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Collari d’oro 2018 del Coni tinti di rosa con Fontana, Navarria, Volpi, Cuavarella, D’Alie e tante altre donne

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Passerella di campioni olimpici, paralimpici e mondiali alla Sala delle Armi al Foro italico per la cerimonia di consegna dei “collari d’oro” 2018, la massima onorificenza sportiva. Brillano le ‘quote rosa’ rappresentate dalla ‘regina’ dello short track Arianna Fontana, dominatrice ai Giochi olimpici invernali di PyeongChang, dalle schermitrici, campionesse mondiali Mara Navarria e Alice Volpi, ma anche dalle azzurre del basket 3×3 Giulia Cuavarella, Raelin Marie D’Alie e Giulia, campionesse iridate, dalla velista Caterina Marianna Banti, dalla campionessa mondiale di motocross Kiara Fontanesi, da Francesca Lollobrigida, 14 titoli mondiali nel pattinaggio corsa fino ad Alessia Zecchini, campionessa mondiale di immersione in apnea. A fare gli onori di casa il presidente del Coni Giovanni Malago’ che ha sottolineato i successi raggiunti dallo sport italiano nell’ultimo anno culminato con i giochi olimpici invernali di PyeongChang capaci di proiettare l’immagine migliore dell’Italia nel mondo.

“Oggi piu’ che mai e’ importante ricordare cosa e’ stato e cosa ha fatto il Coni. Anche nel 2018 non avete tradito: mai in un anno olimpico invernale si sono ottenuti risultati cosi importanti, con piazzamenti di successo sul podio e ai piedi del podio. La mia speranza e’ che il Coni rimanga il Comitato Olimpico piu’ importante del mondo”. Orgoglio anche nelle parole di Luca Pancalli in merito alle vittorie collezionate dagli atleti paralimpici nel corso dell’anno.

“Oggi si rinnova una celebrazione della quale vado particolarmente fiero insieme a tutto il mondo che rappresento. E’ un atto di riconoscimento per gli straordinari atleti olimpici e paralimpici, i nostri atleti ricevono questo collare a nome anche dei tanti che coltivano una speranza e che sono in un letto di ospedale. Con fatica ci siamo conquistati un pezzo di dignita’”. Alla cerimonia hanno partecipato tra gli altri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega allo Sport, Giancarlo Giorgetti, il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, il Sottosegretario ai Rapporti col Parlamento, Simone Valente, il presidente di Rcs Mediagroup, Urbano Cairo. Sul palco gli olimpionici Diana Bianchedi e Antonio Rossi, anche in qualita’ rappresentanti della candidatura di Milano Cortina 2026, e Oscar De Pellegrin, campione paralimpico nel Tiro con L’Arco. Tra gli atleti premiati, il golfista Francesco Molinari reduce dal successo all’Open Championship, i campioni del mondo prima del 1995, data di istituzione dei collari d’oro: Pietro Mennea (Atletica Leggera, alla memoria), la nazionale di pallanuoto iridata del 1978 e del 1994, quelle di pallavolo del 1990 e del 1994, Nicola Pietrangeli (Tennis, Roland Garros e Coppa Davis), Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta e Antonio Zugarelli (Tennis, Coppa Davis 1976), e Renato Molinari (Motonautica, 18 titoli Mondiali). Tra le societa’ sportive, premiata anche l’Atalanta calcio e il suo presidente Antonio Percassi. Tanti anche i riconoscimenti ai tecnici e ai campioni paralimpici del 2018. Insigniti dei Collari d’oro ma assenti alla cerimonia del Foro italico per motivi legati a indifferibili impegni personali e/o agonistici: Michela Moioli (Sport Invernali, Snowboard Cross), Sofia Goggia (Sport Invernali, Sci Alpino – Discesa Libera), Marcella Filippi (Pallacanestro, 3×3), Andrea Cassara’ (Scherma), Andrea Anastasi, Lorenzo Bernardi, Luca Cantagalli (Pallavolo).

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Luciano Spalletti: «Con De Laurentiis troppe battaglie. Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto a Napoli»

Nel libro “Il Paradiso esiste… ma quanta fatica”, Spalletti racconta il rapporto con De Laurentiis: «Troppe frizioni, ma lo ringrazierò sempre». Anticipazione esclusiva al Corriere della Sera.

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Nel giorno dell’uscita del suo libro autobiografico Il Paradiso esiste… ma quanta fatica (Rizzoli), Luciano Spalletti regala al Corriere della Sera un’anticipazione destinata a far discutere. Al centro, uno dei passaggi più delicati e appassionati della sua carriera: il rapporto con Aurelio De Laurentiis e l’anno dello scudetto vinto con il Napoli.

«Due partite: una in campo, una con il presidente»

Spalletti racconta senza filtri i continui attriti avuti con De Laurentiis: «Sono andato via perché non avevo più voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, ma con un ego molto, forse troppo grande». Il tecnico toscano descrive una convivenza fatta di battaglie quotidiane, «dare una maglia a un figlio, cambiare albergo senza un motivo chiaro», che lo hanno logorato.

Il “Sultano” e il silenzio dello scudetto

L’autore definisce De Laurentiis «estroso» e «imprevedibile», ma riconosce anche un momento di grande intelligenza da parte del presidente: «Quando ha smesso di parlare pubblicamente durante la stagione dello scudetto ha dato un segnale importante». Un sacrificio notevole per «un uomo di spettacolo che ama la scena».

Ma al momento della vittoria, il gelo. Spalletti svela: «Non telefonò a nessuno, né a me, né ai calciatori, né al team manager. Arrivò una telefonata solo il giorno dopo, per organizzare l’atterraggio a Grazzanise».

Una lettera e l’addio

La rottura definitiva avvenne con una lettera scritta a mano da De Laurentiis che, pur ringraziandolo per il trionfo, imponeva il prolungamento automatico del contratto. Spalletti rispose con un’altra lettera, altrettanto formale: «Sarebbe stato utile parlarsi, per il bene del Napoli. Farlo, forse, avrebbe cambiato il corso delle cose».

«Se ci fosse stato più rispetto, sarei rimasto»

Alla domanda che in tanti gli pongono — se sarebbe rimasto a Napoli con un altro tipo di rapporto — Spalletti oggi risponde: «Sì. Se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa servisse per rivincere, alla fine sarei rimasto».

Eppure, chiude con una nota di gratitudine: «Lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli».


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L’ex ministro Bondi si racconta: «Ho scelto di farmi dimenticare, ma la politica non mi appartiene più»

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A distanza di anni dal suo addio alla scena pubblica, Sandro Bondi (foto Imagoeconomica in evidenza) torna a parlare. Lo fa con tono sommesso, riflessivo, in un’intervista al Corriere della Sera in cui ripercorre alcuni snodi della sua carriera politica, il rapporto con Silvio Berlusconi, l’attuale scenario politico e il senso della sua nuova vita a Novi Ligure, dove oggi ricopre — gratuitamente — il ruolo di direttore artistico del teatro Marenco.

«A Novi Ligure per amore e per restituire qualcosa»

«Ho accettato questo incarico per dare un contributo alla comunità in cui vivo. È un teatro bellissimo, restaurato anche grazie al Ministero dei Beni culturali», dice Bondi, senza mai ricordare che proprio lui fu, in passato, ministro della Cultura. Vive da quindici anni con Manuela Repetti, ex parlamentare come lui: «Ci siamo reinventati la vita. Di lei amo la sensibilità e la compassione per ogni essere vivente».

Lontano dalla politica, ma con uno sguardo vigile

«La politica non mi appartiene più», afferma con decisione. Nel 2018 si è ritirato a vita privata, convinto di aver partecipato a un progetto politico — Forza Italia — «di cui non è rimasto quasi nulla». Il giudizio su Matteo Renzi, con cui simpatizzò dopo l’addio al partito azzurro, è netto: «Una delusione politica e umana». E se di Elly Schlein apprezza l’onestà, ne critica l’indeterminatezza politica.

Il ricordo di Berlusconi e l’ammirazione per Meloni

Del suo lungo sodalizio con Silvio Berlusconi — iniziato grazie allo scultore Pietro Cascella — conserva «ricordi belli e meno belli». «Era un uomo complesso, indecifrabile. Avevamo un rapporto profondo». Lo affiancava ogni giorno ad Arcore, ma senza mai viaggiare con lui: «Avevo il terrore dell’aereo». Poi, con l’aiuto di Manuela, ha superato anche quella paura.

Di Giorgia Meloni dice: «Sta lavorando molto bene. L’Italia con lei è in buone mani». Apprezza anche Antonio Tajani e Raffaele Fitto: «Entrambi portano con sé un bagaglio europeo che li rende credibili. E Gianni Letta è una figura che continuo ad ammirare».

Il disincanto per il ministero e l’arte della rinascita

Della sua esperienza ministeriale non conserva nostalgia: «Non è un ricordo piacevole. Ogni cosa veniva strumentalizzata. Come il linciaggio per il crollo di un piccolo muro a Pompei». A Sgarbi, con cui condivise l’ambiente culturale, ha inviato un messaggio attraverso la sorella: «Spero possa rinascere».

«La mia fede è fragile. Come la memoria della Chiesa»

Bondi si descrive come un uomo semplice, tormentato dal pensiero della morte e dalla paura di non rivedere più chi ama. «La mia fede non è profonda. Anzi, ogni giorno che passa è sempre più fragile», confessa. E sul suo futuro dice con umiltà: «Mi piacerebbe essere ricordato come un uomo normale, con le sue paure, bisognoso di dare e ricevere amore».

 

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Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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