Il Brics, il club cui appartengono Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica, ha deciso di aprire le proprie porte dal primo gennaio prossimo ad altri sei Paesi tra cui l’Iran e l’Arabia Saudita nel tentativo di guidare il Sud Globale verso un bilanciamento di quella che considerano l’egemonia planetaria di Stati Uniti e dell’Occidente a livello politico ed economico. Viste le divisioni della vigilia su questo tema, si tratta di una vittoria di Pechino e Mosca che comunque hanno dovuto accantonare il sogno di una moneta unica del gruppo.
Nel vertice svoltosi per tre giorni a Johannesburg, oltre a Iran ed Arabia Saudita, il Brics ha deciso di far aderire anche Egitto, Etiopia, Argentina ed Emirati Arabi Uniti, facendo così impennare di dieci punti – dal 26 al 36% – la quota di Pil mondiale che rappresenterà, come ha sottolineato il presidente brasiliano Lula da Silva. La popolazione di cui il club può dichiararsi rappresentante, già ora superiore ai tre miliardi di persone, passa dal 40 al 46% del totale planetario. “Questa espansione del numero dei membri è storica”, ha dichiarato il presidente cinese Xi Jinping, riferendosi a questo primo allargamento del Brics dal 2010, quando il Sudafrica aderì al nucleo iniziale che già aveva tenuto un summit l’anno prima e una riunione a livello di ministri degli Esteri nel 2006.
“L’espansione è anche un nuovo punto di partenza per la cooperazione dei Brics. Porterà nuovo vigore al meccanismo di cooperazione” del gruppo “e rafforzerà ulteriormente la forza per la pace e lo sviluppo nel mondo”, ha sostenuto Xi prevedendo “un avvenire radioso” per il club. Ad aver fatto domanda formale per aderire ai Brics – acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – erano stati almeno 22 Paesi e altrettanti quelli che hanno manifestato interesse a farvi parte. Un gruppo che Pechino e Mosca sta cercando di profilare come contrappeso a fora e istituzioni a trazione americana quali G7 e Banca mondiale. Teheran infatti ha esultato affermando che la propria “piena adesione al gruppo delle economie emergenti del mondo è uno sviluppo di portata storica e una conquista strategica per la politica estera della Repubblica islamica”. “L’inclusione a sorpresa di Teheran – che ha relazioni antagoniste con il principale rivale della Cina, gli Stati Uniti – suggerisce che le pressioni cinesi e russe sono riuscite a superare le remore di membri come India, Brasile e Sudafrica, che mantengono legami amichevoli con l’Occidente”, nota il New York Times.
Washington, ancora fino a martedì, si era mostrata poco preoccupata per l’espansione di un gruppo eterogeneo e con fratture al suo interno come quelle territoriali di Cina e India, geopolitiche di Iran e Arabia Saudita e quasi belliche (per l’acqua del Nilo) di Egitto ed Etiopia. Eterogeneità e divergenze sono emerse chiare sul dossier della valuta unica: ‘la dichiarazione di Johannesburg 2’, detta così per distinguerla da quella del 2018, si limita a incaricare ministri delle Finanze e/o i governatori delle Banche centrali di “considerare la questione delle valute locali, degli strumenti e delle piattaforme di pagamento” e di riferire “entro il prossimo vertice”. L’annuncio dell’allargamento sarebbe stato ritardato fino all’ultimo da resistenze soprattutto dell’India sui criteri di adesione che ormai avrà anche “altre fasi”, come ha previsto il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa annunciando per il prossimo vertice, l’anno prossimo in Russia (in ottobre a Kazan), “un elenco” di altri “potenziali Paesi partner”.