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Draghi, cercare over 50 non vaccinati: il mix di vaccini funziona

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Dare la possibilita’ di scelta agli italiani che hanno ricevuto la prima dose di Astrazeneca: potranno fare il richiamo con un vaccino diverso – Pfizer o Moderna – oppure ricevere la seconda inoculazione ancora con il siero anglo-svedese. Il Governo, supportato dal parere Cts, sceglie la strada della massima flessibilita’ sulla questione della vaccinazione eterologa, per la quale il 10% delle persone coinvolte manifesta ancora dubbi. “L’eterologa funziona anche meglio per gli under 60, io sono prenotato martedi’”, assicura il premier Mario Draghi, che in in una conferenza stampa convocata all’improvviso in serata sottolinea: “la cosa peggiore che si puo’ fare e’ non vaccinarsi o vaccinarsi con una dose sola”, anche alla luce del proliferare delle varianti. Il premier avverte: “ora la sfida principale non e’ tanto vaccinare i 12enni o 13enni, bisogna farlo per carita’, ma bisogna andare a cercare tutti coloro che hanno piu’ di 50 anni e non si sono ancora vaccinati. Questa e’ la sfida che abbiamo noi da vincere”. Ma tra i nodi da sciogliere resta quello della mascherina all’aperto: “domani inoltrero’ la richiesta al Cts perche’ ci dica se possiamo toglierla o no”, spiega il presidente del Consiglio che pero’ sottolinea: “non ci sono date”. Sono messaggi che puntano a fare chiarezza, quelli che arrivano da Palazzo Chigi, nella conferenza stampa del premier assieme al ministro della Salute, Roberto Speranza, e al Commissario per l’Emergenza, Francesco Figliuolo, che puntano innanzitutto a mettere fine alla “confusione su quale tipo di vaccino fare a seconda delle condizioni”. La risposta era arrivata poche ore prima dal Cts, che – spiega Speranza – “e’ per una raccomandazione molto forte per la vaccinazione eterologa sotto i 60 anni, ma resta aperta la possibilita’ di utilizzare AstraZeneca per chi lo richiede sotto consenso medico”. E Draghi aggiunge: “io sono prenotato per fare l’eterologa. Ho piu’ di 70 anni e la prima dose con Astrazeneca ha dato risposta bassa: mi si consiglia di fare l’eterologa. Quindi funziona per me e ancor piu’ per chi ha meno di 70 o 60 anni”. Il Piano che consentira’ il mix e’ gia’ pronto per tutto il mese di giugno e presto sara’ cosi’ anche per luglio: “si tratta di 990mila cittadini che saranno vaccinati con mRna e quindi non ci saranno rallentamenti, il ritmo restera’ di 500mila somministrazioni al giorno”, assicura Figliuolo. E’ forte anche la sollecitazione alle Regioni – partita gia’ con una lettera inviata ai governatori dal Commissario – affinche’ ci sia “piu’ incisivita’” nel rintracciare gli ultrassessantenni che non hanno ancora prenotato il vaccino. L’esortazione e’ di continuare a cercare quei due milioni e ottocentomila over 60 ancora senza una dose (tra gli ultraottantenni ha gia’ ricevuto almeno la prima dose circa il 92%, tra gli over 70 l’86% e tra gli over 60 il 79% ). Nelle ultime due settimane si e’ registrata una flessione delle vaccinazioni agli over 60 che e’ inversamente proporzionale a quella di giovani “piu’ raggiungibili, grazie anche al modello degli hub”, commenta il generale nella missiva. L’obiettivo dichiarato e’ dunque quello di scovare – anche grazie alle 50 task force della Difesa attive in 11 regioni – quelli che hanno avuto difficolta’ ad essere raggiunti o a registrarsi sulle piattaforme, distinguendoli da chi ha scelto di non vaccinarsi. E’ per questo che la struttura commissariale chiede alle Regioni di “comunicare entro il 15 luglio il numero di soggetti impossibilitati ad aderire alla campagna per motivi sanitari e il numero di soggetti che hanno manifestato la volonta’ di non aderire alla campagna”. In Italia pero’ si registrano malumori o incertezze proprio dai governatori. Quello della Campania, Vincenzo De Luca, frena sulle somministrazioni ai ragazzi, in particolare i minorenni: “non ci muoveremo senza certezze assolute e non con questo chiacchiericcio confuso”, sottolinea. La questione degli approvvigionamenti invece non preoccupa Figliuolo, nonostante il forfait di Curevac, ormai fuori dalla lista delle future forniture: “da qui a settembre avremo oltre 54 milioni di dosi mRna impiegabili e chiudiamo sicuramente la campagna – spiega il generale – a fine settembre avremo coperto l’80% della platea dei 54 milioni di italiani vaccinabili. Poi se ci dovesse essere un anticipo di dosi deciso a livello europeo, questo ci dara’ ulteriori possibilita’ di velocizzare”. Parte intanto il sistema di flessibilita’ per stabilire la data del richiamo in Lombardia, dove dal 25 giugno si potra’ spostare l’appuntamento.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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