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Draghi cerca sprint pacchetto Recovery, nodo Pa

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Tempi rigorosi, un’operazione fiducia messa in campo per sostenere gli imprenditori italiani ancora intimoriti dalla pandemia e una profonda riforma dell’architettura del sistema Paese: la risposta di Mario Draghi alle raccomandazioni diramate dell’Unione Europea sta soprattutto in queste tre mosse. Il premier non replica alla sottolineatura arrivata da Bruxelles sugli “squilibri macroeconomici eccessivi” dell’Italia, dato che all’ex governatore della Bce e’ ben noto, e non certo dai tempi del Covid. E altro punto e’ ben chiaro a Palazzo Chigi: dare per scontate le risorse del Recovery Plan, soprattutto nei mesi prossimi quando l’emergenza pandemica si attenuera’ e i “falchi” Ue torneranno a farsi sentire, sarebbe un errore. Mantenere intatto il cronoprogramma per il presidente del Consiglio non sara’ facile. Gia’ con il cosiddetto decreto reclutamento nella Pa, qualche intoppo di natura tecnica e’ emerso in queste ore. Scopo del provvedimento – sul quale si sono mossi soprattutto il ministro Renato Brunetta e quello della Transizione Ecologica Roberto Cingolani – e’ l’assunzione secondo modalita’ trasparenti e agili di migliaia di professionisti ad hoc per i progetti del Recovery Plan. Solo che, raccontano fonti ministeriali , l’esecutivo sarebbe ancora impegnato ad allineare i criteri di assunzione previsti con alcuni paletti che, sul tema, pone l’Ue. Il risultato e’ che piu’ fonti dell’esecutivo informalmente non si sbilanciano ancora sulla data del Consiglio dei ministri che dara’ il via libera al decreto. Si balla, secondo le ultime indiscrezioni, tra venerdi’ e l’inizio della settimana prossima. In quell’occasione, comunque, e’ probabile che Draghi torni in conferenza stampa per illustrare quelle che considera le “tre gambe” del primo macro-provvedimento Recovery: semplificazioni, governance e, appunto, reclutamento nella Pa. Ma il capo del governo non ha alcuna intenzione di fermarsi. La settimana prossima potrebbe ripetere il “blitz” fuori Roma messo in campo martedi’ scorso nel modenese. Il luogo e’ ancora da definire, il messaggio e’ intuibile: dare fiducia al sistema Paese e avvertirlo che scopo del governo e del Pnrr non e’ recuperare la crescita pre-Covid ma fare molto di piu’. Poi, sul finire della settimana, comincera’ il tour all’estero. Dall’11 al 13 giugno il premier sara’ al G7 in Cornovaglia. Subito dopo al vertice Nato e al successivo summit Ue-Usa a Bruxelles. Si parlera’ del mondo post-Covid, della sfida dei cambiamenti climatici e delle grandi crisi internazionali. Ma per Draghi sara’ anche l’occasione per i primi incontri face-to-face con i grandi della Terra. E sul piatto ci sara’ innanzitutto la stima mondiale di cui gode il premier. E’ nella seconda meta’ di giugno che lo sprint di Draghi di dovrebbe fare ancora piu’ impegnativo. Quando sul tavolo ci saranno le riforme forse piu’ delicate: quella sulla concorrenza (la prima che vuole affrontare, gia’ entro il mese di giugno), quella sulla giustizia e quella sul fisco. Trovare l’equilibrio in una maggioranza liquida come quella attuale non sara’ facile. Serviranno, come Draghi ha piu’ volte ripetuto, responsabilita’ e unita’. “L’agenda del Pd deve coincidere con quella di Draghi”, sottolinea il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. “Fi e’ pronta a accelerare sulle riforme, dal fisco alla giustizia”, gli fa eco il capogruppo alla Camera Roberto Occhiuto. “Serve la determinazione da parte di tutti, dobbiamo ricostruire un Paese”, osserva il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Inca’. Messaggi a cui si aggiungono gli appelli alla ripartenza con cui tutti i partiti hanno celebrato il 2 giugno. L’inizio e’ promettente ma la strada sembra ancora in salita.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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