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Politica

Canone Rai divide ancora la maggioranza, rebus per Chigi

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Una frenata sul decreto fiscale in Senato, con un braccio di ferro interno alla maggioranza sul taglio al canone Rai, e un intervento del Colle per garantire la coerenza delle materie contenute. Mentre il decreto sulla giustizia slitta al prossimo Consiglio dei ministri, ufficialmente per l’assenza di tutti i ministri di FI, ma di fatto perché agli azzurri non piace qualche aspetto delle misure sulla cybersicurezza. Se l’apericena domenicale a casa di Giorgia Meloni fosse stato un vertice risolutivo, sarebbe cominciata con passo diverso la settimana del governo e del centrodestra. Al di là del comunicato di Palazzo Chigi, l’incontro sulla manovra con i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, e il leader di Noi moderati Maurizio Lupi non ha sciolto alcuni nodi.

Che si sono riproposti subito all’indomani. Con i suoi ospiti, secondo i meloniani, la presidente del Consiglio avrebbe dispensato parecchi “vedremo”, di fronte alle richieste dalle coperture finanziarie incerte. A partire dalla riduzione del canone Rai, chiesta a gran voce dalla Lega, anche magari più contenuta dei 20 euro di un anno fa. Una proposta che, si ragiona in ambienti della maggioranza, non vedrebbe di buon occhio neanche la premier.

Che a quel punto dovrebbe fronteggiare la pretesa di FI di compensazioni su altri capitoli. Nella maggioranza c’è chi riconduce a questo clima i toni con cui Matteo Salvini affronta il caso Unicredit-Bpm: una nuova invasione di campo, i commenti maliziosi tra i parlamentari di FdI e FI, dopo la fuga in avanti su Benjamin Netanyahu. Un paio d’ore più tardi, un leghista solitamente molto cauto come il senatore Massimo Garavaglia esterna “una sensazione strana”, parlando delle proposte di riformulazione degli emendamenti al decreto fiscale all’esame della commissione Bilancio. “C’è una pervicacia da parte di FdI – racconta – nell’attaccare la Lombardia sulla sanità” con emendamenti sul payback sanitario che “fanno danno alla Regione”, e da parte di FI c’è la stessa pervicacia ad “attaccare la Regione Lombardia sul trasporto pubblico locale.

Ma non capisco perché, governiamo insieme”. Tra le 12 riformulazioni su cui va in stallo l’esame in commissione non dovrebbe esserci quella dell’emendamento di FI a firma Claudio Lotito – su cui c’è stata non poca polemica -, sullo scudo penale per reati fiscali minori. In ambienti di governo raccontano anche di un intervento del Quirinale, vigile sul rispetto dell’omogeneità complessiva della materia. Il vero rebus politico è però il canone Rai. “È emerso chiaramente al vertice che è un tema divisivo ed è stato chiesto che i temi divisivi vengano accantonati”, spiega l’azzurro Dario Damiani, uno dei relatori del dl fiscale, quando poco prima delle 17 si interrompono i lavori della commissione Bilancio: “Come Parlamento, chiediamo un ulteriore sforzo su temi che siano omogenei al dl fiscale”.

E auspica che Luca Ciriani porti le istanze al Cdm al via di lì a poco. Ma quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento torna in Senato senza una risposta definitiva si apre una riunione di maggioranza e la chiusura slitta almeno di un giorno: “Sul canone adesso discutiamo in maggioranza e vediamo quando e come affrontarlo”, ma “cerchiamo di risolverla qua” nel dl fisco. D’altronde sul tema in mattinata glissava Giancarlo Giorgetti, il leghista ministro dell’Economia che dal vertice di maggioranza ha ricevuto il mandato di “valutare, alla luce delle coperture necessarie, la praticabilità di alcune proposte di modifica condivise da tutte le forze politiche della maggioranza, in particolare relative alle forze dell’ordine, alle politiche sociali e ai settori produttivi”. “Gli incarichi difficili – ha commentato Giorgetti – sono sempre quelli del ministero dell’economia e delle finanze”.

Poco dopo, l’ennesimo disallineamento in maggioranza è rivelato da Maurizio Gasparri, e riguarda il decreto sulla giustizia nuovamente slittato al prossimo Cdm (atteso per venerdì). Il capogruppo di FI al Senato auspica “una riflessione” sui “potenziamenti in materia di reati informatici per la Procura nazionale antimafia, che su questo fronte avrebbe nuovi poteri di impulso e il coordinamento”. C’è un clima da pre-rimpasto, secondo le voci più preoccupate nella maggioranza: fanno gola le deleghe di Raffaele Fitto, e a gennaio a Milano è attesa la decisione sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè sul presunto falso in bilancio nel caso Visibilia.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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