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Di Matteo in Antimafia parla della mancata nomina al Dap: non credo Bonafede cambiò idea per le proteste dei mafiosi perchè avrei denunciato tutto

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Davanti alla Commissione parlamentare Antimafia è di scena il membro del Csm, Nino Di Matteo. Il pm della Trattativa riferisce della sua nomina al Dap e delle motivazioni per cui poi saltò. La Commissione Antimafia presieduta dal senatore Nicola Morra vuole ricostruire non la nomina mancata di Di Matteo ma due anni di gestione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ai tempi in cui al vertice c’è stato il dottor Francesco Basentini ovvero il magistrato preferito a Di Matteo. Nella lunga e articolata audizione di Di Matteo vengono precisati molti punti che ancora non erano chiari ovvero non erano emersi con chiarezza nel dibattito pubblico, talvolta anche acceso, tra il magistrato prima richiesto di un impegno e poi accantonato.  “Il ministro Bonafede mi fece capire che per la soluzione di capo del Dap aveva ricevuto delle prospettazioni di diniego o mancato gradimento” riferisce il magistrato e consigliere del Csm, Nino Di Matteo, in Commissione Antimafia . Quando il ministro Bonafede, dopo averci ripensato in merito alla mia nomina a capo del Dap, “insistette – dice Di Matteo – chiedendomi di prendere in considerazione l’altra nomina (quella di Direttore degli Affari Penali – ndr) mi disse anche: ‘la prego di rifletterci perchè per quest’altro incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengano'”. Ci “rimasi male” perchè “il ministro aveva dimostrato di sapere che quella mia eventuale nomina a capo del Dap era stata oggetto di protesta nel carcere e di un’iniziativa di 51 persone detenute al 41 bis che volevano protestare mettendosi davanti al magistrato di sorveglianza. Avevo giudicato gravemente incomprensibile il comportamento del ministro”.

Un comportamento gravemente incomprensibile, usa queste parole Di Matteo. Ma poi finalmente precisa. Perchè ancora una volta quelle parole si prestano a strumentalizzazioni. “Se avessi pensato che Bonafede non mi avesse più dato l’incarico al Dap a causa di eventuali pressioni dei detenuti mafiosi sarei andato a denunciare la cosa in una procura della Repubblica” ha spiegato  Di Matteo ai commissari dell’Antimafia. Ma – precisa sempre Di Matteo – la vicenda non è personale, ma istituzionale”. Come dire: sarebbe interessante capire quali dinieghi, quali niet, chi e perchè a livello istituzionale avrebbe detto NO alla nomina di Di Matteo che Bonafede tanto voleva al vertice del Dap. Una nomina che è prerogativa del ministro della Giustizia. Dunque se c’è stato un diniego, allora deve trattarsi di un diniego forte, di una personalità istituzionale influente. Insomma qualcuno che può dire al ministro di non esercitare le sue prerogative. Chi? Questo dovrebbe dirlo il ministro Bonafede. Il pm della Trattativa Stato Mafia, spiega le “trattative” per la sua nomina al Dap come andarono, con precisione millimetrica. “Alle 11 io e Bonafede ci incontrammo al ministero, ho un ricordo nitido. Dopo i convenevoli di rito gli dissi che accettavo l’incarico al Dap, meno di 24 ore dopo la sua richiesta al telefono. Ma il ministro cominciò a dire che l’incarico al Dap non era confacente alle mie attitudini, che in fondo ci si occupava di rapporti con i sindacati e di appalti. Gli dissi che noi magistrati che abbiamo fatto indagini a Palermo sappiamo quanto la questione del 41 bis abbia avuto un ruolo preponderante nelle stragi e nella Trattativa, per la questione dei collaboratori di giustizia e altro. Il ministro disse che non la vedeva più questa possibilità della mia nomina al Dap e continuò ad insistere perchè accettassi l’incarico agli affari penali. Ero rimasto un po’ stupito dalle dichiarazioni del ministro sul ridimensionamento del Dap” racconta il magistrato.

 

 

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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Un 19enne muore in un incidente in bicicletta

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Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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