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Cronache

Il giudice Capuano lasciato in carcere dal Riesame si difende: ho commesso errori non reati, appena esco mi isolo dal mondo

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Il giudice Alberto Capuano, accusato di corruzione in atti giudiziari, è ancora in carcere. E nell’interrogatorio sostenuto davanti al gip di Roma,  Costantino De Robbio, si difende a spada tratta. Respinge ogni accusa. Ma ammette un solo errore, una sola  “imperdomabile” colpa. Non aver allontanato certe persone dalla sua vita privata e dunque professionale. Parliamo di quelle persone coinvolte con lui nelle indagini  per corruzione in atti giudiziari. Alberto Capuano è in cella da un mese. Un mese durissimo che l’ha prostrato psicologicamante e fisicamente. Tiene a far saper di riconoscersi nel castello accusatorio costruito. L’unico insegnamento che ricava da questa storiaccia è quello “di aver compreso che mi devo isolare dal mondo… quindi lo saprei fare se tornassi…”.

Se tornassi in libertà. Capuano è accusato di aver acquisito informazioni sulla composizione di un collegio chiamato a giudicare alcuni imprenditori di Giugliano. Gli si contesta di essersi reso disponibile a contattare colleghi del distretto di Corte di appello di Napoli. Ha commesso reati? Ha aggiustato processi? Ci sono giudici che hanno emesso sentenze condizionati da Capuano? Se non ci sono queste condizioni, vorrà dire che Capuano, come sostiene lui e come sostiene il suo legale si è  limitato a dare consigli, semplici consigli, ad alcuni soggetti che conosceva da un po’, con cui non riusciva a tagliare i ponti. Parliamo di un presunto tentativo di favorire la figlia del consigliere della municipalità di Bagnoli Antonio Di Dio nelle prove orali del concorso in magistratura. Anche questo “è  falso” spiega Capuano agli inquirenti. Solo qualche  consiglio a una ragazza conosciuta per il suo zelo di studentessa e di ricercatrice, ha sempre sostenuto Capuano.

 

Il giudice Capuano è difesa da due tra i migliori penalisti del foro di Napoli, Giuseppe Fusco e Maurizio Lojacono. L’obiettivo è quello di smantellare la erronea rappresentazione di Capuano  come persona capace di servirsi del suo ruolo per alterare processi e sentenze a Napoli. Al momento ci sono una marea di accuse e di contestazioni. Ci sono racconti di corruzione ma da nessuna parte di legge di passaggi di soldi. Si vede che difesa e accusa in questo processo ancora si annusano e non scoprono tutte le carte. Anche perché ci sono ancora accertamenti in corso da parte degli inquirenti romani. Certo è che dopo un mese agli arresti, il Riesame ha rigettato la richiesta di scarcerazione di Capuano. Ed ora alla difesa del giudice non resta altro che un probabile ricorso per Cassazione.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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