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Carlo III proclamato re, inizia una nuova era in diretta tv

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Una nuova era che inizia nel Regno Unito sotto il segno d’un cerimoniale ispirato a secoli passati; e che tuttavia suggerisce gia’ i primi presagi di un graduale aggiornamento nella continuita’. Carlo III e’ stato proclamato oggi re con tutti i crismi della forma e tutti i riti di una cerimonia che non si vedeva dal lontano 1952. Cerimonia trasmessa per la prima volta in diretta televisiva; e al contempo suggellata da fanfare, colpi di cannone, araldi in costume d’epoca e reparti militari in alta uniforme: in un Paese che resta come sospeso, fra il lutto per la morte dopo 70 anni di regno di Elisabetta II, uscita di scena l’8 settembre nella residenza scozzese di Balmoral, le preoccupazioni di un momento di gravi turbolenze economiche e la celebrazione per l’avvento al trono dell’eterno erede. Le esequie della matriarca di casa Windsor, primo funerale di Stato del Regno da quello riservato nel 1965 a Winston Churchill, saranno officiate alla presenza dei grandi della Terra lunedi’ 19 nell’abbazia di Westminster. Come gia’ si sapeva, ma come solo oggi e’ stato comunicato nero su bianco. Nel frattempo il feretro di Sua Maesta’, rimasto finora custodito a Balmoral, nell’intimita’ della sua famiglia, verra’ traslato dapprima a Edimburgo, per una prima esposizione pubblica; quindi a Londra. Un lungo addio intervallato dal compimento dell’iter dell’ascesa del primogenito quasi 74enne verso l’ufficialita’ della successione. Iter che, ancor prima dei funerali, si completera’ con un tour di visite del nuovo re con la regina consorte Camilla oltre i confini interni dell’Inghilterra, nelle altre tre nazioni del Regno: Scozia, Irlanda del Nord e Galles. E che include pure una parte di sforzo interno alla stesso Royal Family per cercare di rimarginare i conflitti piu’ recenti: come dimostra la reunion di queste ore avvenuta in favore di telecamere all’ingresso del castello di Windsor fra i due suoi stessi due figli, William e il ribelle Harry, con le rispettive consorti Kate e Meghan. Ma iter che innanzi tutto si e’ consumato con la proclamazione odierna formale a St James Palace di “Charles Philip Arthur George” a re e “difensore della fede”, dinanzi a circa 200 notabili (fra cui tutti e 6 gli ex primi ministri viventi del Paese, da John Major a Boris Johnson) membri dell’Accession Council: un’istituzione chiamata a certificare il passaggio di testimone fra un monarca e un altro, e che si riunisce solo in questa occasione. L’atto e’ stato poi presentato nella Sala del Trono al sovrano, affiancato da una sorta di direttorio comprendente la consorte Camilla, il nuovo principe di Galles, William, la premier fresca di nomina Liz Truss, autorita’ governative e della Chiesa anglicana, alti funzionari dello Stato. La ministra Penny Mordaunt, titolare del ruolo di Lord President of the Council, ha introdotto la seduta, che Carlo ha poi suggellato con un giuramento (introdotto dalle parole “Io, Carlo III, re per Grazia di Dio…”) e un breve discorso: impegnandosi ancora una volta a trarre “ispirazione dall’esempio” della sua “amata madre” per garantire – nel rispetto delle indicazioni del Parlamento – la perpetuazione di un sistema di “governo costituzionale”, nonche’ per favorire “la pace, l’armonia e la prosperita’ dei popoli di queste isole, dei reami del Commonwealth e dei Territori della corona nel mondo”. Non senza ribadire a margine la volonta’ di “continuare” ad assicurare meccanismi di trasparenza sui conti della famiglia reale, attraverso “la pubblica comunicazione” annuale dei bilanci all’esecutivo. Il segno di un’era di “continuita’ e di cambiamento”, nelle parole di commento di sir Nicholas Soames, ex deputato Tory e nipote di Churchill. Salutata intanto in diversi luoghi simbolo dell’isola dagli annunci strillati con voce squillante dei banditori al grido di ‘God save dei King’; dal ritmo triplice urra’ delle folle e delle Guardie Reali con il colbacco nero proiettato verso l’alto; dagli squilli di tromba e dalle salve di cannone: esattamente come 70 anni fa o come nei secoli lontani, in barba alla modernita’ turbinosa di Londra, delle tv e delle dirette streaming.

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‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

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Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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