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Politica

Il ministro Giuli e la visione del futuro: Europa e Africa unite, il vero destino dell’Italia

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Per Alessandro Giuli, ministro della Cultura e figura centrale nel governo Meloni, l’Italia deve assumere un ruolo strategico nel panorama internazionale: quello di ponte naturale tra Europa e Africa. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Giuli espone una visione chiara: «Un futuro condiviso tra Unione europea e Unione africana è l’unica strada possibile».

Un’Europa che include l’Africa

La proposta del ministro è radicale: immaginare un blocco unico euro-africano. Una visione che richiama, afferma, l’intuizione di Bettino Craxi. Secondo Giuli, è tempo che l’Europa apra davvero le sue porte all’Africa, e l’Italia, per posizione e storia, ha il dovere di guidare questo processo.

Il budget europeo per la cultura è insufficiente

Durante l’ultimo Eurogruppo della cultura, Giuli ha criticato apertamente i finanziamenti dell’Unione, definendo il menù della riunione «da mensa dei poveri». Ma soprattutto, ha sottolineato l’assenza simbolica e politica di una sedia dedicata all’Unione africana: «Dovrebbe esserci sempre quella ventottesima sedia quando ci riuniamo».

La cultura non ha steccati ideologici

Il ministro rivendica il carattere universale della cultura, sottolineando come le relazioni con i colleghi socialisti europei siano positive e collaborative. A dimostrarlo, il legame con la ministra tedesca Claudia Roth: «Quando si parla di arte, cinema e beni culturali, l’ideologia resta fuori dalla porta».

Il dialogo con la Cina e la proposta Unesco

Un passaggio dell’intervista è dedicato anche alla cooperazione con la Cina. Giuli racconta di un incontro con l’ambasciatore cinese, durante il quale ha proposto di sostenere insieme la candidatura di un sito africano a patrimonio dell’Unesco. La cultura, afferma, è terreno di dialogo anche tra civiltà molto distanti.

Elon Musk affascina, ma con riserva

Giuli descrive Elon Musk come emblema della vecchia America: un mix di genialità e infantilismo. «Hanno conquistato il West così, oggi puntano allo spazio». E non nasconde la sua preoccupazione per una certa leggerezza diplomatica statunitense.

Ministro per scelta politica, non per caso

Giuli respinge l’idea di essere un tecnico prestato alla politica: «Sono un uomo politico, non un tecnico. Ho fatto parte della cultura della destra ben prima della nascita di Fratelli d’Italia». E con tono ironico, rivela di attendere la “tessera platinum” del partito.

Un giornalista al governo

Il suo percorso, dice, non è stato programmato. Quando Meloni lo ha contattato per offrirgli il ministero, era al Maxxi in maniche di camicia. «Mi ha scritto: “Puoi parlare?”». Da quel momento è iniziata una nuova fase della sua vita.

Cesare e i populisti: una lezione attuale

Nel suo libro in uscita, Antico presente, Giuli rilegge la figura di Giulio Cesare e la sua scelta di stare con i popolari contro gli ottimati. Una parabola storica che, dice, parla anche all’Italia di oggi, e al tema della lotta contro i privilegi.

Ironie, meme e Crozza? Tutto fa parte del gioco

Giuli non si sottrae al tema delle critiche. Sui social è stato preso di mira per il suo eloquio e alcuni passaggi accademici in audizione parlamentare. Ma reagisce con autoironia: «Mi è piaciuta persino l’imitazione di Crozza: sembravo ringiovanito». E aggiunge: «I meme? Ci stanno. Il problema è usare un minuto di discorso per fare propaganda o dileggio».

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L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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Industriali bocciano il dl bollette, irritazione Palazzo Chigi

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“Forte preoccupazione e contrarietà per l’assenza di misure concrete a sostegno del cuore produttivo del Paese”. Confindustria è dura commentando il varo del Decreto Bollette e avverte: “Si è persa un’altra occasione”, sul fronte dei costi dell’energia “è una situazione insostenibile per le imprese italiane. Occorre agire con urgenza”. Altrettanto netta è “l’irritazione” della presidenza del Consiglio per le dichiarazioni degli industriali: “Il provvedimento – rilevano fonti di Palazzo Chigi – era stato “ampiamente discusso” con tutte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, “stupisce quindi che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva da parte del Senato”. La stessa premier Giorgia Meloni, sui social, prima della nota di Confindustria, commentato l’approvazione definitiva del provvedimento mercoledì sera in Senato aveva sottolineato come “il governo mette in campo misure concrete per sostenere famiglie e imprese di fronte al caro energia. Lo facciamo attraverso un investimento di circa 3 miliardi, destinato ad alleggerire le bollette, promuovere l’efficienza energetica, tutelare i più vulnerabili e chi produce”.

“Non ci fermeremo qui”, ha sottolineato la presidente del Consiglio: “Continueremo a lavorare con serietà e determinazione per contrastare il caro energia e aiutare chi ha bisogno”. Si accende anche lo scontro politico: “Se Meloni non ha tempo di girare e ascoltare il Paese, legga bene cosa pensano le aziende di questo suo decretino bollette dopo 25 mesi di crollo della produzione e aumenti vertiginosi dell’energia”, attacca il leader M5s Giuseppe Conte: “È davvero surreale leggere che una Presidente del Consiglio esulti per un misero e tardivo decreto-bollette”, “un provvedimento che lascia soli milioni di italiani e tantissime imprese”. Quanto al confronto con le parti sociali, “Confindustria – sottolineano gli industriali – aveva avanzato proposte di modifica a costo zero, finalizzate ad avviare un primo, reale e strutturale alleggerimento del peso delle bollette energetiche per le imprese. Tuttavia tra emendamenti dichiarati inammissibili, inviti al ritiro e l’assenza di pareri da parte dei ministeri competenti, si è persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace”.

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