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Cronache

Anziana tabaccaia uccisa durante una rapina a Foggia

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Aveva riaperto stamattina la tabaccheria, Francesca Marasco, 72 anni, titolare della rivendita in via Marchese De Rosa, una delle vie del centro di Foggia. E qualche ora dopo aver tirato su la saracinesca del locale, che era stato chiuso per ferie, è stata uccisa a coltellate durante un tentativo di rapina. L’ha trovata un cliente, distesa vicino all’ingresso attorno alle ore 13. Sul corpo i segni di tre o quattro fendenti. L’uomo ha allertato i soccorsi, ma non c’era più nulla da fare. L’arma del delitto, un coltello insanguinato, è stato trovato a pochi metri, abbandonato dall’assassino in fuga. Non è escluso che la vittima abbia provato a reagire al rapinatore, che non sarebbe riuscito nemmeno a raggiungere il registratore di cassa. Si tratta solo di ipotesi in attesa delle indagini dei carabinieri, che stanno concentrando l’attenzione sui sistemi di videosorveglianza della zona e sul coltello.

“Conoscevo la signora Franca da 26 anni”, dice Maurizio, titolare di un negozio per parrucchiere da uomo che si trova a pochi passi dalla tabaccheria. “Era una signora sempre disponibile. Sono cresciuto qui. Non ci sono parole”, aggiunge. Dello stesso tenore le parole di tante persone accorse sul posto. “Alle 12 sono passato con il cane davanti all’ingresso ed era tutto nella norma. Poi abbiamo sentito le sirene e abbiamo appreso la terribile notizia. È una città invivibile ormai. Non è più un posto sicuro”, riflette Luigi, 49 anni. La pensa così anche un gruppo di giovani: “Non è più possibile vivere in queste condizioni. Non ci sentiamo sicuri”. Mentre Giuseppe, che conosceva la vittima ed era anche suo coetaneo, è sconvolto.

“Assurdo perdere la vita mentre si lavora”, dice. In effetti Francesca Marasco era una lavoratrice indefessa. Era una donna molto amata e conosciuta soprattutto nel quartiere. Storica la tabaccheria, alla quale la donna aveva dedicato tutto il suo tempo. L’ondata di indignazione si è diffusa anche sui social. “Foggia mia mi lasci senza parole da sempre – scrive Federica – La signora Franca era mia nonna, mia zia, mia madre o addirittura me stessa tra qualche anno. E sicuramente avrebbe meritato un rispetto che purtroppo però tu non ci hai insegnato”. Anche il mondo politico ed istituzionale è sconvolto. La commissione straordinaria del Comune di Foggia, che amministra la città dopo le dimissioni e l’arresto del sindaco Franco Landella (Lega), parla di una “tragedia insensata e assurda”. “Una donna torna al lavoro, dopo le meritate ferie e trova la morte -, afferma l’assessore regionale al welfare Rosa Barone -. Da rappresentante delle istituzioni, mi sento responsabile, perché se qualcosa è saltato nell’educazione di un’intera generazione è anche colpa nostra”.

“Chiediamo come partito che il dossier Foggia sia la priorità sul tavolo del ministro Piantedosi”, rilancia Mario Giampietro, commissario cittadino di Fratelli d’Italia. Il senatore di Italia Viva, Ivan Scalfarotto, chiede invece che “ci sia subito il nome del candidato sindaco del centrosinistra per una ripartenza civile ed economica della città”. Sconvolto anche il mondo delle imprese, a cominciare dal presidente della Federazione nazionale tabaccai, Mario Antonelli: “Lanciamo ancora un grido di allarme alle Istituzioni – dice – per rafforzare il controllo su tutto il territorio e predisporre urgenti misure di sicurezza per fronteggiare il continuo dilagare della criminalità”.

Un delitto atroce quello di Francesca che ha riportato alla mente la morte, tragica, avvenuta sempre durante una rapina, di Francesco Traiano. Il giovane fu accoltellato all’occhio sinistro durante una rapina compiuta nel suo bar ‘Gocce di caffè, a Foggia, il 17 settembre del 2020. Bottino meno di 100 euro. Traiano morì il 9 ottobre. Per quel delitto la Corte d’assise di Foggia un anno fa ha condannato quattro giovani, due a 30 anni di reclusione, uno a 28 e uno a 10. Ad accoltellare materialmente il commerciante fu invece un 17enne, che ha confessato il delitto ed è stato condannato a 16 anni. “Sono pentito – ammise al giudice -. Siamo andati lì per fare una rapina, avevo un coltello per spaventarlo, ma non volevo ucciderlo”.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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