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Cronache

Aggressione ai militanti antifascisti che rientravano dal corteo “Mai con Salvini”, per il Riesame di Bari “è proselitismo fascista quello di CasaPound”

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“Appaiono connotati dalla evocazione dell’ideologia fascista” i fatti del 21 settembre 2018, quando a Bari militanti di CasaPound aggredirono un gruppo di manifestanti antifascisti che tornavano dal corteo “Mai con Salvini”, organizzato in occasione della visita del ministro dell’Interno. È quanto sostengono i giudici del Tribunale del Riesame di Bari nelle motivazioni del provvedimento con cui il 24 gennaio scorso hanno rigettato la richiesta di dissequestro della sede di CasaPound, nel quartiere Libertà di Bari. La sede fu sequestrata l’11 dicembre 2018 su disposizione della magistratura barese nell’ambito dell’indagine della Digos sull’aggressione, nella quale il procuratore aggiunto Roberto Rossi ipotizza a carico di 30 persone, tutti militanti di CasaPound, i reati “riorganizzazione del disciolto partito fascista” e “manifestazione fascista”. “Il ricorso ad una strategia violenta di repressione di appartenenti a gruppi portatori di una diversa ideologia, – scrivono i giudici – richiama indubbiamente il metodo fascista o meglio il suo metodo di lotta”. Per i giudici “nessun dubbio sussiste sulla capacita’ della ritualita’ adottata a suscitare o rafforzare nei presenti sentimenti nostalgici nei confronti del partito fascista ed operare, oggettivamente, come veicolo di proselitismo, di adesione e di consenso, concorrendo alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione del partito fascista”. “I comportamenti censurati – si legge nel provvedimento – hanno determinato un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quel partito evocando un modus operandi tipico del movimento fascista”.

I giudici ricostruiscono la sera dell’aggressione, ricordando che nella sede “solitamente frequentata da pochi soggetti, erano presenti 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi, ben consapevoli della circostanza che per quella stessa sera era prevista una manifestazione di impronta chiaramente antifascista”. “E proprio quella sera, i militanti di CasaPound si erano posizionati davanti alla loro sede per poi, alla fine della manifestazione predisposta dall’ex Caserma Liberata, porre in essere condotte violente e aggressive” evocative, secondo i giudici, del “metodo che viene indicato ‘squadrismo’, vale a dire un’organizzazione, impiego e attività di piccole formazioni di armati non regolari (squadre d’azione) che a fini intimidatori e/o repressivi veniva utilizzato dal fascismo nei confronti degli avversari politici per affermare la propria supremazia”. “Non appare dubitabile – continuano i giudici del Riesame – che vi fosse stata una preordinazione e predisposizione da parte dei militanti di CasaPound, non essendo credibile che questi ultimi per mera casualita’ fossero presenti, in tanti, e che per mera accidentalita’ si fossero schierati all’esterno della sede per poi agire al passaggio dei partecipanti alla manifestazione di ideologia antagonista”. Anche “l’uso della violenza, di oggetti contundenti, cinghie, manganelli, bastoni e catene oltre a porsi in contrasto con il metodo democratico ed a mortificare i diritti inviolabili dell’uomo” evoca secondo i giudici “comportamenti usuali del disciolto partito fascista”. Il Riesame parla di “passaggio dalla mera ideologia fascista, assolutamente irrilevante penalmente, ad un’azione violenta ed ideologicamente sorretta e finalizzata all’esigenza di affermazione di un equilibrio alterato” che non consente di “relegare” quell’aggressione “al rango di scontri tra contrapposte bande”. E il fatto che quella sede sia stato luogo di convegni e di incontri socio-culturali “non esclude – concludono i giudici – che la stessa in diverse e differenti occasioni sia stata e possa continuare ad essere sede di manifestazione del disciolto partito fascista”.

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Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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