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Aumentano malati Covid in intensiva, risalgono decessi

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Siamo lontani dalle soglie di allerta, ma nell’ultima settimana un campanello d’allarme arriva dalle terapie intensive dove i pazienti Covid ricoverati sono aumentati del 44,5%, mentre continuano a salire i ricoveri anche nei reparti ordinari. Un elemento da non sottovalutare e che deve spingere, avvertono gli esperti, a rilanciare con decisione la campagna vaccinale. Proprio l’occupazione degli ospedali rappresenta infatti uno dei parametri cruciali per il controllo dell’epidemia, e dunque il trend di aumento dei ricoveri va monitorato con attenzione anche se i casi di Covid-19 confermano un rallentamento nella velocita’ di crescita. Se a livello mondiale scendono ancora i contagi mentre sono stabili in Europa, come conferma l’Organizzazione mondiale della sanita’, in Italia l’andamento delle curve e’ fotografato dall’ultimo monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe relativo alla settimana 5-11 ottobre. Negli ultimi 7 giorni i nuovi casi fanno registrare un +20,3% ma la crescita rallenta ed e’ meno ripida; in aumento i ricoveri ordinari (+30%) e le terapie intensive (+44,5%) e dopo 6 settimane tornano a salire i decessi (+39,9%). Nelle 24 ore invece, secondo i dati del ministero della Salute, sono 45.705 i nuovi contagiati (ieri 47.763 ). Le vittime sono 66 (ieri ne erano state notificate 69) ed il tasso di positivita’ e’ del 19,18% (ieri era al 19,5%). Negli ospedali, sono 236 i pazienti ricoverati in terapia intensiva (ieri 228), ovvero 8 in piu’, mentre i ricoverati nei reparti ordinari sono 6.358 (ieri erano 6.484), cioe’ 126 in meno. Sul fronte ospedaliero, spiega Marco Mosti, direttore operativo di Gimbe, “si conferma l’inversione di tendenza nelle terapie intensive registrata la scorsa settimana oltre a un ulteriore balzo dei ricoveri in area medica”. In termini assoluti, i posti letto Covid in intensiva, dopo aver raggiunto il minimo di 125 il 25 settembre, sono risaliti a quota a 244 l’11 ottobre; in area medica, dopo aver raggiunto il minimo di 3.293 il 24 settembre, sono arrivati a quota 6.259 l’11 ottobre. All’11 ottobre il tasso nazionale di occupazione da parte di pazienti Covid e’ del 9,8% in area medica (dal 4% del Molise al 44,8% della Valle D’Aosta) e del 2,4% in area critica (dallo 0% di Molise e Valle d’Aosta al 6,9% del Friuli Venezia-Giulia). L’aumento di ricoveri nelle intensive, chiarisce il virologo Fabrizio Pregliasco, “e’ una conseguenza dell’aumento dei casi registrato nelle precedenti settimane ed evidenzia come il numero dei casi positivi al virus SarsCov2 sia con grande probabilita’ molto piu’ alto rispetto a quello registrato ufficialmente. Le terapie intensive sono infatti proporzionali al numero dei casi effettivi di Covid e rappresentano un campanello di allarme”. Al momento, precisa l’esperto, “siamo lontani dalla soglia di allerta di occupazione delle intensive, fissata al 10% a livello nazionale, tuttavia si tratta di un dato da non sottovalutare e che deve spingere ad un rilancio immediato della campagna vaccinale anti-Covid”. Da qui l’invito del virologo ad effettuare al piu’ presto, soprattutto per gli anziani ed i soggetti fragili, la somministrazione della quarta dose insieme alla vaccinazione antinfluenzale. Sul fronte della vaccinazioni si registra in realta’ un lieve aumento dei nuovi vaccinati nell’ultima settimana, pari al +4%: di questi, rileva il report Gimbe, il 35,6% e’ rappresentato dalla fascia 5-11 anni. Tuttavia, come emerge dall’Instant Report Covid-19 dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Universita’ Cattolica (Altems), meno di 7 italiani su 100 si sono sottoposti alla quarta dose booster di vaccino anti-Covid e la media a livello nazionale per il secondo richiamo e’ pari al 6,63%. Intanto, un ultimo aggiornamento dell’Istituto superiore di sanita’ rileva che i contagi nelle Rsa per anziani nel 2022 hanno avuto lo stesso andamento della popolazione generale, ma grazie ai vaccini (con una copertura vaccinale vicina al 100%) e ad una buona capacita’ di gestione del virus “l’impatto su ricoveri e decessi e’ stato basso”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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