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Il padrino dell’AI lascia Google, ‘troppi pericoli’

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Geoffrey Hinton, considerato il padrino dell’intelligenza artificiale, si è dimesso dopo 10 anni da Google lanciando un nuovo allarme sui crescenti pericoli dell’AI, dalla disinformazione ai posti di lavoro sino alla scomparsa dell’umanità. Lo scienziato ha spiegato di essersi licenziato per poter parlare liberamente di questi rischi, pur non criticando il gigante tech ma anzi sottolineado che è stato “molto responsabile”. Tuttavia ha ammesso che una parte di sé ora si rammarica del suo lavoro, anche se si consola “con la solita scusa: se non avessi fatto quello che ho fatto, l’avrebbe fatto qualcun altro”.

Britannico di nascita ma con passaporto canadese, 75 anni, è un pioniere della ricerca sulle reti neurali e sul ‘deep learning’ che gli hanno fatto vincere nel 2018 il prestigioso premio Turing Award e che hanno spianato la strada ai sistemi di intelligenza artificiali. Era entrato in Google nel 2013, dopo che Big G si era comprata una società fondata da lui e due suoi studenti (uno dei due è Ilya Sutskever, che oggi lavora per OpenAI): i tre avevano sviluppato una rete neurale che imparava da sola a identificare oggetti comuni dopo aver analizzato migliaia di foto. Da allora i programmi dell’AI hanno fatto passi da gigante ed ora, mette in guardia, sono “piuttosto spaventosi”. “Adesso non sono più intelligenti di noi, per quanto ne so.

Ma penso che presto potrebbero esserlo”, ha ammonito prefigurando scenari sino a poco tempo fa solo da fantascienza. Lo psicologo cognitivo e scienziato informatico ha spiegato alla Bbc che il chatbot potrebbe presto superare il livello di informazioni di un cervello umano. “In questo momento – ha osservato – quello che stiamo vedendo è che cose come GPT-4 oscurano una persona nella quantità di conoscenza generale che ha e la oscura di gran lunga. In termini di ragionamento, non è così buono, ma fa già un semplice ragionamento. E dato il ritmo dei progressi, ci aspettiamo che le cose migliorino abbastanza velocemente. Quindi dobbiamo preoccuparcene”. Hinton ha evocato il rischio di “attori cattivi” che potrebbero tentare di usare l’AI per “cose cattive”. “Questo è solo una specie di scenario peggiore, una specie di scenario da incubo”, ha precisato facendo un esempio con il presidente russo: “Potete immaginare un cattivo attore come Putin che decida di dare ai robot la capacità di creare propri sotto-obiettivi”, come quelli di “ottenere più potere”.

Lo scienziato inoltre è arrivato alla conclusione che “il tipo di intelligenza che stiamo sviluppando è molto differente dall’intelligenza che abbiamo noi”. “Noi – ha spiegato – siamo sistemi biologici mentre questi sono sistemi digitali. E la grande differenza è che con i sistemi digitali hai molte copie uguali. E tutte queste copie possono imparare separatamente ma condividere le loro conoscenze all’istante. Quindi è come se avessi 10.000 persone e ogni volta che una persona ha imparato qualcosa, tutti lo sapessero automaticamente. Ed è così che questi chatbot possono sapere molto di più di qualsiasi persona”. Il suo allarme segue quello di oltre 1.000 dirigenti e ricercatori del settore, tra cui Elon Musk, che dopo la diffusione a marzo di ChatGpt da parte della start-up OpenAi hanno chiesto in una lettera aperta una moratoria di sei mesi nello sviluppo dell’intelligenza artificiale per i “profondi rischi alla società e all’umanita’”. Hinton ritiene però che sia difficile sospenderne lo sviluppo, data la concorrenza internazionale, e che comunque non bisogna fermarlo ma regolamentarlo perchè “nel breve termine” vede più benefici che rischi. Un compito, ha aggiunto, che spetta alla politica. La sfida è stata subito raccolta dal commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni: “Le dimissioni di Geoffrey Hinton da Google rilanciano la discussione sull’Intelligenza Artificiale. Grandi potenzialità, ad esempio per la salute. Ma anche rischi. L’Europa lavora per regole del gioco efficaci”, ha twittato.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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Sconosciuti uccidono sette giovani nel sud dell’Ecuador

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Sette giovani, che la polizia sospetta facessero parte di una banda dedita al furto di veicoli, sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco da sconosciuti a Petrillo, località del sud dell’Ecuador. Secondo una prima ricostruzione dell’accaduto, riferisce il portale di notizie Primicias, sei dei giovani, tutti fra i 15 e i 21 anni, sarebbero caduti in un’imboscata mentre stavano riportando una moto rubata al proprietario per incassare il riscatto. Il cadavere di un settimo giovane è poi stato ritrovato ore dopo poco lontano dal luogo del massacro. Gli inquirenti hanno comunicato che praticamente tutte le vittime avevano precedenti penali per furti di vario genere, ed in particolare di veicoli, formulando l’ipotesi che le persone che hanno sparato da un’auto sarebbero membri di una banda rivale o residenti del luogo stanchi delle ripetute estorsioni.

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