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Economia

A luglio giù occupati e disoccupati ma c’è chi non cerca, assumono solo DHL e Amazon

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Frena l’occupazione a luglio, con 23 mila persone in meno al lavoro rispetto a giugno (-0,1%), trainata all’ingiu’ dal calo degli autonomi. Scende anche la disoccupazione, ma questo e’ dovuto anche all”aumento degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno un posto e nemmeno lo cercano: sono stati 28mila in un mese, lo 0,2% in piu’ del mese precedente. Ma il bilancio annuo risulta comunque positivo: grazie alla risalita registrata tra febbraio e giugno, il numero di occupati e’ superiore a quello di luglio 2020 di 440 mila unita’ (+2%). Un recupero che tuttavia ancora non basta a colmare la distanza dai livelli pre-Covid: rispetto a febbraio 2020 mancano oltre 260 mila occupati. Va comunque registrato che segnali positivi arrivano dal settore della distribuzione e delle vendite on line. Il colosso Amazon ha organizzato il 16 settembre il Career Day per il reclutamento di 500 dipendenti, nuovi profili da inquadrare con assunzioni a tempo indeterminato, alcuni dei quali in ambito tecnologico. Ma anche Dhl Italy, uno dei piu’ grandi distributori al mondo, ha raggiunto un accordo con i sindacati per l’assunzione di 800 dipendenti. I dati dell’Istat riguardano luglio e sono primi dopo la scadenza del primo blocco dei licenziamenti il 30 giugno (i cui effetti potrebbero essere assorbiti piu’ avanti). Indicano il tasso di disoccupazione in discesa al 9,3% (-0,1 punti rispetto a giugno, con 29 mila in meno in cerca di lavoro, ovvero -1,2%) e anche tra i giovani cala raggiungendo il 27,7% (-1,6 punti), dopo che a inizio anno aveva sfiorato il 33%. Il tasso di occupazione risulta stabile al 58,4%, mentre quello di inattivita’, che era aumentato in misura eccezionale all’inizio dell’emergenza sanitaria, risale al 35,5% (+0,1 punti). Gli occupati restano sotto quota 23 milioni (22,9 milioni). “Nonostante a luglio si registri un contenuto calo degli occupati e una stabilita’ del tasso di occupazione – commenta l’Istat – la forte crescita registrata nei precedenti cinque mesi ha determinato un saldo rispetto a gennaio 2021 di 550 mila occupati in piu'”, di cui oltre 300 mila a termine. Tuttavia non si e’ ancora tornati ai livelli pre-pandemia. E l’occupazione, evidenzia Nomisma, “non cresce al ritmo della straordinaria crescita economica del Paese”, che e’ dunque “asimmetrica”. Comunque ad essere aumentati di piu’ sono proprio i dipendenti a termine, mentre continuano a scendere in picchiata gli indipendenti. I dati imputano, infatti, il calo mensile degli occupati (-23 mila) ai soli autonomi che diminuiscono di 47 mila unita’; aumentano invece sia i dipendenti permanenti sia a termine (in entrambi i casi +12 mila). Ma nel confronto annuo i valori sono decisamente piu’ alti: nell’arco dei dodici mesi i +440 mila sono frutto dell’aumento dei dipendenti stabili (+125 mila) ma soprattutto di quelli a termine che segnano +377 mila ed un +14,4%. Al contrario si contano 62 mila autonomi in meno. Resta “critica la condizione del lavoro autonomo e non costituisce un segnale incoraggiante la perdurante propensione di parte della popolazione a restare nell’inattivita’”, sottolinea l’Ufficio studi di Confcommercio. Preoccupata e’ anche Confesercenti: “Un lockdown infinito. Nonostante i segnali di ripresa e la stagione estiva, l’occupazione indipendente continua a soffrire: il bilancio da inizio pandemia e’ di oltre 350 mila in meno”. Dai sindacati arriva un nuovo pressing a fare riforme e investimenti e “a costruire in fretta” un sistema di ammortizzatori sociali universali, collegato a politiche attive e formazione, come rimarca il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra. “Siamo ancora di fronte ad un quadro preoccupante”, dice la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti. “Qualche fioca luce si riaccende, ma molte crisi aperte e l’imminente venire meno del secondo blocco dei licenziamenti”, il 31 ottobre per piccole imprese e terziario, “non ci permettono un respiro di sollievo”, afferma la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese. E proprio sul fronte dei servizi, il fatturato sale nel secondo trimestre dell’anno: l’indice destagionalizzato cresce del 6,4% rispetto al trimestre precedente, quello grezzo del 33,9% su base annua. L’incremento piu’ forte e’ per le Attivita’ dei servizi di alloggio e ristorazione (+34,6% sul trimestre e +99,1% sull’anno). Ma il livello complessivo resta ancora inferiore a quello del quarto trimestre 2019 (l’ultimo antecedente la crisi), rileva l’Istat, con differenze settoriali: dal commercio all’ingrosso cresciuto dell’11,5%, in questo arco temporale, alle attivita’ di alloggio e ristorazione cadute del 43,2%.

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Economia

Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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