”Gestione scellerata non solo per l’incompetenza dei manager ma anche per le commistioni tra sistema creditizio e politica”. È quanto ha sostenuto il vice premier, Luigi Di Maio, intervenuto alla Camera per spiegare la crisi della Carige. Di Maio ha parlato di ”segreto di Pulcinella” con “vecchia politica e banche andate a braccetto”.
Di Maio ha provato a diradare quel che ”c’è dietro la cortina dei nomi” ed ha citato Alessandro Scajola, fratello dell’ex ministro, Luca Bonsignore, figlio di un ex eurodeputato, Giovanni Marongiu’, sottosegretario di Prodi, e Alberto Repetto, parlamentare dell’Ulivo.
Delle persone indicate, Di Maio ha poi ricordato i ruoli svolti nell’istituto, tra cui quelli di consiglieri d’amministrazione e di direttore generale. “Nei periodi in cui si sono create le maggiori sofferenze – ha spiegato il vicepremier Di Maio – giocavano a fare i banchieri. Lo si capisce dalle operazioni temerarie”. “Per un lungo periodo – ha proseguito – Carige ha assunto rischi molto alti su numerose operazioni discutibili. Perdite su crediti per diversi miliardi. Tra questi troviamo: un debito 450 milioni per i finanziamenti erogati al Gruppo Messina; 250 milioni concessi con estrema leggerezza al Parco degli Erzelli, una cittadella tecnologica fortemente voluta dalla politica ligure realizzata solo a metà sulla collina di Cornigliano; 35 milioni per un mutuo concesso al gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone; 20 milioni al gruppo che fa capo Beatrice Cozzi Parodi.
Prestiti o fidi, in parte sanati ma che hanno provocato sofferenze alla banca, sono stati erogati ad alcune società riconducibili al dottor Enrico Preziosi e alla Prelios che faceva capo a Pirelli Re, del gruppo Pirelli”. “Oggi sono qui – ha detto il ministro – non solo per fare i nomi ma guardando al futuro. Perchè ci sono cose che faremo per spezzare questo legame deleterio tra partiti e banche”.
“In passato i soldi andavano solamente a coprire chi aveva creato il danno. Noi eviteremo che questo pesi sui lavoratori e i cittadini del territorio”. “I risparmiatori non dovranno pagare le colpe dei manager – ha aggiunto – Ai responsabili chiederemo di restituire i mega-bonus visto il disastro che hanno creato”. Il problema, in questi casi, è capire come farsi restituire i bonus. Restando in tema economia e nomine, il ministero-vicepremier ha anche detto siamo vicina alla soluzione della questione Consob, dove da settembre c’è la presidenza dell’istituto che deve essere rinnovata. “Avete ragione, dobbiamo chiudere il prima possibile” ha acconsentito il vicepremier a chi criticava i ritardi del Governo.
Sulla politica internazionale c’è il caso Venezuela a tenere banco. Anche qui, Di Maio non è tra quelli che segue l’onda di chi ha già stabilito che cosa deve accadere nel Paese sudamericano sull’orlo di una guerra civile. Gli Usa hanno già deciso che deve esserci un cambio di regime, ed hanno già scelto Juan Guaidò come prossimo leader, orchestrando anche riconoscimenti internazionali e disconoscimenti che contribuiranno a rendere sempre più difficile la situazione nel Paese.
Per Di Maio “il cambiamento lo decidono i venezuelani: noi siamo dalla parte della pace e della democrazia quindi dobbiamo creare i presupposti per favorire nuove elezioni”.
E questa, oltre a essere una risposta a quanti gli chiedono di spingere il Governo italiano a riconoscere Guaidò, è anche una replica al presidente autoproclamato del Venezuela che ha lanciato un appello all’Italia affinchè riconosca il cambiamento in atto in Venezuela. Di Maio non lo disconosce, ma dice che democrazia non significa passare da un regime dispotico all’altro bensì far decidere ai cittadini tra Nicolas Maduro e Juan Guaidò. “Visto che siamo già stati scottati dalle ingerenze in altri Stati non vogliamo arrivare al punto di riconoscere soggetti che non sono stati votati. Per questo non riconosciamo neppure Maduro e per questo l’Italia continua a perseguire la via diplomatica e di mediazione con tutti gli Stati per arrivare ad un processo che porti a nuove elezioni ma senza ultimatum e senza riconoscere soggetti che non sono stati eletti”.
Tornando alla politica interna, c’è la questione Tav. Che i cronisti parlamentari hanno posto al vicepremier, che perchè c’è una certa fibrillazione in maggioranza. Su questo versante Di Maio tiene molto ai toni bassi e predica, spesso inutilmente, serietà ai suoi alleati.
“Non vado a Chiomonte visto che lì non è stato scavato ancora un solo centimetro: c’è solo un tunnel geognostico. Per me il cantiere di Chiomonte non è un’incompiuta ma una opera mai iniziata”. Di Maio con questo non ha voluto criticare la visita di Salvini ai cantieri del Tav ma ha precisato la sua opinione. Quando ai cantieri da aprire, agli investimenti da fare per superare questi periodo di recessine tecnica, per sperare che non diventi disastro economico, Di Maio precisa che “La spesa del Tav può essere benissimo dirottata sulla metropolitana di Torino o sull’autostrada Asti-Cuneo. Lasciamo i soldi a quel territorio ma investiamoli per cose prioritarie”.