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Francesca Della Valle, la compagna di Buzzanca: il mio Lando è ristretto in una casa per anziani contro la sua volontà

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Ci scrive Francesca Della Valle, nome d’arte di Francesca Lavacca. Francesca è (lo sostiene in questa lettera) la compagna dell’attore siciliano Lando Buzzanca. Lui 87 enne, lei 51 anni, origini pugliesi. I due avrebbero dovuto sposarsi, poi per una serie di vicissitudini giudiziarie il matrimonio è stato bloccato. La vicenda di Francesca e di Lando Buzzanca è davvero molto controversa. Noi non siamo depositari della verità, seguiamo con rispetto e proviamo a raccontare quello che dicono le parti. Quello che sembra pacifico è che l’attore siciliano era legato alla giornalista di Canosa di Puglia dal 2016. Come è pacifico e pubblico il fatto che da qualche tempo Buzzanca non sta benissimo. Massimiliano Buzzanca, figlio di Lando, nel parlare delle condizioni di salute del padre, pubblicamente ha rivelato una patologia: demenza senile. Al Corriere della Sera, Massimiliano Buzzanca, ha raccontato che, secondo gli ultimi esami effettuati “se l’anno scorso aveva un deficit di 7 su 10, oggi siamo a 9.”  Il protagonista di ‘Divorzio all’italiana’ infatti, almeno secondo quanto raccontato dal figlio, non è più quello di un tempo: “Tutti lo conoscono come il grande attore, ma papà purtroppo è malato e ha anche la demenza senile”. Questa la breve sintesi della storia d’amore e dissidi che vede protagonisti Francesca Lavacca o Francesca Della Valle e la famiglia di Lando Buzzanca. Quella che di seguito ospitiamo è una lettera che ci ha scritto Francesca Della Valle che volentieri ospitiamo.  

La battaglia legale. Francesca della Valle assieme al suo legale Giovanni Mastroianni

Io sottoscritta Lavacca Francesca, alias Della Valle Francesca, essendo Vostra Collega e lettrice ed apprezzando sempre la vostra professionalità, vi affido delle mie dichiarazioni che spero potrete pubblicare sul vostro giornale online www.juorno.it , relative al mio rapporto con Gerlando Buzzanca, in arte Lando Buzzanca, ed alcune vicende che mi sento in obbligo di rendere pubbliche affinché tutti sappiano la verità su di un grave caso di profonda ingiustizia, che si sta consumando nel nostro Paese, dove la legislazione in tema di Amministrazione di Sostegno di  fatto sta privando il mio compagno Lando, a mio avviso, dei suoi fondamentali diritti irrinunciabili  libertà. 

Pertanto vi espongo quanto segue con preghiera di celere pubblicazione. 

Dopo circa otto mesi di ricovero in una clinica riabilitativa, a seguito di un incidente domestico, come ho sempre temuto ed anche pubblicamente denunciato, il mio amato Lando Buzzanca non ritorna a casa e finisce  in una “RSA” romana, dove non so quando e per quanto tempo, io possa accedere.  Dal 20  dicembre ho avuto solo oggi il consenso di incontrarlo ma  senza potergli neanche stringere la mano, costretta  a guardarlo da lontano, senza potermi avvicinare.  

Ho visto un uomo distrutto, che giorno dopo giorno, sta perdendo quella luce di infinita vitalità che ha sempre animato i suoi occhi. L’incubo mio e di Lando si è dunque avverato, perché Lando ha sempre voluto, (e tanto appare anche ovvio),  ritornare presso la sua abitazione romana e lì essere accudito dai suoi cari che vorranno stargli davvero vicino.

Invero, da mesi mi viene impedito di vedere Lando con continuità. 

In virtù del fatto che non siamo sposati, sono inserita nell’elenco delle visite come se fossi una qualsiasi conoscente, anche se è a tutti pubblicamente noto che il nostro legale affettivo, stabile e profondo, nasce dall’anno 2016. Ma non è tutto! Ho sempre sostenuto che la volontà di Lando era quella di ritornare a casa dopo la degenza presso la struttura romana dove è stato ricoverato a seguito dell’incidente domestico dell’aprile 2021, ma evidentemente, chi ha deciso per lui ha ritenuto di fare diversamente. 

Negli anni trascorsi io e Lando siamo stati anche coppia artistica ed assieme ci siamo cimentati in vari lavori televisivi e teatrali. Dall’agosto di quest’anno, le pubblicazioni delle nostre nozze, impugnate dall’Amministratore di Sostegno e dai figli di Lando, sono divenute oggetto di complessa disputa giudiziaria, ormai approdata presso la Corte di Appello di Roma. 

Sono stata così massacrata mediaticamente perché vittima di pregiudizi e di fatti non dimostrati. Anzi, su di me si è detto di tutto, soprattutto in modo falso o comunque tendenzioso, soprattutto perché sono molto più giovane di lui.  A chi mi accusava che volevo sposare Lando per interesse ho risposto sempre che il mio status di compagna non mi consentiva, e ancora di più oggi non mi consente, di poterlo assistere  secondo le sue volontà. 

Così come è oggi accaduto. 

Tutti mi rispondevano aspramente giungendo addirittura a sostenere che tanti altri lo avrebbero potuto accudire al posto mio, come se una compagna fosse una persona qualunque e da poter sostituire all’occorrenza. Oggi, a quelle persone chiedo di riflettere su ciò che sta accadendo. Lando è stato trasferito in una RSA, ossia una “Casa di riposo per anziani” e, confermo, contro la sua volontà, perché Lando è ancora lucido e sa quello che vuole. E’ pieno di vita e desideroso di ritornare a respirare un po’ della sua amata quotidianità. Continuerò a lottare ribadendo, ancora una volta che  voglio soltanto rivederlo felice come quando era con me. 

Vorrei anche ricordare, a chi mi ha insultata e denigrata, che fin dal primo atto legale di questa battaglia giudiziaria, affidata all’avvocato casertano Giovanni Mastroianni, ho chiesto che venisse nominato dal Tribunale un medico CTU specialista, che potesse dunque interpellare Lando in modo obiettivo ed imparziale, e così certificare definitivamente cosa lui voglia davvero per la sua felicità (dal matrimonio al vivere a casa sua e a qualsiasi altra cosa possa farlo stare bene). 

Proprio su questo non demorderò  anche perché,  per amore del mio compagno Lando devo fare di tutto per far valere le sua superiore volontà . Alla luce di quanto rappresentato, io sottoscritta Lavacca Francesca, alias Della Valle Francesca, confermo le mie dichiarazioni riportate nel presente comunicato, autorizzando il giornale on line www.juorno.it all’integrale pubblicazione. Esonero la Redazione, il giornalista redattore dell’articolo, e la testata giornalistica da ogni responsabilità scaturente dalla pubblicazione dell’articolo in oggetto.

Allego mio documento di identità e foto dove sono ritratta con il mio compagno Gerlando “Lando” Buzzanca di cui ho pieni diritti di pubblicazione, e contestualmente autorizzo la testata on line “JUORNO” al pieno utilizzo.

In fede 

Dr.ssa Lavacca Francesca 

Alias Della Valle Francesca

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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