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Caso Almasri, i Servizi segreti sapevano ma l’Italia scelse la Rada: il retroscena sulle pressioni e l’interesse nazionale

Il direttore dell’Aise Caravelli conferma i legami con la Rada Force e l’interesse a evitare ripercussioni. Ma il Tribunale dei ministri smentisce la minaccia concreta e solleva dubbi sulla gestione politica del caso Almasri.

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La collaborazione con la Rada Force, la milizia libica antiterrorismo di cui Osama Najee Almasri era una figura di vertice, è uno degli elementi centrali che emergono dalle dichiarazioni rese dal direttore dell’Aise Giovanni Caravelli davanti al Tribunale dei ministri. Secondo quanto riferito, la Rada operava in aree cruciali di Tripoli, comprese le zone dove erano presenti ambasciata e residenza dell’ambasciatore italiano.

Caravelli ha spiegato che la Rada era un alleato utile nel contrasto a traffici illegali, compresi quelli di esseri umani e stupefacenti. Ma il punto più controverso è che i Servizi italiani avrebbero ignorato l’indagine della Corte penale internazionale (Cpi) sull’uomo, nonostante la collaborazione già avviata da tre anni tra l’Italia e l’Aia nell’ambito di una task force congiunta.

Il nodo dell’interesse nazionale e l’invocazione dello “stato di necessità”

Alla base delle decisioni prese a Palazzo Chigi, dopo l’arresto di Almasri il 19 gennaio, ci sarebbe stato il timore — mai documentato — di possibili ritorsioni contro il personale italiano in Libia. In quelle riunioni segrete si sarebbe dunque valutata la possibilità di evitare la consegna di Almasri alla Cpi, puntando al rimpatrio in Libia.

La difesa dei ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano ha invocato lo “stato di necessità” citando un articolo della Commissione Onu che permette di non ottemperare a un obbligo internazionale se è l’unico mezzo per salvaguardare un interesse nazionale imminente. Ma secondo i giudici non c’era alcuna minaccia concreta: né atti né pressioni indebite, come confermato anche da una dichiarazione parlamentare del ministro Piantedosi.

Il segreto di Stato evocato ma mai apposto

A complicare ulteriormente il quadro, c’è la testimonianza della capo di Gabinetto del ministro della Giustizia, Giusi Bartolozzi, definita dai giudici «inattendibile, anzi mendace». La dirigente avrebbe sostenuto che la richiesta di estradizione libica, in concorrenza con quella della Cpi, fosse coperta da segreto di Stato. Ma nessuna comunicazione ufficiale lo conferma. Né Caravelli, né altri funzionari coinvolti hanno mai apposto un simile vincolo.

Bartolozzi, secondo le carte, avrebbe bloccato anche la firma di un provvedimento già predisposto per mantenere in carcere Almasri, evitando di mostrarlo al ministro Nordio perché mancava — a suo dire — «l’altra parte» dell’informazione, cioè il canale informale con i Servizi. Una gestione parallela e segreta che ha generato frizioni anche con i vertici del Dipartimento affari di giustizia.

Il blocco delle comunicazioni con l’Aia

A rendere il quadro ancora più opaco è l’episodio in cui Bartolozzi avrebbe interrotto le comunicazioni con l’Aia. Domenica 19 gennaio, ore dopo l’arresto, la dirigente avrebbe chiesto ai funzionari del ministero e al magistrato di collegamento in Olanda di non trasmettere più nulla. «Basta, basta, basta. Non comunicate più», avrebbe detto, imponendo una linea di silenzio assoluto.

Eppure, la richiesta libica formale di estradizione è arrivata solo successivamente al rimpatrio di Almasri, rendendo impossibile un vero “bilanciamento” con quella della Cpi, come previsto dalle procedure.

Il caso resta aperto, almeno sul piano politico e istituzionale. Ma sul piano giudiziario, le richieste di autorizzazione a procedere segnano un passaggio delicatissimo nel rapporto tra potere esecutivo, intelligence e giustizia.

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Vincenzo De Luca resta il dominus del Pd in Campania: così ha piegato Schlein, Fico e tutto il centrosinistra

Vincenzo De Luca si prepara a restare al comando della Regione Campania con un accordo che conferma il suo potere familistico sul Pd del Sud: una rete di controllo totale, da Piero alla Sanità.

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Non è un’indiscrezione, non è un retroscena: Vincenzo De Luca continuerà a governare la Campania. Non come presidente ufficiale, ma come regista onnipotente di un sistema di potere che tiene in pugno il Partito Democratico del Sud. L’accordo è fatto: la facciata sarà affidata, con ogni probabilità, a Roberto Fico. Ma la regia sarà tutta del leader di Salerno, che detta le condizioni e pretende l’ultima parola su ogni cosa, dalle liste agli assessorati.

Un potere costruito tra famiglia e fedelissimi

Nel mosaico politico che De Luca ha disegnato nel tempo, ogni tessera è al suo posto. Vuole Piero, suo figlio, alla guida del Pd campano. Vuole decidere chi si occuperà di sanità. Vuole mettere il timbro su chi guiderà il consiglio regionale. E vuole liste proprie, da cui far eleggere i suoi consiglieri, garanti del rispetto del suo disegno. Il potere di De Luca è anche questo: controllo ferreo, capillare, senza deleghe reali.

Il Pd nazionale, pur di evitare il disastro elettorale in Campania, cede. Marco Sarracino, uno dei fedelissimi di Elly Schlein, lo ha detto chiaramente: “O lo facciamo contento o perdiamo la Regione dopo dieci anni”. Una resa, politica e simbolica, davanti al più potente dei cacicchi.

Una storia personale intrecciata alla conquista del potere

La carriera di Vincenzo De Luca è un racconto di determinazione e controllo. Ex dirigente comunista, sindaco di Salerno trasformato in sceriffo, uomo del manganello “commovente strumento di persuasione”, ha saputo coniugare ordine e consenso. Le fontane nelle piazze e la mitologia dell’uomo che conosce “uno per uno” i suoi elettori sono parte di una narrazione costruita negli anni. Da Salerno a Palazzo Santa Lucia, dove oggi detta legge.

Dietro di lui, la famiglia come asse del potere: il figlio Piero in Parlamento, ora l’ambizione a prenderne la guida politica regionale. Un modello familistico, affondato nella tradizione meridionale del potere personale, ben radicato in un Pd del Sud che, di fatto, non è mai cambiato.

Un Pd piegato, una Schlein costretta a cedere

Elly Schlein, che aveva promesso di cambiare il partito, si ritrova oggi costretta a piegarsi davanti a ciò che più detestava: l’uomo simbolo del vecchio Pd. De Luca, che non ha mai nascosto il disprezzo per la segretaria — “la ragazza” — oggi la tiene in scacco. Anche Conte, suo alleato nella coalizione, tace o balbetta. Il vero lavoro sporco lo fa il Nazareno, che annulla se stesso pur di non consegnare la Campania al centrodestra.

Persino una parte del mondo culturale progressista — da Isaia Sales a Giulio Sapelli — si è ribellata, firmando una lettera di denuncia contro questa scelta. Ma tutto si tiene: il potere di De Luca, l’inerzia del Pd, l’illusione del rinnovamento.

Un sistema che incide su tutto

La forza di De Luca non è solo elettorale. È un sistema di relazioni, promesse, tessere, ricatti, finanziamenti. Muove persone, risorse, candidature. Persino la vicenda del Teatro San Carlo lo vede protagonista, schierato contro il sindaco Manfredi, accusato di stare troppo vicino a Fico. Un piccolo segnale, ma carico di significati.

Il “rumore” di fondo di questa storia — come quello delle api impazzite — è il suono dei neuroni di De Luca che lavorano instancabilmente per conservare tutto il potere conquistato. Non presidente, forse. Ma fantasma potente dentro il Palazzo.

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Cannellino flegreo verso la DOP: imprenditori e agricoltura identitaria per la rinascita dei Campi Flegrei

Nasce il Comitato per la DOP del pomodoro cannellino flegreo. Imprenditori visionari come Tammaro guidano il rilancio dell’agricoltura flegrea tra archeologia, tradizione e sviluppo.

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A Cuma, tra le vestigia greco-romane e il profumo intenso della terra vulcanica, prende ufficialmente il via il Pomodoro Cannellino Flegreo Tour 2025, evento che segna un passaggio decisivo: la costituzione del Comitato Promotore per il riconoscimento della DOP. È il primo passo verso un riconoscimento europeo che potrà consacrare definitivamente questo prodotto tipico come simbolo identitario dei Campi Flegrei.

Un’agricoltura che parla il linguaggio del territorio

Il pomodoro cannellino flegreo non è solo un ortaggio: è un frutto della storia, nato su terreni sabbiosi modellati dal fuoco e dal mare, perfettamente adattato al microclima flegreo. Oggi sono oltre 55 gli ettari coltivati, grazie anche all’impegno di giovani agricoltori che hanno riscoperto le antiche pratiche colturali.

Il ruolo degli imprenditori visionari

Determinante, in questo percorso, è il contributo di imprenditori come la famiglia Tammaro, che si sono spesi negli anni per salvaguardare e valorizzare le tradizioni agricole locali. La loro visione ha permesso di trasformare un prodotto dimenticato in una leva di sviluppo culturale, economico e sociale, capace di creare rete tra imprese, enti locali e cittadini.

Figure come Tammaro dimostrano quanto l’agricoltura identitaria possa diventare motore di rinascita, contribuendo alla costruzione di un modello di sviluppo sostenibile fondato su qualità, storia e comunità.

Una rete per la DOP

Nel comitato promotore per la DOP, oltre a imprenditori di punta come Generoso Colandrea, Vincenzo e Giovanni Tammaro, Nicola Laezza, Giuseppe Lanni e i fratelli Pignata, è forte l’impegno delle istituzioni. Come ha ricordato l’assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo, la sfida oggi è trasformare l’eccellenza agricola in brand territoriale, capace di competere sui mercati globali.

Il paesaggio che unisce archeologia e agricoltura

Il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che ha patrocinato l’iniziativa, ha ribadito il valore unico del paesaggio agricolo e archeologico di Cuma. Fabio Pagano, direttore del Parco, ha sottolineato come l’integrazione tra colture e patrimonio culturale rappresenti un’opportunità straordinaria per il territorio.

Un modello virtuoso di sviluppo

L’evento si inserisce all’interno del più ampio progetto Monterusciello Agro City (MAC), sostenuto dall’Unione Europea, che ha puntato sul recupero delle aree coltivabili e la nascita di nuove imprese. La rinascita agricola del territorio flegreo è così diventata anche strumento di rigenerazione urbana, restituendo dignità e speranza a intere comunità.

Una sfida collettiva

Alla giornata hanno partecipato anche Confagricoltura Campania e l’EBAT, a dimostrazione di una rete ormai consolidata. Il Pomodoro Cannellino Flegreo, in attesa del marchio DOP, si impone già come simbolo di orgoglio e riscatto locale, frutto del coraggio di imprenditori come Tammaro, che hanno saputo guardare lontano partendo da molto vicino: dalla loro terra.

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Fico candidato solo se Piero De Luca guiderà il Pd campano: l’ultima mossa di Schlein

Schlein spinge per un congresso unitario con Piero De Luca alla guida del Pd campano per ottenere il sì di Vincenzo De Luca alla candidatura di Fico.

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Un candidato unico alla segreteria regionale del Partito Democratico da affidare a Piero De Luca: è questa la condizione posta da Vincenzo De Luca per dare il via libera alla candidatura di Roberto Fico alla presidenza della Regione. Una strategia che la segretaria Elly Schlein punta a concretizzare entro la fine del mese, accelerando la convocazione del congresso regionale già per agosto.

Un passaggio politico fondamentale per superare l’attuale commissariamento del Pd campano e al tempo stesso dimostrare al governatore della Campania la volontà di onorare gli impegni assunti nei recenti incontri con Giuseppe Conte. L’intesa con il Movimento 5 Stelle è infatti condizionata da un gesto concreto: l’elezione del figlio del presidente della Regione a segretario regionale del partito.

Pressing sull’unità e freni agli strappi interni

Nel partito, però, non manca il fermento. L’area più vicina alla Schlein, da sempre in attrito con De Luca, ha spinto nei giorni scorsi per la candidatura alternativa del deputato Marco Sarracino, vicino all’area orlandiana. Ma la linea della segretaria è chiara: nessuna spaccatura, serve un congresso unitario, senza strappi.

Anche per questo si è deciso di lasciar decantare le tensioni, nel tentativo di ricomporre una maggioranza ampia in vista del congresso. Ma il tempo stringe: senza un segnale forte da parte del Pd, De Luca non si sbilancerà su Fico. Lo ha ribadito ai suoi fedelissimi riuniti a Palazzo Santa Lucia martedì scorso. Nessun riferimento diretto a Fico, proprio per non perdere potere nella trattativa.

Programma di coalizione ancora fermo

Altro nodo decisivo è il programma di coalizione. Secondo il governatore, non sono stati fatti passi concreti in questa direzione. L’intesa con il Movimento 5 Stelle, ha ricordato, si fonda su un presupposto: discutere prima di contenuti e visione, e solo dopo di candidature.

In particolare, De Luca ha citato la necessità di valorizzare quanto fatto in dieci anni di governo, a partire dalla nuova sede della Regione, la seconda tangenziale per la zona ospedaliera, l’autonomia idrica, e i progetti su scuola e agricoltura. Ha anche preannunciato che, in assenza di sviluppi, sarà lui stesso a elaborare una proposta programmatica da sottoporre alle forze politiche.

I nodi aperti in Puglia e Toscana

Nel frattempo, il centrosinistra deve sciogliere anche le riserve su Puglia e Toscana. A Bari si attende la decisione di Antonio Decaro, pressato da M5S e Avs, ma frenato dalla presenza ingombrante di Michele Emiliano e Nichi Vendolanel consiglio regionale. In Toscana, invece, i Cinque Stelle sono chiamati con un voto online a decidere se sostenere Eugenio Giani per un secondo mandato.

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