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Consiglio metropolitano di Napoli, vincono le liste di centrosinistra

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Le liste “Progressisti e Riformisti per Napoli metropolitana” e “Napoli metropolitana”, riferibili alla coalizione di centrosinistra che sostiene il sindaco Gaetano Manfredi al Comune di Napoli, vincono le elezioni per il Consiglio metropolitano, ottenendo sette consiglieri ciascuna. A seguire tre consiglieri per la lista “Territori in Movimento” del Movimento 5 Stelle, in campo senza nome e simbolo tradizionali. A seguire due seggi per Forza Italia, primo partito nel centrodestra, e uno ciascuno per le liste Fratelli d’Italia – Giorgia Meloni, Grande Napoli, Progresso e Legalità con Catello Maresca, Lega – Con Salvini e I Territori in Azione. Al voto hanno partecipato 1.446 aventi diritto su 1.493, pari al 96,85%.

Dopo lo spoglio e i risultati ufficiali il sindaco metropolitano, Gaetano Manfredi ha proceduto alla proclamazione. Dionigi Gaudioso, Ilaria Abagnale, Antonio Caiazzo, Sergio Colella, Felice Sorrentino, Giuseppe Sommese e Rosario Andreozzi sono stati eletti per la lista Napoli Metropolitana, mentre per la lista Progressisti e Riformisti entrano in Consiglio Giuseppe Cirillo, Carmine Lo Sapio, Antonio Sabino, Giuseppe Bencivenga, Marco Del Prete, Luciano Borrelli e Giuseppe Tito. I tre che siederanno a Santa Maria la Nova tra le fila della lista Territori in Movimento sono Salvatore Cioffi, Salvatore Flocco e Salvatore Pezzella, mentre Forza Italia sara’ rappresentata da Massimo Pelliccia e Salvatore Guangi. Il consigliere di Fratelli d’Italia e’ Giuseppe Nocerino, quello di Grande Napoli e’ Luigi Grimaldi, mentre Vincenzo Cirillo è stato eletto con Progresso e Legalità, Domenico Esposito Alaia con la Lega e Domenico Marrazzo con I Territori in Azione. Dei 24 eletti, cinque sono consiglieri al Comune di Napoli – nel 2016 furono 6, mentre nel 2014 furono ben 12 – nove sono i sindaci e 10 i consiglieri che provengono dai Comuni dell’areaMetropolitana. Cinque gli uscenti riconfermati (Caiazzo aveva lasciato per un breve periodo), 19 quelli che varcheranno per la prima volta l’uscio di Santa Maria la Nova.

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Esteri

Donne e minori, chi sono i primi palestinesi liberi

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Sono 69 donne e 21 minori i primi prigionieri palestinesi liberati da Israele a fronte del rilascio dei primi tre ostaggi allo scattare della tregua dopo il lungo braccio di ferro su liste, tempi e modi nell’ambito dell’accordo. Così a fronte delle tre donne civili israeliane per le quali nelle scorse ore sono finiti gli oltre 15 mesi di prigionia nelle mani dei militanti islamici escono dalla prigione di Ofer 90 palestinesi: 30 palestinesi per ciascun civile israeliano libero e con un ‘peso’ corrispondente. Ovvero, per il momento dalla carcere israeliano escono detenuti ‘minori’, quindi non ergastolani e non nomi legati a ruoli apicali della dirigenza di Hamas. C’è Khalida Jarrar, quasi un personaggio storico dell’attivismo palestinese: ha 62 anni ed è una componente di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, organizzazione attiva fin dagli anni ’60, protagonista anche della Seconda Intifada e che da Israele, Stati Uniti e Ue è designata come organizzazione terroristica.

Khalida Jarrar – attivista per la difesa dei diritti umani e che proprio sui diritti dei detenuti palestinesi ha guidato importanti battaglie – è stata deputata, eletta al parlamento palestinese nel 2006 e nell’ultimo decennio è stata a più riprese arrestata e rilasciata, sebbene mai condannata per coinvolgimento diretto nelle azioni militari del Fronte Popolare. Nel 2007 le è stato vietato di viaggiare all’estero, divieto poi revocato nel 2010 per consentirle di ricevere cure mediche in Giordania. Nel 2015 la sentenza è stata di 15 mesi di detenzione per incitamento e appartenenza a un’organizzazione vietata e l’arresto più recente nel dicembre 2023, con gli ultimi sei mesi trascorsi in isolamento in una piccola cella, stando ad alcune indicazioni.

Dal suo ingresso in carcere oltre un anno fa non è stato consentito nemmeno al marito, Ghassan Jarrar, di farle visita in prigione, come lui stesso ha denunciato in una recente intervista. Un precedente legato ai suoi periodi in carcere riguarda la morte della figlia Suha, nel 2021, a Khalida fu negato un permesso su basi umanitarie per partecipare al funerale. Tra le altre donne che compaiono nella lista ci sono Dalal Khaseeb, di 53 anni, sorella dell’ex vice comandante di Hamas Saleh Arouri, ucciso in un attacco israeliano in un sobborgo meridionale di Beirut un anno fa.

Poi Abla Abdelrasoul, 68 anni, moglie del leader del Fplp Ahmad Saadat, che nel 2001 uccise un ministro israeliano e sta scontando una condanna a 30 anni. Ci sono poi 21 minorenni e fra questi il più giovane ha 15 anni, si chiama Mahmoud Aliowat ed è accusato di un attacco a Gerusalemme nel 2023. Sulla base della lista pubblicata dal ministero della Giustizia, in questa prima fase dell’attuazione dell’accordo è prevista la liberazione di detenuti arrestati dal 2020, tra cui 66 solo nell’ultimo anno. Cinque sono sospettati di tentato omicidio, tre di omicidio e sette di aggressione. Dieci sono già stati condannati, 31 sono detenuti senza processo e 51 sono in attesa di giudizio. Al Jazeera fornisce altri dettagli sull’elenco e indica 76 prigionieri provenienti dalla Cisgiordania e 14 da Gerusalemme Est.

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Esteri

Doron, Emily e Romi, finisce incubo per le 3 rapite

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Tre figurine a testa bassa, piegate in avanti, sopraffatte da una calca di migliaia di uomini civili e miliziani di Hamas armati, in divisa militare a volto coperto, la fascia verde dell’Islam in testa. Veloci nel passaggio dai pickup di Hamas al mezzo della Croce Rossa mentre tutt’intorno la folla urla, Doron Steinbrecher, Romi Gonen, Emily Damari s’infilano nell’auto degli operatori umanitari dopo aver attraversato piazza Saraya a Gaza City, con i jihadisti che tengono a bada la ressa di curiosi che vorrebbero vedere in faccia le tre rapite.

“Stanno bene, sono in grado di camminare senza essere aiutate”, il primo messaggio all’esercito da parte della Croce Rossa che le ha prese in consegna. Dopo qualche decina di minuti di tensione alle stelle, passando per la zona centrale della Striscia, dove tutto sarebbe potuto succedere, le tre giovani donne sono stata consegnate ai reparti speciali dell’Idf. Poi, via verso la struttura allestita dall’esercito vicino alla base militare di Reem, in terra d’Israele, a casa. Dove ad aspettarle c’erano le madri, autorizzate a raggiungerle ancor prima che siano portate in ospedale. Saranno infatti ricoverate nel reparto del Safra Children’s Hospital presso lo Sheba medical center, nel centro del Paese, nei prossimi giorni e forse settimane per essere assistite da personale specializzato e di supporto.

L’ospedale pediatrico è stato scelto perché offre una sistemazione tranquilla e riservata ma fuori dalla struttura si sono subito radunati a centinaia per aspettarle. Romi, 24 anni, è stata presa in ostaggio dal festival musicale Nova dove era andata a ballare con la sua migliore amica Gaia Halifa. Insieme avevano girato il Sud America in lungo e in largo per sette mesi. Quella spaventosa mattina del 7 ottobre 2023, mentre cercava di sfuggire ai terroristi con le amiche, Romi è riuscita a chiamare la madre, Meirav, rimasta al telefono con lei anche quando è stata raggiunta da un proiettile a una mano. Gaia è stata colpita e uccisa. Il 23 novembre alcuni ostaggi rilasciati hanno riferito di aver visto Romi viva, dopo nessun’altra notizia è arrivata ai parenti. Fino a che il governo non li ha avvisati che la loro ragazza era nella lista dei primi 33 ostaggi da rilasciare.

Doron Steinbrecher è un’infermiera veterinaria, i terroristi l’hanno strappata dalla sua casa nel kibbutz di Kfar Azza, nell’area residenziale dei single più giovani. Mentre Hamas assaltava il kibbutz, Doron, 31 anni, è rimasta al telefono con la sorella Yamit e i genitori, tutti chiusi nelle stanze di sicurezza della comunità. Lei durante l’attacco si è nascosta sotto il letto. Simona, la mamma, ha raccontato che “quel sabato erano tutti a casa, sentivano i terroristi che sparavano e cercavano di entrare”.

“Doron ci ha chiamato, poi abbiamo sentito delle voci. A quel punto solo silenzio. Quando è finito tutto e le forze di sicurezza sono arrivate a casa sua, non hanno trovato né il corpo, né sangue. Abbiamo capito che era stata rapita”. Prima di essere portata via è riuscita a inviare un messaggio ad amici: “Sono arrivati. Mi hanno preso”.

Anche Emily Tehila Damari, 28 anni, era nel kibbutz di Kfar Aza, nel ‘quartiere della giovane generazione’ . Mentre la madre, Mandy, si nascondeva nella sua casa, i jihadisti hanno prima ucciso il cagnolino di Emily e poi le hanno sparato a una mano e una gamba. Oggi la giovane appare nelle prime foto senza due dita della mano, il medio e l’anulare. Poi è stata costretta a salire nella sua auto con altri due amici del kibbutz, Gali e Ziv Berman, tuttora prigionieri di Hamas a Gaza. Emily è sempre stata una fan sfegatata del Tottenham Hotspur: la squadra e il suo club di fan si sono stretti attorno a lei tenendo diversi raduni fuori dallo stadio. “Il governo di Israele accoglie con affetto le tre donne liberate”, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu dopo il rilascio. Poi il suo ufficio ha diffuso le foto delle tre ragazze mentre abbracciano le loro mamme.

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Esteri

Il cessate il fuoco è fragile, Netanyahu sotto attacco

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L’entrata in vigore della fragile tregua a Gaza porta con sé la fuoriuscita del ministro di ultradestra Itamar Ben Gvir e del suo partito Otzma Yehudit dal governo di Benyamin Netanyahu, dando concretezza al terremoto politico che ha portato con sé l’accordo con Hamas per riportare a casa gli ostaggi ancora in mano ai miliziani palestinesi. La maggioranza resta – seppur appesa a un filo – grazie al sostegno del ministro Bezalel Smotrich, altro esponente dell’ultradestra che dopo aver criticato l’intesa, ha confermato il proprio impegno con l’esecutivo. Ma a una condizione: Israele “deve occupare Gaza e creare un governo militare temporaneo perché non c’è altro modo per sconfiggere Hamas”.

In caso contrario, “rovescerò il governo”, è la promessa del titolare delle Finanze. Insieme a Ben Gvir, che guidava il dicastero della Sicurezza, hanno lasciato il loro incarico il ministro per il Negev e la Galilea Yitzhak Wasserlauf e il ministro per il Patrimonio Amihai Eliyahu. Il cessate il fuoco costituisce “una vittoria completa per il terrorismo”, ha dichiarato Ben Gvir nella sua lettera di dimissioni indirizzata a Netanyahu, affermando in ogni caso che “non intendiamo lavorare per rovesciare il governo, ma sulle questioni ideologiche voteremo secondo la nostra prospettiva e la nostra coscienza”.

“Non torneremo al tavolo del governo senza una vittoria completa contro Hamas e la piena realizzazione degli obiettivi della guerra”, ha aggiunto. Le dimissioni sono l’epilogo di mesi di tensioni con l’ala più dura del governo israeliano, che nel corso della guerra ha più volte criticato i tentativi di mediazione per raggiungere un accordo che portasse a una sospensione della guerra. Tensioni, che stando ad alcuni media, hanno portato anche a far slittare il voto del governo israeliano sul cessate il fuoco da giovedì a venerdì. La coalizione di Netanyahu manterrà la maggioranza alla Knesset anche senza il partito di Ben Gvir, seppure molto più ristretta di prima: l’uscita di Otzma Yehudit riduce infatti i numeri di Netanyahu da 68 dei 120 parlamentari a 62 o 63, a seconda di accordi complessi che ora dovranno essere risolti tra il partito di Ben Gvir e il partito Sionismo Religioso di Smotrich, candidati con una lista congiunta alle elezioni del 2022 prima di separarsi. In occasione dell’annuncio delle proprie dimissioni, Ben Gvir non ha perso occasione di differenziarsi dal suo collega dell’estrema destra: “Sono un uomo di principio”, ha detto, sostenendo che l’accordo con Hamas prepara il terreno per futuri rapimenti. In risposta, Smotrich ha difeso la sua decisione sostenendo di aver agito per senso del dovere nei confronti del Paese.

“Ho una responsabilità nazionale” e “non scappo dal campo di battaglia nel mezzo della guerra, anche dopo una sconfitta schiacciante in una delle battaglie”, ha affermato in un lungo post su Facebook. Insistendo sul fatto che “era impossibile fermare l’accordo. Nemmeno minacciando di rovesciare il governo”. Ma la decisione non è irrevocabile: il ministro ha infatti ribadito che il governo cadrà se non tornerà a combattere per prendere il controllo dell’intera Striscia. Stando ai media israeliani, se anche lo schieramento di Smotrich dovesse abbandonare il governo, l’accordo sulla tregua rimarrebbe intatto e potrebbe essere implementato durante i tre mesi necessari di campagne elettorali. Inoltre, i leader dell’opposizione Yair Lapid e Benny Gantz hanno già ribadito la loro promessa di fornire una “rete di sicurezza politica” a Netanyahu affinché l’accordo vada a buon fine, se necessario. Ma è chiaro che la fuoriuscita di Sionismo Religioso darebbe a Israele una crisi politica ora più che mai da evitare con la fragile tregua che muove i suoi primi passi.

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