“Una guerra santa contro l’Anticristo e il satanismo” rappresentato dal “moderno sistema di valori occidentali”: Alexander Dugin ha definito cosi’ l’invasione russa dell’Ucraina, “una questione di essere o non essere” che la Russia fara’ di tutto per vincere, “anche fino a una collisione nucleare”. In Occidente si e’ guadagnato l’appellativo di ‘Rasputin di Putin’, o anche di ‘cervello’ dello zar, perche’ nei discorsi del leader del Cremlino le parole d’ordine di Dugin sono sempre piu’ frequenti. A cominciare dal concetto di ‘Nuova Russia’ per indicare i territori ucraini da “liberare”, oppure i ripetuti richiami all’ortodossia russa che lo zar sbandiera facendosi immortalare in chiesa e presentandosi come paladino della cristianita’ e della tradizione. E non mancano le sortite in Italia del filosofo padre della ‘Quarta Teoria Politica’ (scavalcando fascismo, comunismo e liberalismo) che nel 2018 ha benedetto il governo gialloverde. “Ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contribuito a far smetter di demonizzare il populismo, e anche i Cinque Stelle. Insieme a loro ha vinto il popolo, in questa nuova lotta contro le e’lite per ritrovare la propria identita’”, disse allora. La “grande simpatia” per il leader leghista, che Dugin aveva intervistato a Mosca nel 2016, e’ pero’ durata poco. “La sua trasformazione in senso atlantista e liberale e’ un peccato, perche’ ha perduto la dimensione del vero populismo”, commento’ Dugin un paio di anni fa, deluso per “l’influenza della destra liberale Usa su Salvini”. In una delle ultime uscite il nuovo Rasputin aveva indicato in Giorgia Meloni la nuova favorita, per le sue critiche alle misure anti-Covid e la distanza “dalle politiche fallimentari del globalista e liberale Draghi”: “Ho un presentimento, si fara’ strada”, il vaticinio. Dugin, 60 anni, figlio di un ufficiale dell’intelligence sovietica, arrivo’ alla ribalta delle cronache russe all’inizio degli anni ’90, in pieno disfacimento dell’Urss. All’epoca scriveva sul quotidiano di estrema destra Den, dove nel 1991 pubblico’ il suo manifesto: ‘La grande guerra dei Continenti’. Teorizza che la Russia sia “un’eterna Roma” che ha il compito di combattere il materialismo e l’individualismo dell’Occidente, “eterna Cartagine” da radere al suolo. Poi fondo’ il partito nazional-bolscevico, assieme al rocker della letteratura russa Eduard Limonov, un mix di elementi ideologici fascisti e comunisti per superare entrambi. Tanto che la bandiera dell’organizzazione era una falce e martello in un cerchio bianco su sfondo rosso, una sorta di svastica comunista insomma. Nel 1997 il suo ‘The Foundations of Geopolitics: The Geopolitical Future of Russia’ diventa un bestseller, cosi’ popolare da essere venduto anche nei supermercati. Indica, aprendo la strada agli ingegneri del caos, gli strumenti per destabilizzare l’Occidente, Stati Uniti in testa: disinformazione e soft power. “L’Eurasia e il cuore della Russia rimangono teatro di una nuova rivoluzione. Il nuovo impero euroasiatico verra’ costruito sulla base del principio fondamentale del nemico comune: il rigetto dell’atlantismo, del controllo strategico americano, il rifiuto di consentire ai valori liberali di dominarci”, scriveva. Nel 2002, due anni dopo l’ascesa di Putin al Cremlino, battezza la nascita del partito ‘Eurasia’, che attira molti esponenti dell’entourage del nuovo zar. Nel 2014 e’ in prima linea nel sostegno ai separatisti filorussi del Donbass, ma i suoi proclami incendiari sono giudicati all’epoca eccessivi, soprattutto quando fa appello al “massacro” degli ucraini, e gli costano un ruolo prestigioso all’Universita’ statale di Mosca, dalla quale viene cacciato. Ciononostante, Dugin diventa ospite fisso dei talk-show in tv, la prova secondo molti dell’ampio consenso di cui gode ai piani piu’ alti del Cremlino.