Fin da piccolo era abituato a trascorrere la lunga estate trattenendosi fino al tramonto sulla spiaggia fatta di sabbia caldissima che come un mantello accoglieva il suo corpo stanco dopo ore ed ore di nuoto e di tanto divertimento con gli amici dai quali si distaccava solo durante l’inverno per poi rivederli l’anno successivo ed ancora l’altro anno.
Aspettava con il cuore pieno di gioia che la palla di fuoco iniziava la sua discesa verso la linea dell’orizzonte per poi scomparire dopo aver baciato come una carezza il mare calmo e generoso.
Era la fine di un giorno di gioia ed allegria. Era il preludio al riposo. Era l’attesa di un nuovo e splendido giorno.
E così per tutto l’inverno gli restava dentro l’odore del mare che penetrava attraverso le sue narici nella sua mente e nella sua anima, generando forti emozioni che erano la sua invisibile forza.
Poi venne il giorno della malattia, di quella subdola malattia che man mano ti ruba la memoria perché apre la cassaforte dei tuoi pensieri e dei tuoi ricordi, appropriandosene irrimediabilmente.
Lui era un lottatore e resisteva nella difesa dei ricordi, primo fra tutti quello delle giornate in cui si correva in spiaggia come cavalli possenti, in cui passeggiava con sua moglie e i suoi figli sul bagnasciuga, disegnando con il dito la linea dell’orizzonte e del futuro.
La mano tremava ed era sempre più difficile coordinare i movimenti e l’uso della parola.
Il suo sguardo spesso si perdeva nel vuoto e a lui sembrava di volare lontano verso quel mare che gli era stato complice, che gli era stato amico, che gli aveva regalato quell’odore acre e pieno di energia.
“Sto morendo” disse al suo barelliere con le lacrime agli occhi e con tutta la forza che aveva ancora dentro “lo so che sto morendo ma vi chiedo di esaudire il mio ultimo desiderio: portatemi sulla riva del mare, voglio vederlo per l’ultima volta, voglio sentire il suo odore”.
E sul suo fianco cadde sfinito, come dopo uno sforzo immane.
L’autista dell’ambulanza e gli altri uomini a bordo si guardarono negli occhi, mentre uno di loro asciugava le lacrime che ancora bagnavano il volto dell’ammalato.
Fu uno sguardo intenso e d’intesa e così scelsero di deviare il percorso che portava diritto all’ospedale.
Dopo alcuni chilometri erano lì sul lungomare lungo ed assolato ed il mare si presentava come una giovane sposa, ricco di scintillanti nastri d’argento.
Era calmo e sereno, mentre le sue piccole onde carezzavano il bagnasciuga.
Il sole era alto e caldo.
Intanto lui era sprofondato nel sonno come a riprendersi dello sforzo immane che aveva compiuto per rivolgere loro la sua ultima preghiera.
Spalancarono il portellone ed un timido raggio di sole gli baciò il volto, asciugando le sue ultime lacrime.
Si svegliò o meglio gli parve di vivere un sogno e nel silenzio di lunghissimi attimi vide passare davanti a sé mille ricordi e tantissime emozioni.
Quel respiro profondo dell’odore del mare che penetrava le sue narici fu come una medicina che fece svanire per alcuni istanti la sua malattia.
Era solo con i suoi pensieri e con il suo mare ed il suo sguardo si perdeva verso la linea dell’orizzonte.
Sorrise con tutta la forza che aveva ancora nei suoi muscoli mentre non poteva fermare le sue silenziose lacrime.
Aveva oramai più di ottanta anni e sapeva di essere quasi alla fine dei suoi giorni.
“Andiamo via” disse con voce flebile e tremante “mi avete regalato attimi di eternità, così adesso posso affrontare tutto il resto che mi aspetta”.
Come un rito, come una preghiera si misero in moto verso la destinazione ignota che è il futuro di ogni ammalato.
A lui non restava molto altro tempo e si avviava verso l’ignoto silenzio che è la fine della vita.
Aveva chiesto di vedere il mare e di sentirne il suo odore perché morire senza ricordi e senza memoria è un po’ come non essere mai nato.
Involontariamente i giovani che lo assistevano durante il suo viaggio verso l’ospedale gli avevano fatto il regalo più grande.
Adesso poteva finire i suoi giorni immergendo i suoi ricordi nelle acque cristalline e scintillanti del mare, del suo mare che divenne anche il mare di quei giovani volontari che così gli avevano restituito la felicità, rubandolo per un attimo alla malattia.
*L’autore di questo commento è Nicola Graziano , magistrato e scrittore
Napoli accoglie con entusiasmo il ritorno di Antonio Nocera, artista visionario di fama internazionale, che ha scelto di celebrare il suo rientro nella città partenopea con un vernissage intimo e suggestivo. L’evento, organizzato nel giorno del suo compleanno, ha visto la partecipazione di amici, colleghi e appassionati d’arte nei saloni del nuovo studio atelier in piazza Vanvitelli, uno dei luoghi più iconici e affascinanti di Napoli.
L’arte di Antonio Nocera: tra fiabe e riflessioni
Nocera, originario di Caivano, estrema periferia nord di Napoli, che ha mosso i suoi primi passi d’artista proprio al Vomero, è tornato alle sue radici, portando con sé un universo di opere che raccontano storie senza tempo. Pinocchio, Pulcinella, Cappuccetto Rosso, il Gatto con gli stivali, i libri d’acqua, i Vangeli sono solo alcuni dei temi che l’artista esplora con maestria attraverso pitture, sculture e installazioni. Le sue creazioni uniscono tradizione e innovazione, materiali diversi e tecniche moderne, trasmettendo sempre un potente messaggio sociale sotto la apparente leggerezza dei suoi personaggi fiabeschi.
Un evento esclusivo per celebrare il Maestro
Tra i presenti al vernissage, spiccano nomi di rilievo come l’assessore regionale alla Formazione professionale Armida Filippelli, Domenico Semplice, project manager di RFI, Diego Cardillo Ceo di Poste Tributi Società del Gruppo Poste Italiane Spa, Angela Zampella, prorettore dell’Università Federico II, Giovanni Perillo, professore di Ingegneria dell’Università Partenope, gli industriali Lino De Michele e Antonio De Michele con la moglie Marta, il manager della Kiton Spa Lucio e Virginia Nigro, i magistrati Nicola Graziano, Valentina Semplice, Alessandra Zingales, gli avvocati Pia Fierro, Angelo e Sergio Pisani, la giornalista Mediaset Anna Maria Chiariello, il professor Vito Lupo con sua moglie Margherita Caccioppoli e tanti altri.
La serata è stata arricchita dalle prelibatezze culinarie dello chef Salvatore Piccirillo della celebre pizzeria Masardona, che ha reso omaggio al talento di Nocera con piatti d’eccezione.
Un ritorno carico di significato
Il ritorno di Antonio Nocera a Napoli rappresenta molto più di un evento artistico. È un momento che unisce la bellezza dell’arte alla riflessione sulla condizione umana. La sua visione poetica e sociale, che emerge con forza dai suoi personaggi e dalle sue opere, è pronta a lasciare un’impronta indelebile nella città che lo ha visto nascere artisticamente.
Nella foto di copertina il Maestro Antonio Nocera con l’assessore regionale Armida Filippelli
In sessant’anni di carriera ha parlato di razzismo, religione, sesso, fame, pena di morte, guerra, anoressia, violenza. Le fotografie, usate come armi di denuncia, sono sempre state più forti di qualsiasi slogan. “Bacio tra prete e suora” del 1999, “Tre Cuori White/Black/Yellow” del 1996, “No-Anorexia” del 2007 con la modella Isabelle Caro, 31 chili, morta pochi anni dopo. E poi tanti scatti per il mondo della moda, come il celebre primo piano del sedere di Donna Jordan con la scritta “Chi mi ama mi segua” per la campagna di Jesus Jeans del 1973, che gli fece conquistare il primo grande scandalo ma anche la fama internazionale. Oliviero Toscani, morto a 82 anni, ha firmato campagne in grado di suscitare dibattito e critiche per crudezza o anticonformismo.
Dopo aver lavorato per riviste del calibro di Vogue, L’uomo, Harper’s Bazaar, negli anni ’80 ha firmato una collaborazione che ha segnato per sempre la sua carriera, quella con Benetton, collaborando con il brand dal 1982 al 2000 e poi dal 2018 all’inizio del 2020. Per Benetton, Toscani ha realizzato tra l’altro, nel 1992, Angelo-Diavolo, incredibile scatto che vede come protagonisti un bimbo bianco con i capelli biondi – simile a un putto – e un bimbo nero con una pettinatura che simula delle piccole corna sulla sua testa a ricordare la figura del diavolo. Il fotografo ha ammesso di aver cercato per anni i soggetti giusti per rappresentare questo forte concetto di contrapposizione, legato al tema del razzismo.
Nel 1992, il soggetto pubblicitario di un’altra campagna per Benetton è stato un omicidio di mafia. Toscani ha più volte provocatoriamente giocato con il contrasto tra bianco e nero, un rimando al tema del razzismo. Senza dimenticare i fotogrammi dello spot choc contro le stragi del sabato sera prodotti da Toscani nel 1997. E ancora i tre cuori umani con le scritte “White”, “Black” e “Yellow”: il tema era il razzismo e l’obiettivo trasmettere all’osservatore il concetto di unione e uguaglianza che contraddistingue senza distinzioni ogni popolo del mondo. Nel 1999, ha scelto una macchia di sangue come logo della campagna mondiale per Benetton a favore del supporto ai rifugiati del Kosovo.
Nel 2018 ha fatto discutere la sua scelta di utilizzare una foto di migranti appena salvati, sbarcati da una nave come immagine di una nuova campagna per la casa di moda: un’operazione squallida, bollò lo scatto Salvini, invitando a boicottare il marchio. Precedentemente aveva suscitato scandalo la serie di scatti, realizzati sempre per Benetton, con protagonisti alcuni condannati a morte negli Stati Uniti: Toscani fu accusato dallo Stato del Missouri di falso fraudolento per averli ritratti con l’inganno, senza specificare cioè il suo scopo. Per il settimanale Donna Moderna, Toscani ha ideato una campagna contro la violenza sulle donne con protagonisti un bambino e una bambina nudi accanto alla scritta “carnefice” e “vittima”.
Nel 2009, banana e pisello erano invece i protagonisti di una campagna contro il bullismo finanziata dalla Provincia di Bolzano nel contesto di una iniziativa contro ogni forma di estremismo. Dibattito e critiche anche per i cartelloni con protagonisti preservativi usati e un neonato. Allo stile anticonvenzionale delle sue fotografie si lega un aneddoto curioso: nel 1965 Toscani era stato chiamato da Vogue per realizzare un ritratto a Carmelo Bene, che arrivò in studio fradicio per un temporale e si mise di fronte alla fotocamera con la giacca tutta storta e la patta dei pantaloni quasi aperta. Un’immagine colta dal fotografo come simbolo di una bellezza alternativa, fuori dagli schemi.
Supercazzola, l’invenzione lessicale nata nel film di Mario Monicelli Amici miei del 1975 per indicare una ‘frase priva di senso pronunciata con convinzione al fine di confondere l’interlocutore’, conquista il linguaggio della politica. Potrà essere considerata dai puristi parola non adatta alle aule parlamentari, ma è diventata ormai celebre e di uso frequente anche in politica. A riconoscerle valore lessicale è ora il Vocabolario Treccani della Lingua italiana on line, con una voce del linguista Michele A. Cortelazzo, accademico ordinario della Crusca e collaboratore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, nella rubrica Le parole della neopolitica, ospitata su Treccani.it.
“Non so cosa capiranno gli storici del futuro – si chiede Cortellazzo – quando cercheranno di interpretare la replica del senatore Matteo Renzi alla risposta del nuovo ministro della cultura Alessandro Giuli nel suo primo Question time del 10 ottobre 2024, secondo il quale “il punto politico […] è che sì, sicuramente, è stata ‘prematurata con scappellamento a destra come fosse antani’ la risposta monicelliana del ministro, ma il punto chiave è che lei non ha dato una risposta di politica culturale”, citando il noto tormentone di Amici miei. Renzi stesso però è stato ripetutamente vittima della supercazzola. ll 24 febbraio 2014 l’allora Presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni commentando il suo discorso programmatico di governo aveva dichiarato che “finora, in confronto al discorso di Renzi, la supercazzola del conte Mascetti era un serio programma di governo…”.
Matteo Salvini il 30 luglio 2020, intervenendo nel dibattito sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, aveva dichiarato di preferire “”l bel tacer del MoVimento 5 Stelle alle gratuite supercazzole di Renzi e compagnia”, subendo in questo caso un rimbrotto dall’allora Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: “la terminologia ‘supercazzola’, forse, è meglio tenerla da parte. Ci sono dei sinonimi più appropriati a questa Aula”. E, da una posizione opposta, anche Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista, il 18 luglio 2022 aveva giudicato una presa di posizione di Renzi sul problema dei profughi come “un’altra ‘supercazzola con scappellamento a destra’ per dirla con il celebre film del nostro compagno Mario Monicelli”. Insomma, secondo Cortelazzo grazie ai vocabolari l’allusione al film di Monicelli sarà palese anche in futuro.