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Ai figli il cognome dei due genitori, non solo del padre: così ha deciso la Corte Costituzionale

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Ai figli non piu’ il cognome paterno ma quello di entrambi i genitori o anche solo quello della madre. Dopo decenni di battaglie delle donne e di inutili sollecitazioni al legislatore, la Corte costituzionale con una sentenza supera quello che ormai appariva come un retaggio patriarcale e allinea finalmente l’Italia agli altri Paesi europei. E batte sul tempo il Parlamento che proprio in questi giorni, in Commissione Giustizia al Senato, sta compiendo un ciclo di audizioni sui tanti disegni di legge sul doppio cognome presentati sin dall’inizio della legislatura da quasi tutti i partiti. Tante le reazioni di soddisfazione dal mondo politico (soprattutto da Iv, Pd, Leu M5s e Radicali) e gli inviti ora a far presto nel dare una disciplina organica a tutta la materia. Mentre la ministra della Giustizia Marta Cartabia, che della Consulta e’ stata la prima donna presidente, ringrazia i suoi ex colleghi, parla di “un altro passo in avanti verso l’effettiva uguaglianza di genere nell’ambito della famiglia”, la ministra per le Pari opportunita’ Elena Bonetti garantisce “tutto il sostegno del Governo all’iter parlamentare”. La nuova disciplina si occupera’ anche dei meccanismi per evitare un accumulo di cognomi nelle generazioni a venire nel caso si decida di conservare i cognomi di tutti e due i genitori. La svolta e’ arrivata con la sentenza (redattrice una donna, Emanuela Navarretta) con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Sono in contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione e con gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E la ragione e’ che la regola del patronimico non solo e’ “discriminatoria” nei confronti delle donne, ma “lesiva dell’identita’ del figlio”. “Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identita’ personale”, sostiene la Corte, secondo quanto anticipato dall’Ufficio stampa in attesa del deposito della sentenza. Cancellando quell’automatismo, la nuova regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine da loro concordato, a meno che decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di un’identita’ di vedute sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, sara’ il giudice a dirimere la controversia. La decisione era attesa dopo che la Corte a gennaio con un’ordinanza aveva deciso di sollevare davanti a se’ stessa la questione della legittimita’ costituzionale della automatica acquisizione da parte dei figli del cognome del padre. E di andare cosi’ alla radice del problema, rispetto alle richieste piu’ limitate che le avevano rivolto il tribunale di Bolzano e la Corte d’appello di Potenza. In quella occasione, richiamandosi a sue precedenti pronunce, aveva definito l’attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli, sancito dall’articolo 262 del Codice civile, “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, e di “una tramontata potesta’ maritale, non piu’ coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. “Siamo commossi, siamo consapevoli di avere scritto una pagina importante, forse storica”, commenta la coppia della Basilicata da cui e’ partito tutto con una istanza al tribunale di Lagonegro nel 2020, per ottenere di attribuire il cognome materno anche al terzo dei loro figli. Nella diffusa soddisfazione del mondo politico spicca la reazione di Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, che mette in guardia sugli “effetti negativi della sentenza sulla famiglia che si trovera’ a discutere, in caso di disaccordo, davanti a un giudice per stabilire la precedenza del cognome”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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