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Esteri

Il corpo di Biden nel primo anniversario di guerra

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Perché il Presidente americano è andato a Kiev? Non poteva dire quel che ha detto nello Studio Ovale e ritrasmetterlo in tutto il mondo? E perché è andato a Varsavia e non, poniamo, a Parigi o a Berlino, a Madrid o a Roma?
Ci troviamo di fronte, credo, a quella che si chiama “la politica del corpo” e che conoscono bene gli studiosi del fascismo: in Italia, per dire, lo storico Sergio Luzzatto e il regista Fabrizio Laurenti.

Proviamo a fare qualche considerazione, sottolineando in primis la g.e.o.g.r.a.f.i.c.i.t.à. di questa “politica del corpo” di solito ignorata. Andando a Kiev, il Presidente americano afferma anzitutto la sua funzione di leadership incontestata in questa guerra contro la Russia, colui che dà nome al fronte di combattimento: quel “fronte Biden”, appunto, che raggruppa sotto un’unica bandiera l’Occidente atlantico, allargato all’Indo-Pacifico, con la Corea del Sud, il Giappone e l’Australia. Ma, più sottilmente, esibisce con la sua persona la propria “natura” di capo, che si consegna alla folla -come spesso fanno i capi, dice Emilio Gentile- e la “guida”. Questa volta non in virtù di una religione o di una ideologia, ma per effetto di una dottrina geopolitica dominante alla Casa Bianca, quale che sia il Presidente, repubblicano o democratico: quella dell’egemonia americana sul mondo (America First). Un discorso complesso quello del “capo”, come si vede, rivolto sia all’esterno che all’interno.

Continuando, annotiamo che Biden si muove da uno spazio sicuro a uno rischioso: e ciò, per condividere il pericolo con l’alleato ucraino (e persino con il popolo, in realtà poco considerato nel discorso internazionale americano). Condividere: di là da ogni proclama, con la propria carne offerta al ferro e al fuoco del comune nemico. Il corpo diventa il sigillo di un’esperienza unitaria e, per estensione, di un destino comune, un emblema di verità, una dimostrazione di fede nell’unica fine possibile di questa guerra: la vittoria.

Naturalmente, il deserto californiano del Mojave è un deserto, ma non è il Sahara! Mi colpì, allora, il dato impensabile in Africa, che ci si potesse muovere così in sicurezza in un deserto. Mi colpì il pensiero che quel deserto esistesse perché io ci potessi camminare dentro, a piedi o in macchina. Mi colpì l’accurata scenografia dei miei percorsi, ai quali non potevo sottrarmi, dovendo seguire strade e piste ben definite. Del resto, in quei percorsi tutto mi appariva impressivo: non bello né brutto in un senso –diciamo- estetico, ma “fatto” apposta perché io potessi averne un ricordo così e così: non per un giorno, ma per sempre. Un deserto di cartapesta, pensai allora. Oggi si avrebbe tendenza a dire: un deserto “iconico”.

Perché questa digressione? Cosa intendo, rispetto al discorso principale? Voglio dire esattamente questo: che Biden ha informato per tempo i russi della sua propria “gita a Kiev”, dicendo: niente confetti esplosivi per un istante, ok? Insomma ha ottenuto un cessate il fuoco per uso personale. A suo esclusivo beneficio, ha depotenziato la pericolosità del deserto trasformando il Sahara in Mojave. Ha creato l’evento mediale, ben più importante della realtà della guerra. Ha manipolato l’emotività di mezzo mondo, ha rafforzato il gruppo di comando stretto intorno a Zelensky. Siamo pronti dunque per un altro giro. Quale che sia il messaggio che la Cina si appresta a dare con il suo “piano di pace in 12 punti”. Il dato incontrovertibile è lo stigma del comando incardinato in una visione. E’ il corpo, come racconto diciò che finora è stato e come profezia di ciò che sarà.

Come dite? Varsavia? La Polonia è l’alleato più stretto degli USA in Europa, in questa fase, e quello di cui gli USA in nessun caso possono fare a meno. E’ un protagonista, determinato e determinante, addirittura più realista dei re che risiedono a Bruxelles, sottoposi ai tentennamenti e ai distinguo di Berlino o Parigi o ancora, per la NATO, di Ankara. La democrazia polacca? I diritti? Niente di tutto questo interessa Washington, che delinea le nuove gerarchie in Europa, sposta sul Baltico l’asse dei propri interessi e solletica abilmente Varsavia nel sogno del proprio “spazio destinale” di potenza egemone nell’Europa dell’Est, dove ha qualche conto aperto, mai dimenticato. La Polonia è la nuova testa di ponte americana in Europa, avendo saputo oltretutto non solo accogliere, ma integrare almeno 1,5 milioni di profughi ucraini. Pur non essendo l’opulenta Germania né la spocchiosa Francia.
Biden se ne torna a casa ora. Con nuove carte da giocare nella sua perigliosa “campagna d’autunno” per la rielezione dell’anno prossimo.

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Trump: la Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo sa

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Donald Trump torna a parlare della guerra in Ucraina e lo fa con dichiarazioni destinate a far discutere. In un’intervista rilasciata a Time, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che “la Crimea resterà con la Russia”, aggiungendo che anche il presidente ucraino Zelensky ne sarebbe consapevole.

“La Crimea è andata ai russi, fu colpa di Obama”

«La Crimea è stata consegnata alla Russia da Barack Hussein Obama, non da me», ha ribadito Trump, sottolineando come la penisola fosse “con i russi” ben prima del suo arrivo alla Casa Bianca. «Lì ci sono sempre stati i russi, ci sono stati i loro sottomarini per molti anni, la popolazione parla in gran parte russo», ha aggiunto. Secondo l’ex presidente, se lui fosse stato alla guida del Paese, “la Crimea non sarebbe mai stata presa”.

“Questa guerra non doveva accadere”

Trump ha definito il conflitto in Ucraina “la guerra che non sarebbe mai dovuta accadere”, lanciando un messaggio implicito al presidente Joe Biden e alla gestione democratica della politica estera. A suo avviso, con lui alla presidenza, la situazione in Ucraina si sarebbe sviluppata in modo del tutto diverso, senza l’invasione da parte delle truppe russe.

Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto internazionale già molto teso, mentre si continua a discutere del futuro della Crimea e dei territori occupati.

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Mosca: generale ucciso in attacco terroristico

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La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha condannato come “un attacco terroristico” l’attentato in cui è morto oggi vicino a Mosca il generale Yaroslav Moskalik, ucciso dall’esplosione di un ordigno posto sulla sua auto. “La questione principale – ha detto Zakharova, citata dall’agenzia Tass – è come fermare la guerra nel cuore dell’Europa e del mondo. Vediamo così tante vittime ogni giorno. Anche oggi, un militare russo è stato ucciso in un attacco terroristico a Mosca”. (

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‘Usa offriranno pacchetto di armi da 100 miliardi a Riad’

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Gli Stati Uniti sono pronti a offrire all’Arabia Saudita un pacchetto di armi del valore di ben oltre 100 miliardi di dollari: lo riferisce la Reuters sul proprio sito citando sei fonti a conoscenza diretta della questione e aggiungendo che la proposta dovrebbe essere annunciata durante la visita di Donald Trump nel regno a maggio. Il pacchetto offerto arriva dopo che l’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden ha tentato senza successo di finalizzare un patto di difesa con Riad nell’ambito di un accordo più ampio che prevedeva la normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.

La proposta di Biden offriva l’accesso ad armamenti statunitensi più avanzati in cambio del blocco degli acquisti di armi cinesi e della limitazione degli investimenti di Pechino nel Paese. La Reuters non è riuscita a stabilire se la proposta dell’amministrazione Trump includa requisiti simili.

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