Il professor Francesco De Stefano, medico legale ed esperto in genetica forense, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera nella quale difende la sua perizia sul Dna estratto dalle unghie di Chiara Poggi, realizzata nel 2014. Oggi, la Procura di Pavia ipotizza che i risultati delle analisi potessero identificare un profilo genetico riconducibile ad Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara. Tuttavia, De Stefano esclude che ci fossero dati sufficienti per un’identificazione certa.
“Non ho verità in tasca, ma i dati sono quelli”
Rispondendo alle nuove ipotesi investigative, il professore ammette di essersi inizialmente interrogato sulla possibilità di un errore nella sua perizia, ma dopo averla riesaminata attentamente, si è detto tranquillo sulla correttezza delle conclusioni:
“Come fa a cambiare? Quello che è scritto è il risultato delle operazioni peritali a Genova, svolte anche alla presenza dei consulenti di Alberto Stasi. Se ci sono quattro marcatori su 16, quelli sono. Se c’è solo il cromosoma Y, c’è solo lui. E vorrei ricordare che il cromosoma Y ci dice solo che la persona è di sesso maschile, non serve a identificare chi potrebbe essere”.
Secondo De Stefano, i risultati dell’epoca evidenziavano la presenza di almeno due cromosomi Y, il che significa che il Dna appartenesse a due persone diverse.
“I software non creano il Dna, elaborano solo i dati disponibili”
Le nuove indagini della Procura di Pavia si basano su un software avanzato di analisi genetica, il quale avrebbe permesso di attribuire il profilo genetico ad Andrea Sempio. De Stefano, però, esprime forti perplessità su questa metodologia:
“Nella comunità scientifica c’è sempre stato un certo pregiudizio nei confronti dei software, perché non fanno altro che elaborare i dati forniti. Se io trovo quattro marcatori sotto un’unghia, due sotto un’altra e tre sotto un’altra ancora, non posso sommarli tutti e inserirli nel software come se fossero un’unica traccia. Sono tre dati distinti e bisogna tenerne conto”.
In sostanza, secondo il medico legale, non si può “forzare” l’interpretazione dei dati per ottenere un’identificazione ex post.
Ipotesi di trasferimento del Dna e durata delle tracce
De Stefano ribadisce inoltre un punto cruciale della sua perizia del 2014: la possibilità che il Dna ritrovato sulle unghie di Chiara Poggi sia stato trasferito accidentalmente attraverso il contatto con oggetti.
“Il Dna non ha ali e non vola. Rimane lì, magari si degrada ma resta. Può essere rimasto su una tastiera, un mouse, una maniglia, lo stipite di una porta”.
Questo spiegherebbe come tracce di materiale genetico possano trovarsi sulle unghie della vittima senza implicare un contatto diretto con la persona indagata.
“Non bisogna cercare un risultato a tutti i costi”
Alla domanda su cosa ne pensa delle nuove indagini, De Stefano mantiene una posizione di rispetto per il lavoro della magistratura, pur sottolineando i rischi di quello che definisce “narcisismo ricostruttivo”.
“Ci sono risultati che dovrebbero rimanere indecifrabili. Io ai miei studenti dico sempre: non abbiate paura di rispondere ‘non lo so’. È importante capire quando fermarsi, tanto quanto cercare un risultato”.
Resta ora da vedere se le nuove tecniche di analisi genetica e le conclusioni della Procura porteranno a un nuovo processo per il delitto di Garlasco.