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Cronache

“Giustizia chiede Giustizia”, gli avvocati “circondano” il Tribunale di Torre Annunziata per chiedere di far funzionare gli uffici giudiziari

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Udienze rinviate di un anno, accesso negato agli avvocati, una ripresa lenta, farraginosa. E’ un quadro desolante quello che emerge dalle aule dei tribunali in queste prime settimane di ripresa delle attività. La pandemia da Covid-19 ha portato all’estremo i problemi atavici che affliggono la giustizia italiana: processi lentissimi, carenza del personale, scarsa organizzazione.

Anna Brancaccio. Avvocato e presidente dell’associazione forense InOltre

Per questo motivo l’associazione forense InOltre, presieduta dall’avvocato Anna Brancaccio, ha tenuto stamattina dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata un flash mob dal titolo “la Giustizia chiede Giustizia”. Lo scopo è quello di sensibilizzare le coscienze degli operatori del settore giustizia e provare ad uscire insieme dall’attuale stato di paralisi, così da poter garantire ai cittadini la sacrosanta tutela dei propri diritti.

Avvocato, com’è andata la manifestazione?

Molto bene, c’erano molti avvocati, tutti motivati. Si sono unite anche associazioni forensi provenienti dalla penisola sorrentina e insieme abbiamo deciso di rifarla ogni due settimane, per provare a risvegliare le coscienze. Noi abbiamo un compito che abbiamo giurato di adempiere con libertà e dignità, siamo quelli che tutelano i diritti della società civile. Il titolo del flash mob era “Giustizia chiede Giustizia”. La Giustizia non funziona, ma è un problema antico: il Covid ha solo messo in evidenza delle carenze del sistema preesistenti alla pandemia. Parlo di processi infiniti, udienze molto lunghe, carenze di organico, giudici di pace non attrezzati da un punto di vista telematico. Sono questioni che non si possono più ignorare. Restare in silenzio significa fallire in partenza; lo spirito dell’associazione è quello di provare a fare qualcosa, unire le forze, perché siamo tutti sulla stessa barca. Dobbiamo intendere la ripartenza della giustizia non solo come ripresa dopo la pandemia, ma come momento per edificare una nuova organizzazione della giustizia.

Si aspettava tanta partecipazione?

Sì, ad essere sincera sì. La classe forense in genere, e quella di questo distretto giudiziario in particolare modo, parla di Torre Annunziata, ha un tasso di partecipazione alla vita pubblica della comunità in cui opera eccezionale. Noi di InOltre come associazione abbiamo solo gettato un sassolino nello stagno, sono i colleghi avvocati ad essere come sempre straordinari, generosi. Hanno una tensione morale superiore alla norma. Questa mattina non c’era una manifestazione della corporazione, eravamo avvocati e cittadini che vogliono che la Giustizia funzioni.

Com’è cambiato il lavoro dopo il Covid-19?

Durante la pandemia potevano essere trattate solo alcune udienze, quelle che non richiedevano la presenza delle parti. Le udienze di escussione di una prova testimoniale, ad esempio, non si potevano fare. Ad oggi le udienze dinanzi al giudice di pace sono al massimo 12, mentre prima del Covid un solo giudice ne trattava 50-60. Abbiamo già presentato un’istanza al presidente del tribunale, per aumentare il numero di udienze, inserendo anche quelle con la prova testimoniale; se non fai la prova, la causa rimane bloccata. Questa problematica l’abbiamo riscontrata presso il nostro Foro, ma è la stessa in tutti i Tribunali d’Italia. La riduzione del numero di udienze da trattare è stata esorbitante; potevamo accettarla durante il lockdown, ma adesso non ha alcun senso, hanno riaperto tutti. Così si blocca tutto. Pensi, avevo un’udienza ad inizio giugno che è stata rinviata a marzo 2021. Ai magistrati non chiediamo di lavorare di più, ma di fare di rinvii più brevi.

Perché la Giustizia stenta a ripartire? Come se ne esce?

La Giustizia fa fatica a rimettersi in marcia per mancanza di organizzazione e carenza di organico, problematiche che ci portiamo dietro da anni; non siano ben organizzati neanche dal punto di vista telematico. Deve esserci un’organizzazione oculata; si devono creare dei tavoli per capire come gestire e mettere insieme le esigenze degli avvocati e dei magistrati. Dobbiamo fare tutti uno sforzo in più; per risolvere il problema ci vuole collaborazione fra tutte le parti che garantiscono il servizio Giustizia.

Quali sono le problematiche principali per i suoi assistiti?

Anzitutto i rinvii troppo lunghi; cause che erano sul punto di essere definite sono state rinviate di un anno. Molti clienti sono arrabbiati, mi chiedono come sia possibile che una causa duri così tanto tempo. Mi ha chiamato un cliente che deve separarsi dalla moglie. La causa di comparizione delle parti era prevista per gli inizi di giugno, ma è stata rinviata a metà ottobre. È esasperato perché non può abbandonare il tetto coniugale fino a quando non c’è l’udienza che stabilisce che i coniugi possono vivere separati. Ho cercato di spiegargli che noi come avvocati non possiamo fare niente; se presentiamo un’istanza di anticipazione non viene accolta. Alcuni clienti si arrabbiano, altri sono più comprensivi. Ci troviamo in una situazione paradossale, al centro, dobbiamo mantenere l’equilibrio, da un lato con il cliente e dall’altro con i cancellieri e i magistrati. Ovviamente c’è tutta la questione delle sentenze che possono essere eseguite. Per intenderci se lei  stato giudicato innocente o colpevole è difficile che lo saprà perchè è pure questo settore bloccato.

Come giudica il ricorso al processo da remoto?

Il processo da remoto è un processo telematico che può servire a ridurre i tempi della giustizia solo per quelle udienze in cui non è necessaria la presenza fisica degli avvocati e delle parti. Ma quando è necessario ascoltare le parti processuali, non si può rinunciare alla possibilità di discutere una causa a tu per tu col giudice, un momento in cui puoi trasmettere con la gestualità o con uno sguardo l’umanità dei tuoi assistiti, le loro richieste. Sterilizzare il processo significa privare l’avvocato di una parte fondamentale del suo lavoro. L’avvocato, così come il magistrato, non è solo un codice, deve essere cervello e cuore, come diceva Calamandrei. Se riduciamo tutto al cervello, perdiamo la parte più importante del nostro lavoro.

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Il mondo a San Pietro, 400mila per l’addio a Francesco

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I sediari arrivano a Santa Maria Maggiore e inclinano la bara di Francesco, quasi come un saluto, davanti alla Salus Populi Romani. Ogni volta, prima di partire per un viaggio, il Papa si affidava alla Madonna cara ai romani e così anche il viaggio di oggi in qualche modo finisce con questo affidamento. E’ l’ultima immagine di una giornata commovente che ha visto 400mila persone, 200mila a Piazza San Pietro e dintorni e 150mila lungo il percorso fino a Santa Maria Maggiore, dare l’ultimo saluto al Papa. Ci sono i grandi della terra e gli ultimi, ci sono gli anziani e gli scanzonati ragazzi del Giubileo. C’è suor Ana Rosa Sivori, la cugina arrivata dalla Thailandia, e gli amici di Buenos Aires; e ancora re e regine del mondo.

SERGIO MATTARELLA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Attorno a quella semplice bara di legno, con una croce bianca e lo stemma episcopale, ci sono proprio “todos, todos, todos”, “tutti, tutti, tutti”, come ripeteva Francesco sognando fino all’ultimo giorno una Chiesa con le braccia sempre aperte. Tanta gente poi lo piange perché sa di avere perso una voce instancabile per la pace. Per questo i fedeli applaudono a lungo quando il cardinale Giovanni Battista Re lo ricorda nell’omelia: “Papa Francesco ha incessantemente elevata la sua voce implorando la pace” perché la guerra, proprio come ripeteva Bergoglio, “è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta”. E ai funerali del Papa della pace il mondo assiste ad un faccia a faccia, in basilica, una specie di ultimo miracolo del Papa, tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky; “un incontro produttivo”, fanno sapere i protagonisti.

JAVIER MILEI PRESIDENTE ARGENTINA, GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Dopo l’argentino Javier Milei, il posto d’onore è per la delegazione italiana, guidata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accompagnato dalla figlia Laura, e dalla premier Giorgia Meloni. Ma, tra gli italiani, ci sono anche Mario Draghi, alcuni leader dell’opposizione, i sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil a rendere l’ultimo omaggio al Papa argentino. Il funerale dura un paio d’ore: il rito era stato snellito dallo stesso Francesco in previsione dell’arrivo di questo giorno. Ma è stata in ogni caso una celebrazione solenne e commovente, con la processione della bara portata dai sediari, le litanie dei santi, il canto in greco delle Chiese orientali, letture e preghiere lette in tante lingue.

FUNERALE PAPA FRANCESCO

A rompere il ritmo millenario della liturgia sono solo gli applausi, lunghi e sentiti. Un modo semplice di salutare quel Papa che ha aperto i cuori anche di molti non credenti. Alla fine del funerale il feretro di Francesco viene portato in basilica e poi fuori dalla Porta della Preghiera, quella che ha utilizzato fino a domenica per entrare e uscire dalla basilica, la più vicina a Casa Santa Marta dove ha abitato per dodici anni. La bara è sistemata sulla papamobile perché Francesco oggi si è congedato definitivamente dal Vaticano per essere sepolto fuori, come non accadeva da oltre un secolo (l’ultimo era stato Leone XIII) e comunque poche volte nella storia. Il suo feretro è stato trasportato proprio con una di quelle auto dalla quale ha salutato le folle, bevuto mate, baciato bambini, a Roma ma anche in tante città del mondo visitate nei suoi 47 viaggi apostolici.

Ad attenderlo sulla porta di Santa Maria Maggiore c’è un gruppo di suoi amici, una quarantina di persone, tra senzacasa, migranti, disoccupati, che lo aveva incontrato più volte, aveva ricevuto un aiuto materiale ed una parola di speranza. Ora hanno tutti una rosa bianca in mano per l’ultimo saluto. Da domani Santa Maria Maggiore aprirà a tutti i fedeli per coloro che vorranno dire una preghiera sulla tomba di Francesco. Da lunedì invece riprendono le riunioni pre-conclave per disegnare il futuro della Chiesa e cominciare ad individuare il suo possibile successore.

(tutte le foto sono di Imagoeconomica)

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Papa Francesco, passo d’addio nel centro di Roma tra fedeli e turisti

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Ha fatto l’ultimo viaggio alla sua maniera. In una bara di legno povera, senza decorazioni, su di una papamobile ricavata da un pickup di seconda mano. E sulla strada da San Pietro a Santa Maria Maggiore, Papa Francesco ha ritrovato le due facce del mondo che lo circondava: i fedeli che lo vedevano come una guida, e la massa coi telefonini che lo vedeva come una rockstar da postare su Instagram. Il corteo funebre è partito dal Vaticano intorno a mezzogiorno e mezzo. La bara del Papa è stata posta sulla papamobile bianca. Un veicolo realizzato per il viaggio in Messico del 2016, partendo da un pickup Dodge usato, poi regalata al pontefice dal governo messicano.

FUNERALE PAPA FRANCESCO

Il corteo è uscito dalla porta del Perugino, un ingresso secondario delle mura del Vaticano, ha attraversato il Tevere e ha imboccato corso Vittorio Emanuele. Dietro la papamobile, una trentina di auto di cardinali. Pubblico e fedeli non hanno potuto seguire il corteo, ma sono rimasti sui marciapiedi, dietro le transenne. Lungo tutto il percorso erano 150mila, ha reso noto la sala stampa vaticana. Il corteo è andato avanti abbastanza velocemente, per piazza Venezia, Fori Imperiali, Colosseo, via Labicana e via Merulana, fino a Santa Maria Maggiore. Da San Pietro, non ha impiegato più di mezz’ora, quasi Bergoglio non volesse disturbare troppo la città. La giornata era calda, il sole splendeva. Al passaggio della papamobile, la gente applaudiva, gridava “viva Francesco”, “daje Francesco”.

Tantissimi riprendevano con i telefonini e postavano sui social, qualcuno piangeva. Molti pregavano. Chiacchierando con la gente per strada, saltava fuori che tanti erano lì per rendere omaggio a una papa che amavano, e del quale condividevano il messaggio. Tanti altri erano lì soltanto perché Francesco era famoso: il suo funerale lo vedevano come un evento storico da non perdere. Tiziana, una signora anziana romana, spiegava che “lui ha rappresentato il contatto vero della Chiesa con le persone, non importa se erano credenti o no. Ora dobbiamo portare avanti il suo messaggio di fratellanza e di accoglienza”. Per Sienna, australiana, “vale la pena di essere qui, in questo giorno storico”.

Mentre Janet, danese, spiegava di essere qui col marito “per vivere un momento storico”. Ma aggiungeva “apprezzavamo il suo messaggio, il mondo è troppo per i ricchi”. Per Ida, calabrese trapiantata a Roma, “Papa Francesco è sceso dal piedistallo per stare tra le persone. Ora molto dipende da chi erediterà il suo posto. Io spero che il prossimo faccia come lui, perché se vogliamo la pace, dobbiamo preoccuparci per chi sta peggio di noi”.

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L’addio a Papa Francesco seguito da tutto il mondo, dalle tv ai social

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Francesco lo avrebbe voluto cosi: quello di Bergoglio è da considerarsi ad oggi il funerale di un pontefice con il più vasto accesso a livello mondiale. Non per le 250mila persone stimate in piazza San Pietro, ma per l’incalcolabile moltitudine di schermi accesi sulle esequie: quelli tv ma anche cellulari, tablet, pc e laptop. Con i social che da soli hanno sfiorato i 7 milioni di interazioni nelle ultime 12 ore. I network internazionali più noti – per la gran parte americani ma non solo, come Bbc, Sky e Al Jazeera – hanno tutti offerto sui propri siti web le dirette video della cerimonia in Vaticano e gli aggiornamenti fin dai primi arrivi sul sagrato della Basilica. E poi i quotidiani in ogni lingua, le radio, i canali youtube, a partire da quello della Santa Sede che ha trasmesso la cerimonia per intero.

La rivoluzione tecnologica, che ha viaggiato veloce negli ultimi 20 anni – ovvero dal funerale di Giovanni Paolo II – ha portato così tutto il mondo lungo via della Conciliazione, tra le colonne di piazza San Pietro e al seguito dell’ultimo viaggio del pontefice che ha attraversato Roma fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore: dalle Filippine (il più popoloso paese cattolico al mondo), all’Africa, passando per l”Asia, gli Stati Uniti o l’America Latina che a papa Francesco aveva dato i natali. L’attesa era tale che fin dai giorni precedenti diverse testate, nelle loro edizioni online, offrivano indicazioni in dettaglio su come sintonizzarsi: le pagine web, gli orari, i canali social dedicati.

Quest’ultima la maggiore novità da quando, nel 2005, il mondo salutò un papa in carica con la morte di Karol Wojtyła . E’ infatti, per esempio, rimbalzata prima sui social l’immagine – subito considerata storica – del faccia a faccia fra il presidente Usa Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky nelle navate della Basilica prima delle esequie. E dalle prime analisi risulta essere al top dell’interesse globale, sfiorando alle 15 (ora italiana) quasi 3 milioni di interazioni, esattamente 2 milioni 915 mila e 481 così divise: su X 547.789, su Instagram 1.689.547 e su Facebook 678.145, secondo l’analisi della società Arcadia sulle conversazioni social e sul web. Tra le 25 emoji più utilizzate online per commentare i funerali ci sono le mani congiunte in preghiera e le bandiere dello Stato Pontificio, dell’Argentina e degli Stati Uniti. E, ovviamente, quasi la metà (47%) sono gli utenti dai 25 ai 34 anni ad aver partecipato maggiormente alle conversazioni digitali.

(la foto in evidenza è di Imagoeconomica)

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