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Politica

Campania, atteso il faccia a faccia tra Schlein e De Luca: il governatore prepara il suo dossier

Slitta l’incontro tra Schlein e De Luca. Il governatore prepara un dossier con sanità, urbanistica e squadra politica per un’intesa nel centrosinistra.

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Si fa ancora attendere l’incontro tra Elly Schlein e Vincenzo De Luca. Doveva tenersi ieri sera, ma gli impegni della segretaria del Pd e del presidente della Regione Campania hanno fatto slittare il faccia a faccia alla prossima settimana. Nel frattempo, il governatore prepara il suo dossier politico-programmatico da sottoporre alla leader del Partito Democratico e agli altri alleati del centrosinistra.

L’effetto Conte e la strada del dialogo

A riaprire uno spiraglio è stata la cena tra De Luca e Giuseppe Conte. Il leader del M5S ha ottenuto un riconoscimento esplicito dal presidente campano per aver spostato la discussione sui programmi, anziché insistere subito sulla questione dei nomi. Un segnale distensivo che potrebbe favorire la costruzione del “campo largo”, anche se le fratture interne non sono ancora sanate.

Nel frattempo, al Consiglio regionale è andato in scena un momento significativo: la maggioranza uscente, affiancata da due consiglieri del Movimento 5 Stelle ma senza gli esponenti Pd, ha sottoscritto un documento per chiedere più partecipazione dei territori alle decisioni politiche. Tra loro, Michele Cammarano, pentastellato, ha riconosciuto un «sei e mezzo» al governo De Luca, dopo dieci anni di opposizione.

Il dossier di De Luca per Schlein

Al centro del dossier che De Luca intende presentare a Schlein ci sono i temi programmatici e le richieste politiche:

  • Sanità: continuità nelle nomine dei manager appena scelti e completamento dei progetti sui nuovi ospedali.

  • Urbanistica: sostegno alla realizzazione del progetto “Faro”, la nuova sede della Regione nei pressi di piazza Garibaldi.

  • Squadra di governo: conferma dei fedelissimi Fulvio Bonavitacola e Lucia Fortini, con la partita legata anche agli equilibri interni dopo il voto.

  • Partito: il Pd campano è ancora commissariato e De Luca chiede la fine della gestione commissariale di Antonio Misiani, con la celebrazione dei congressi.

Resta inoltre da capire se De Luca intenda candidarsi direttamente al consiglio regionale e se presenterà una sola lista civica oppure più formazioni collegate.

I centristi e la maggioranza uscente vogliono contare

Ieri, mentre Pd e Schlein restavano in silenzio, nell’aula del Consiglio regionale si è compattata l’area centrista e deluchiana. I consiglieri di maggioranza hanno firmato un documento che chiede un confronto aperto e senza veti, partendo dal lavoro svolto in dieci anni di governo.

Tra gli interventi:

  • Gennaro Oliviero: «Ripartire dal lavoro fatto».

  • Giuseppe Sommese (Azione): «L’area moderata è decisiva da 20 anni».

  • Tommaso Pellegrino (Italia Viva): «Serve un nome che rappresenti il percorso e il programma della coalizione».

  • Carmine Mocerino (Deluchiani): «Vogliamo essere attori, non spettatori».

  • Valeria Ciarambino: «Sì al confronto, via i veti».

Il campo largo in Campania si giocherà nei prossimi giorni, tra i dossier del governatore, le posizioni dei centristi e le scelte della segretaria del Pd.

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Politica

Rebus Veneto, il centrodestra rinvia sulle Regionali

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La sintesi politica ancora non c’è. Non è bastato un vertice di un’ora e mezza ai leader del centrodestra per sciogliere il nodo dei candidati governatori alle Regionali, un puzzle il cui pezzo cruciale resta il Veneto. Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi hanno dovuto lasciare in sospeso il dossier al termine di una riunione a Palazzo Chigi in cui si è finito a parlare soprattutto degli scenari relativi al braccio di ferro tra Usa e Ue sui dazi. Nessuno, al momento, è intenzionato a fare rinunce. Tanto che Meloni alla fine avrebbe detto, secondo quanto riferito in ambienti parlamentari: O troviamo un accordo, o decido io. La discussione è aggiornata a lunedì, quando andrà in scena un nuovo incontro. Il confronto era atteso da tempo perché, anche se non ci sono le date delle elezioni in tutte le Regioni al voto (l’ipotesi di un election day a fine ottobre non è ancora scartata), si avvicina il momento delle scelte.

“Non si è parlato di Regionali – ha glissato Tajani -. C’è perfetta sintonia, andremo avanti fino alla fine della legislatura: siamo tre partiti diversi, ma l’obiettivo è comune”. “È andata benissimo”, si è limitato a dire Salvini, e ai giornalisti che gli domandavano chi sarà il candidato in Veneto ha risposto in tono scherzoso: “Io”. Quella è la casella su cui è più complicato trovare la quadra. FI ha messo sul tavolo Flavio Tosi. Ma il braccio di ferro è tra FdI (i senatori Raffaele Speranzon e Luca De Carlo le prime opzioni) e la Lega, che alla fine dovrebbe spuntarla secondo le previsioni ricorrenti nella maggioranza: Alberto Stefani sarebbe la carta con cui rivendicare la continuità con Luca Zaia, che non potrà ricandidarsi ma negli ultimi giorni ha sottolineato il peso che può avere una lista a suo nome, “il 40-45%”.

Questa ipotesi è ancora sul tavolo, anche se tra gli alleati qualche perplessità si registra. Di certo il governatore uscente e i suoi puntano a giocare un ruolo da protagonisti su questa partita, e aspettano di valutare le proposte in arrivo da Roma purché non siano decisioni calate dall’alto. Nella maggioranza c’è chi sostiene che una chiave per risolvere lo stallo possa essere il futuro dello stesso Zaia. Nessuno conferma che se ne sia parlato espressamente durante il vertice, ma una delle ipotesi (forse più una suggestione) che circolano tra i parlamentari sarebbe quella di schierare il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in Campania, e inserire il governatore del Veneto nella squadra di governo. Tra l’altro, questa seconda idea è uno scenario evocato da Salvini in un breve incontro di ieri con lo stesso Zaia, come raccontato nei retroscena, non smentiti, di alcuni quotidiani. “Zaia è una risorsa – ha notato il vicesegretario della Lega Roberto Vannacci -, può portare un valore aggiunto, in qualsiasi settore della pubblica amministrazione”.

Comunque per la Campania al momento è considerata più concreta l’ipotesi che a correre sia Edmondo Cirielli, di FdI, ma gli alleati non sarebbero d’accordo a sdoganare il suo nome prima di un’intesa complessiva, tanto che avrebbero rilanciato l’idea di puntare su un candidato civico. A cascata poi si sbloccherebbero le scelte su Toscana (l’orientamento è per il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi, di FdI), Puglia (in pole l’azzurro Mauro D’Attis) e Marche, dove Francesco Acquaroli (FdI) punta alla riconferma. A Palazzo Chigi i leader hanno discusso anche dei negoziati sui dazi. Tajani, reduce dalla missione a Washington, ha spiegato che “le posizioni non sono ancora vicinissime però bisogna continuare il dialogo”.

Il ministro degli Esteri ha anche sollevato il tema del rapporto euro-dollari: “Dobbiamo fare in modo che non sia così svantaggioso per l’euro che oggi è troppo forte. Serve un intervento della Bce”. Nelle stesse ore da Bruxelles sono arrivate le notizie sul bilancio Ue, su cui per ora dai vertici del governo non arrivano commenti. È stato invece chiarito che l’Italia non comprerà armamenti dagli Stati Uniti per cederli all’Ucraina, limitandosi alla logistica necessaria per il trasporto. Sul fronte interno, l’esecutivo avrebbe dato l’input alla propria maggioranza di accelerare l’iter di approvazione della riforma della giustizia sulla separazione delle carriere dei magistrati, con l’orizzonte di arrivare in fondo per novembre e affrontare il referendum costituzionale a febbraio o in primavera.

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Economia

La Cisl chiama al Patto della responsabilità. Gelo Cgil

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Un accordo per la crescita e la coesione sociale, tra riformisti: la leader della Cisl, Daniela Fumarola (foto Imagoeconomica in evidenza), apre il ventesimo congresso nazionale del sindacato e rilancia la proposta di “un grande patto della responsabilità”. La sua parola d’ordine resta il dialogo. E l’unità sindacale un auspicio, dopo mesi di profonde distanze con Cgil e Uil, costruita sui contenuti. La risposta dei leader ‘cugini’ arriva a stretto giro dallo stesso palco, dove sono invitati ad intervenire: non manca la volontà di confrontarsi, è la posizione comune, ma il numero uno della Cgil, Maurizio Landini, si smarca dall’idea di un nuovo patto. Piuttosto bisogna applicare quelli già esistenti, dice. All’unità fa riferimento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato per il congresso.

“Ricomporre il lavoro che rischia di frammentarsi, affrontare le sfide di mercati sempre più sottoposti a choc, le prove poste dall’intelligenza artificiale, tenere saldo il primato della persona, sono terreni di impegno decisivi, che devono tenere insieme parti sociali e istituzioni, in uno sforzo corale per lo sviluppo del Paese”, scrive il capo dello Stato, richiamando che il diritto al lavoro e alla retribuzione necessaria sono “obiettivi irrinunciabili”.

Tra i sindacati restano le distanze, ma le porte sono aperte. “Il pluralismo sindacale è una ricchezza e prevede anche la possibilità di pensarla in modo diverso, lavoreremo insieme e uniti per raggiungere gli obiettivi più importanti”, afferma il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, raccogliendo la proposta di Fumarola: “Misuriamoci sui contenuti, non sono interessato al contenitore”, risponde. Per Landini, invece, “non c’è bisogno in generale di patti, c’è un problema di applicazione dei patti esistenti”, a partire da quelli fatti con Confindustria, “e di affermare degli accordi precisi su sicurezza, salari e investimenti”. Questioni aperte. “È tempo di stringere un grande Patto della responsabilità: governo, sindacato e sistema delle imprese che partecipino insieme verso obiettivi comuni”, afferma Fumarola dal palco.

Lavoro, contratti e salari sono i punti su cui si sofferma la leader della Cisl, a partire dalla sicurezza. E’ indispensabile – sostiene – che ci sia Accordo nazionale per il lavoro. “E al centro del centro non può che esserci la questione più urgente: la sicurezza e la salute delle persone sul lavoro. È la battaglia per antonomasia”. Ribadisce il no al salario minimo legale, “non è la risposta giusta”. Primo perché “non spetta alla politica dei partiti decidere in questo ambito. Secondo, sul merito non avremmo un esito positivo”, sostiene.

Dunque, “la via maestra resta quella contrattuale. Bisogna rinnovare tutti i contratti nazionali, pubblici e privati”. E contro la precarietà dice che non è una questione di regole ma di costi: per questo sostiene che bisogna rendere il lavoro stabile ancora più conveniente prevedendo un surplus contributivo a carico delle imprese che utilizzano lavoratori a ternine, i cui proventi andrebbero destinati alla pensione di garanzia per i giovani. Su questi punti – salario minimo e referendum, su cui le posizioni sono opposte – torna Landini parlando dal palco e dalla platea si alzano brusii e anche qualche fischio. Non mancano i temi delle pensioni e il fisco, con la richiesta di un sistema “più equo e redistributivo, che alleggerisca pensionati e lavoratori, oggi i più colpiti dall’Irpef. L’elefante nella stanza si chiama fiscal drag”, afferma Fumarola.

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L’Ue vara un bilancio da duemila miliardi ma è scontro

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Un bilancio ‘monstre’ da duemila miliardi sul quale, in Europa, è già scontro. La Commissione, dopo giorni di dibattiti, tensioni e riunioni a porte chiuse, ha svelato il Quadro finanziario pluriennale (Qfp) per il settennato 2028-34. “Il più ambizioso di sempre”, ha assicurato la presidente Ursula von der Leyen di fronte alla quale, tuttavia, si staglia un negoziato a dir poco in salita. Regioni, gruppi parlamentari e diverse capitali sono saliti immediatamente sulle barricate. La maggioranza Ursula ha contestato il bilancio sia nell’architettura, sia nelle dotazioni, giudicate “insufficienti”. Mentre molti Paesi sono sul piede di guerra, sostenendo che pagheranno di più e, in alcuni casi, riceveranno meno sulle voci più sensibili. “Il bilancio è più ampio. È più intelligente e più incisivo. È un obiettivo per il nostro futuro”, ha detto von der Leyen, incontrando la stampa al termine di quello che è parso un lungo braccio di ferro al collegio dei commissari.

Un braccio di ferro iniziato già venerdì scorso quando il dibattito su cifre, voci, e ripartizioni, è entrato nel vivo, con una parte dei commissari, a partire dal vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto, impegnata a difendere i confini di alcuni pilastri dell’attuale bilancio: dai finanziamenti per le regioni meno sviluppate (che saranno pari a 218 miliardi) al Fondo Sociale. Sulla Coesione “l’esigenza di semplificazione e flessibilità è evidente”, ha sottolineato Fitto dicendosi allo stesso tempo “certo” che il confronto con il Pe e i 27 “migliorerà” la proposta. Nel Qfp 2028-34 ci sarà qualche accisa in più (nuove quelle su grandi imprese, tabacco, e rifiuti elettronici). Ma soprattutto potrebbe esserci un aumento importante del contributo dei Paesi: secondo la proposta dall’1,13% all’1,26% del reddito nazionale lordo, sebbene von der Leyen abbia sottolineato che, nell’architettura delle risorse, il contributo resterà “stabile”. L’esecutivo Ue ha fornito rassicurazioni sulla Pac, ma a conti fatti i fondi del comparto scenderanno da 378 a 300 miliardi. “E’ un disastro annunciato”, ha reagito Coldiretti annunciando la mobilitazione permanente’.

“E’ la fine dell’agricoltura”, ha affermato Cia-Agricoltori italiani. Come temevano in molti è confermata la nascita dei ‘Piani di partenariato nazionali e regionali’, cui andranno 865 miliardi, accorpando varie linee di bilancio oggi indipendenti: Pac, sviluppo rurale, Coesione e fondi di sviluppo regionale e, probabilmente, i rimborsi dei finanziamenti ex Next Generation. “Il Parlamento Ue non accetterà alcuna riduzione del controllo parlamentare e del legittimo controllo e scrutinio democratico sulla spesa dell’Ue o, peggio, una rinazionalizzazione delle principali politiche dell’Unione”, hanno tuonato i leader della ‘maggioranza Ursula’ Manfred Weber (Ppe), Iratxe Garcia Perez (S&D), Valery Hayer (Renew), e Bas Eickhout e Terry Reintke (Verdi). Dall’Olanda il ministro delle Finanze Eelco Heinen ha avvertito: “Il bilancio proposto è troppo elevato. Non dovremmo concentrarci sempre e solo su come l’Ue possa spendere di più, ma piuttosto su come i fondi esistenti possano essere spesi meglio”.

Pur apprezzando priorità e architettura della proposta, sembra poi che anche la Germania abbia perplessità sull’entità complessiva del bilancio, ed è già sulla difensiva per una delle sorprese del giorno ritenendo problematiche le opzioni di debito comune. Tra le novità, infatti, è spuntata il ‘Catalyst Europe’, ovvero la possibilità che gli Stati investano negli obiettivi Ue ricevendo prestiti garantiti dall’Ue per 150 miliardi di euro. Per alcuni si tradurrà in prestiti a condizioni più vantaggiose rispetto alle condizioni di mercato. L’annunciato del nuovo Fondo di Competitività europeo riceverà 451 miliardi.

Sarà incentrato sul rafforzamento dell’industria della difesa europea, sulla promozione dell’innovazione e sul sostegno alla transizione. All’interno ci sarà una voce da 131 miliardi per difesa e spazio, cinque volte quanto nel Qfp attuale. Per i programmi globali saranno previsti poi 200 miliardi, 100 dei quali per l’Ucraina. E saranno triplicati i fondi per i confini esterni. A testimonianza di un bilancio a immagine e somiglianza dell’attuale presidenza del Berlaymont e sul quale – secondo le indiscrezioni riportate da alcuni media – sarebbero stati tenuti a lungo all’oscuro anche molti commissari.

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