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Casellati consulta partiti su riforme, distinguo Lega-FI

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Il braccio di ferro tra presidenzialismo e autonomia differenziata – che da tempo mette in tensione il centrodestra – rischia di esplodere nel confronto tra la ministra Elisabetta Casellati e la Lega. La titolare delle Riforme istituzionali vedrà i leghisti nelle prossime ore, nel solco delle ‘consultazioni’ avviate a dicembre sul tema. Per il partito di via Bellerio, insieme ai capigruppo parlamentari Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, ci sarà Roberto Calderoli, storico alfiere dell’autonomia di bossiana memoria. Assente Matteo Salvini. Ma proprio la presenza di Calderoli, al tavolo con la collega di governo, alimenta il sospetto, in alcuni settori della maggioranza, che alla fine si parli più di autonomia che di presidenzialismo, tema – quest’ultimo -che scalda meno i cuori leghisti.

Con il rischio di un gioco di veti incrociati che potrebbe enfatizzare le distanze fra alleati emerse nei primi 100 giorni del governo Meloni. A maggior ragione quando manca un mese dal voto in Lombardia che, al di là del comune appoggio al governatore Attilio Fontana, potrebbe certificare il sorpasso di Fratelli d’Italia in ‘casa’ della Lega, che quindi ha ora più bisogno di sventolare la bandiera dell’autonomia regionale, si ragiona sempre nella coalizione di governo. Si preannunzia duqnue la cronaca di uno scontro temuto e annunciato. E ciò, nonostante entrambe le riforme siano nel programma elettorale del centrodestra. Un timore che covano soprattutto i sostenitori della ‘rivoluzione’ presidenziale, FdI e Forza Italia. Non a caso Silvio Berlusconi rilancia il presidenzialismo quasi come un promemoria: “In questa legislatura ci sono le condizioni per realizzare una riforma che tornerà ad avvicinare i cittadini alle istituzioni”, avverte il patriarca azzurro alla presentazione dei candidati regionali.

Il Cavaliere tiene il punto anche sulla fedeltà di FI al governo che, garantisce, è fuori discussione. Ma non rinuncia alla coerenza e ammette: “Noi siamo portatori di idee e principi che nessun’altra forza politica ha saputo incarnare con coerenza”. Esplicito sull’autonomia è pure il vicepremier Antonio Tajani: “Non è una corsa contro il tempo quella che dobbiamo fare, bensì una riforma fatta bene”. E insiste sulla priorità che “tutti abbiano le stesse possibilità di sviluppo, assistenza, protezione, benessere. Il sud non può essere lasciato indietro”. Il pensiero va inevitabilmente agli ‘autonomisti’. Per loro, ufficialmente, non c’è nessun pregiudizio contro l’eventuale elezione diretta del capo dello Stato, ma contano i tempi. Per tutti si espone il Comitato nord, la fronda più nordista della Lega creata proprio da Umberto Bossi dopo le elezioni del 25 settembre.

“Si può attuare l’autonomia nel 2023 come ha detto Salvini, e qualche mese dopo il presidenzialismo”, scandisce Paolo Grimoldi, ex segretario della Lega lombarda e ora referente del Comitato. Il ragionamento – che circola nel partito di via Bellerio – parte dal fatto che l’autonomia differenziata di fatto prescinde dal resto delle riforme costituzionali perché ha alle spalle un iter fatto di referendum regionali e battaglie locali, un approdo nella Costituzione – scritto nero su bianco dopo la riforma del 2001 – e una bozza di riforma che Calderoli ha mostrato al governo e che potrebbe passare molto più velocemente rispetto ai quattro passaggi parlamentari della riforma del presidenzialismo. In realtà sulla strada dell’autonomia ci sono i Livelli essenziali delle prestazioni, cioè gli standard del minimo che va garantito in tutte le regioni del Paese. Da qui l’equilibrio e la mediazione che tenterà Casellati che finora non ha lesinato aperture al dialogo con tutti, opposizioni comprese: per prima, giovedì,incontrerà la delegazione del Terzo polo, poi toccherà a Pd e M5s.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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