le chat di noi figli, pubblicate ovunque, senza nemmeno oscurare il mio numero di telefono. Con mio padre morto e io in gravi condizioni di salute in ospedale, ho ricevuto migliaia di telefonate da ogni parte del mondo. Ho dovuto bloccare 5mila numeri di telefono” ha raccontato Diego molto amareggiato.

La battaglia per l’eredità di Maradona, la società dell’avvocato Morla che gestisce il marchio

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L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero. La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati. Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

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Il rosso e il nero, a San Pietro geografia del potere

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Il rosso porpora dei cardinali e il nero degli abiti in lutto, il bianco delle rose e il marmo bianco del colonnato. Tra cerimoniale e protocollo sul sagrato di San Pietro si è dispiegata la geografia del potere spirituale e temporale racchiusa nella regia sapiente del rito. Le spettacolari immagini dall’alto, realizzate grazie anche all’inedito utilizzo di droni, hanno trasformato piazza San Pietro in una gigantesca scacchiera dell’equilibrio mondiale: da un lato il rosso degli abiti cardinalizi, dall’altro il nero degli abiti dei capi di Stato e consorti sapientemente distribuiti in base a ruolo e peso internazionale. A seguire, in una sorta di sfumatura cromatica, il bianco dei concelebranti e i variopinti completi delle decine di migliaia di fedeli. In prima fila la delegazione italiana e quella argentina alle quali si sono affiancate, con un piccolo strappo al cerimoniale che voleva una disposizione in ordine alfabetico francese, quelle dei principali governi europei e mondiali, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Spagna e l’Ucraina. L’unico outfit blu, invece del tradizionale nero, è stato quello del presidente americano, Donald Trump che, in prima fila, si trovava tra Filippo di Spagna ed Emmanuel Macron. Zelensky per un giorno ha dismesso maglietta e pantaloni tecnici in verde militare per vestire di nero. Poi le first ladies di ieri e di oggi e nobili col capo coperto da un velo nero, da Melania Trump a Jill Biden, da Silvia di Svezia a Letizia di Spagna. Victoria Starmer ha preferito però un cappello con veletta. Capo coperto anche per la figlia del presidente Mattarella, Laura. Giorgia Meloni, Ursula Von der Leyen e Brigitte Macron non hanno rinunciato allo stile rigoroso ma senza veletta. L’austerità della celebrazione a piazza San Pietro ha lasciato poi spazio alle rose bianche con cui i poveri e i migranti hanno accolto il feretro di Francesco a Santa Maria Maggiore, proprio come lui avrebbe voluto. Gli zuccotti rossi dei cardinali si confondevano con le giacche beige dei fedeli o le magliette dell’Argentina, ai jeans strappati e gli smanicati rossi. Ad accompagnare il feretro verso la cappella dove poi Bergoglio è stato tumulato prima i domenicani, con il loro tradizionale – ed umile – abito nero e bianco, e poi quattro bambini. Nelle loro mani due cesti di rose bianche offerte dai poveri davanti all’altare della Basilica tanto cara a Francesco. Lo stesso altare sul quale, dopo le dimissioni dal Gemelli, il Pontefice decise di far deporre a sorpresa i fiori gialli della signora Carmela. Che, anche oggi, immancabile, ha deciso di prender parte alle esequie, tra i Grandi della Terra e gli “ultimi del mondo”.

(Foto in evidenza di Imagoeconomica)

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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