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Politica

Conte non vuole cedere e cerca sponda franco-tedesca

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La partita e’ davvero “decisiva”. Giuseppe Conte e’ “determinato” a portare a casa non solo un Recovery fund di portata storica, ma anche meccanismi “efficaci” per accedere ai fondi: e’ cruciale poter mettere a terra le risorse entro il 2021, senza l’ombra di una “troika” a legare le mani al Paese. E’ vitale per affrontare un autunno caldo e una maggioranza fibrillante. E’ essenziale per rendere credibile quel programma di Rilancio su cui, come annunciato dal ministro Roberto Gualtieri, da lunedi’ iniziera’ a lavorare un’apposita struttura e per resistere ai colpi di un fronte sovranista fiaccato ma combattivo. A Roma questa volta non mancano gli alleati in Consiglio, perche’ il Coronavirus ha colpito duramente tutto il Vecchio continente. Ma all’ultimo miglio l’impuntatura dell’Olanda minaccia di far digerire all’Italia norme capestro: per evitarlo Conte cerca la sponda di Macron e Merkel, e con un intervento durissimo davanti agli altri leader si mostra pronto a usare ogni arma di trattativa. Fin dalla riunione plenaria dei ventisette leader europei, il presidente del Consiglio trova conferma dell’asse con lo spagnolo Pedro Sanchez ma anche con Emmanuel Macron. Mentre Angela Merkel, anche in virtu’ del suo ruolo di presidente di turno dell’Unione, resta in ascolto, nelle sette lunghe ore di una riunione plenaria che potrebbe essere solo l’antipasto di una lunga notte in Consiglio. La Cancelliera, che proprio il 17 luglio compie gli anni, e’ ancora una volta centrale per sciogliere un negoziato che si articola sui due tavoli di Next Generation Eu e Bilancio pluriennale, e che potrebbe essere bloccato dai veti. Negli auspici di Palazzo Chigi c’e’ la chiusura del negoziato gia’ questo weekend, o al massimo in un secondo round all’inizio della prossima settimana, per evitare che i veti contrapposti trascinino il Recovery fund in una palude da cui sarebbe difficile uscire. La consapevolezza e’ che Mark Rutte e’ motivato dalle imminenti elezioni in Olanda, che lo vedranno impegnato in una difficile sfida ai sovranisti, e vendera’ cara la pelle. Lo scontro in Consiglio e’ la riprova che, al di la’ degli attestati di amicizia reciproca, il primo ministro dei Paesi Bassi non cedera’ alla richiesta italiana di lasciare alla sola Commissione il controllo sui piani di riforma nazionali cui vincolare i fondi. Conte e Sanchez al tavolo del vertice difendono lo schema che era stato proposto in prima battuta da Ursula Von Der Leyen: valutino i commissari (incluso il responsabile dell’Economia Paolo Gentiloni). Ma sanno che la proposta di sottoporre al giudizio, a maggioranza, dei capi di governo i Recovery plan nazionali e’ stata sposata da Merkel: da li’ difficilmente si tornera’ indietro. La trincea italiana e’ evitare che il meccanismo venga irrigidito ulteriormente, dando ai singoli Paesi un sostanziale potere di veto. Per Conte sarebbe inaccettabile: il premier lo spiega a Rutte, davanti agli altri 25 leader, citando i trattati europei. Ma l’olandese ribatte a muso duro. In un clima che fonti diplomatiche definiscono “costruttivo” e “responsabile”, ma che per ora non consente di avvicinare le distanze. Va bene seguire le linee guida di riforme che vadano nella direzione della riconversione “verde”, della semplificazione, della digitalizzazione. Ma Roma non puo’ accettare di vedersi imposta riforme come quella di “quota 100” o del mercato del lavoro. Il punto debole di Rutte nella trattativa e’ la sua difesa dei “rebates”, fondi spettanti a L’Aja nell’ambito del bilancio pluriennale. E anche se l’Italia sceglie per ora la via negoziale, porre il veto per rispondere al veto olandese resta un’opzione sul tavolo. In un Consiglio europeo che minaccia di protrarsi per giorni, per ora si segnano solo le posizioni. Da difendere c’e’ anche la portata del Recovery fund e un orizzonte di spesa che non sia troppo ridotto. Su questo piano Conte puo’ contare sulla difesa franco-tedesca dei 500 miliardi di risorse a fondo perduto, ma sa che ai “frugali” e nordici qualcosa possa essere concesso. L’importante e’ pero’ non ridurre troppo il monte delle risorse e soprattutto non renderlo inaccessibile. Vincolare il 30% dei fondi, nel 2023, all’andamento del Pil, potrebbe impedire di prendere impegni. Obbligare a spenderli in un arco temporale troppo breve, potrebbe rendere la vita difficile a un Paese che fa fatica anche con i fondi strutturali. Insomma, la notte e’ lunga e spiragli nelle prime ore non se ne vedono. Conte ha una sola certezza: non puo’ cedere, non puo’ abbassare troppo l’asticella. Solo un piano “ambizioso” puo’ rinviare l’appuntamento con la difficile decisione sull’accesso al Mes. Solo risorse ingenti possono togliere altro ossigeno ai sovranisti italiani e armi ai tifosi di un governo di unita’ nazionale che salvi il Paese dal baratro della crisi. (

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Zelensky: da Meloni una posizione chiara, la apprezzo

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“Oggi a Roma ho incontrato la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Abbiamo discusso dell’importanza delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina e degli sforzi per ripristinare la pace e proteggere le vite umane”. Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. “46 giorni fa l’Ucraina – scrive – ha accettato un cessate il fuoco completo e incondizionato e per 46 giorni la Russia ha continuato a uccidere il nostro popolo. Pertanto, è stata prestata particolare attenzione all’importanza di esercitare pressioni sulla Russia”. Ed ha aggiunto: “Apprezzo la posizione chiara e di principio di Giorgia Meloni”.

Il leader ucraino ha aggiunto di aver “informato” la premier italiana “degli incontri costruttivi tenuti dalla delegazione ucraina con i rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania a Parigi e Londra. C’è una posizione comune: un cessate il fuoco incondizionato deve essere il primo passo verso il raggiungimento di una pace sostenibile in Ucraina”.

(la foto in evidenzaè di Imagoeconomica)

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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